La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 3 settembre 2016

La propaganda sul debito

di Giulio Marcon 
Come ha ricordato il compianto Luciano Gallino in più di una occasione, nel corso della crisi l'azione di propaganda neoliberista è riuscita a far passare l'idea che la causa della crisi che stiamo attraversando dal 2007-2008 risiede nell'eccessivo debito pubblico e che il modo per affrontare il problema ritenuto a fondamento della crisi è quello di ridurre la spesa pubblica, privatizzare i servizi, declinare in tutti i modi le politiche di austerità. 
Idea falsa, perché -come sappiamo- la crisi non ha origine nell'eccessivo debito pubblico, ma nel “fallimento del mercato”, cioè nelle acrobazie affaristiche della finanza speculativa che hanno portato alla crisi dei sub primenegli Stati Uniti nel 2007-8 e alla sua estensione in Europa, con il fallimento di banche private ed il crollo dei mercati finanziari. Il detonatore della crisi è nel ruolo affaristico e speculativo di soggetti privati e non nell'eccessiva spesa pubblica.
Nel corso della crisi è vero che il debito pubblico è aumentato, ma non perché i governi siano stati spendaccioni, ma per altri motivi. Il primo è che sono stati utilizzati soldi pubblici -e tanti- per salvare le banche private. Il secondo motivo è che c'è stato un crollo del PIL (in Italia dell'11% dall'inizio della crisi) e questo ha fatto crollare le entrate e crescere i disavanzi. La terza ragione è che proprio le politiche di austerità (di tagli alla spesa) hanno inibito la crescita e lo sviluppo: meno investimenti, meno politiche espansive, meno sostegno alla domanda. All'inizio della crisi il debito pubblico nell'eurozona era mediamente del 60% e nel 2015 era lievitato a quasi al 95%: a dimostrazione che le politiche di austerità non solo non sono state efficaci nel combattere la crisi, ma nemmeno a ridurre il debito pubblico. Inoltre sarebbe utile ed interessante avere tutte le informazioni per sapere come si è generato nel corso degli ultimi anni l'aumento dei debito pubblico nei paesi più esposti. Servirebbe una specie di audit con il coinvolgimento non solo delle istituzioni, ma anche delle organizzazioni della società civile. Probabilmente scopriremmo dinamiche distorsive e speculative attivate da banche ed istituti finanziari che sul debito nazionale dei paesi esposti hanno fatto molte fortune.
Le politiche di riduzione del debito hanno orientato in questi anni tutte le scelte di politica economica con l'assunto nobile (si fa per dire) che questo avrebbe reso più competitivo il sistema economico. In realtà le politiche di tagli alla spesa (a quella sociale non a quella militare, agli investimenti pubblici non ai sussidi alle imprese) hanno corrisposto all'obiettivo di aprire ancora di più la strada al mercato, alla mercificazione dei servizi pubblici, alle privatizzazioni. Con il Fiscal Compact e gli altri accordi comunitari le politiche di riduzione (drastica) del debito sono state imposte ai paesi membri e diversi paesi della Unione Europa hanno introdotto il pareggio di bilancio o nella Costituzione (come in Italia) o nella legislazione ordinaria. Con il patto di stabilità interno gli enti locali italiani sono stati costretti a congelare gli investimenti e la spesa, tagliare i servizi, conseguire un pareggio di bilancio sostanzialmente insostenibile, socialmente e concretamente. A causa del ricorso allo strumento dei derivati e dell'accensione di mutui (per fare investimenti in infrastrutture e servizi) molti anni fa presso Cassa Depositi e Prestiti (con tassi oggi anacronistici, del 5-6%) molti enti locali stanno pagando un salasso ingiustificato, che rende impossibile politiche di investimenti e spesso anche il mantenimento dei servizi esistenti.
Oggi, le politiche di riduzione del debito -come previsto dai trattati europei e dalla normativa nazionale- sono insostenibili socialmente (tagli ai servizi e ai diritti) e un ostacolo all'uscita dell'Italia e dell'Europa dalla crisi. Le politiche di austerità sono solo la continuazione delle politiche neoliberiste con altri mezzi. Si taglia il debito per avere soldi in più da destinare al taglio delle tasse. Ma i manuali di economia ci ricordano che i soldi spesi per investimenti pubblici hanno un effetto moltiplicatore per la crescita incomparabilmente superiore rispetto ai tagli di spesa o ai tagli delle tasse.
Oggi la riduzione del debito, oltre ad essere espressione di politiche che hanno alla base il perseguimento di corposi interessi economici e finanziari, risponde anche ad un mantra ideologico senza fondamento. Ideologici, ma anche isterici. Per dirla con Paul Krugman i fautori dell'austerità sono degli “austerici”, ossessionati da un ottuso e dogmatico pregiudizio liberista.
L'alternativa alle politiche di austerità e alla riduzione del debito è una politica di investimenti pubblici, di utilizzo della spesa pubblica per il sostegno alla domanda, di promozione di un vero e proprio piano del lavoro (con soldi pubblici). Ribadiamo: non è che non si spendano soldi pubblici, ma lo si fa per dare sgravi fiscali alle imprese e non per gli investimenti pubblici; lo si fa per finanziare le spese militari e le grandi opere e non per la riconversione dell'industria bellica e per le piccole opere; lo si fa per tagliare indiscriminatamente le tasse e non per finanziare il reddito di cittadinanza.
Va cambiato il paradigma delle politiche economiche europee, dal quale discendono le scelte nazionali e locali. Vanno cambiati i trattati mettendo in campo alcune scelte concrete e puntuali. Sarebbe utile convocare una convenzione europea sul debito al fine di rinegoziare il debito dei paesi più esposti attraverso forme dimutualizzazione, di messa a garanzia dei debiti sovrani grazie ad un bilancio europeo potenziato e finalizzato anche a questo fine, di utilizzo di bond ed altri strumenti finanziari non solo per ridurre il debito ma, soprattutto, per fermare le dinamiche speculative. Sarebbe importante una vera e generalizzata Tobin tax allo stesso scopo e per recuperare risorse finalizzate alla riduzione del debito e al sostegno degli investimenti pubblici. Questo presuppone un'Europa solidale, oltre la moneta, capace di politiche fiscali, economiche e sociali comuni. Un orizzonte che sembra ancora lontano e che, però, richiama un conflitto, uno scontro nel quale la sinistra e i movimenti devono mobilitarsi per costruire un'altra Europa.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 25 di Luglio-Settembre 2016 "Chi è in debito con chi?"
Fonte: Attac

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