
Intervista a John Dickie di Salvo Palazzolo
C'è ancora una grande voglia di mafia che attraversa la società siciliana, in particolare quella palermitana ". Eccolo, il caso Marcatajo, visto da Londra. A parlare è lo storico inglese John Dickie, autore di ricerche importanti sul fenomeno mafioso, in Italia pubblicate dall'editore Laterza ("Cosa nostra, storia della mafia siciliana", "Onorate società", "Mafia republic"). "La mafia siciliana - dice - non è mai cambiata, gli affaristi hanno sempre fatto parte di quel sistema".
Professor Dickie, è rimasto sorpreso dall'arresto di un esponente della buona borghesia palermitana, che è accusato di aver riciclato i soldi di una cosca mafiosa?
"Non bisogna mai sorprendersi, la mafia è sempre quella. I legami con l'economia, il mondo delle professioni e la politica sono intrinsecamente parte del fenomeno mafioso.
Naturalmente, faccio un discorso generale. Non entro nel caso specifico. Ci tengo ad essere fiscale sulla presunzione di innocenza, bisogna aspettare l'esito del processo. In Inghilterra siamo abituati ad essere un po' più pazienti, le intercettazioni che vengono fuori in Italia potrebbero far saltare un processo in Inghilterra".
Naturalmente, faccio un discorso generale. Non entro nel caso specifico. Ci tengo ad essere fiscale sulla presunzione di innocenza, bisogna aspettare l'esito del processo. In Inghilterra siamo abituati ad essere un po' più pazienti, le intercettazioni che vengono fuori in Italia potrebbero far saltare un processo in Inghilterra".
Nessun riferimento al caso specifico, va bene. Parliamo del contesto. Come si inserisce l'arresto di un colletto bianco nell'attuale fase di lotta alla mafia?
"Come per ogni indagine, i titoli sui giornali e sui siti Internet possono essere letti in una duplice maniera. Nel senso di una notizia preoccupante, perché dimostra che la mafia ha ancora oggi, nonostante i colpi subiti, una grande capacità di intrattenere rapporti con le sfere alte della società. Ma potremmo leggere la notizia anche in un altro modo, più rassicurante: le indagini della magistratura e delle forze dell'ordine sono state in grado di arrivare persino agli insospettabili, che adesso sono sospettati di alcuni reati".
Come spiega il persistere in Sicilia, e a Palermo in particolare, di certe relazioni fra l'organizzazione mafiosa ed esponenti della buona borghesia?
"Oggi, sembrerebbero abbastanza incauti i mafiosi ad avvicinarsi all'esponente di una famiglia importante della città, ma evidentemente c'è una grande voglia di mafia che attraversa la società palermitana".
Dal punto di vista dello storico, come si è evoluto quel rapporto dell'organizzazione mafiosa con l'esterno?
"Ci sono colletti bianchi da una parte e dall'altra della tavola. Capimafia sono stati medici, chirurghi, architetti. La mafia è così, è sempre stata così. Ci sono poi quelli che Leopoldo Franchetti nel 1876 chiamava i "facinorosi della classe media". Questo lo ricordo perché i giornalisti e anche i magistrati hanno un interesse particolare a raccontarci una mafia sempre in sviluppo. Invece, vista dal mio punto di vista, quello del lungo termine, sono le continuità che colpiscono. Non siamo passati dalla lupara e dalla coppola a una mafia moderna. Gli affaristi hanno sempre fatto parte di quel sistema, di quel mondo".
Com'è Palermo vista da Londra?
"C'è una ignoranza diffusa anche fra i giornalisti inglesi mediamente informati. Si fa molta fatica a capire il fenomeno mafioso nel suo contesto storico. E così, anche oggi, Sicilia è uguale mafia. Lo stereotipo resiste. Non si comprende l'importanza che ha avuto il primo maxiprocesso istruito negli anni Ottanta dai giudici Falcone e Borsellino, non c'è alcun senso della svolta del 1992-1993, o dei danni che Cosa nostra ha subito in questi ultimi vent'anni di contrasto giudiziario. E poi, soprattutto, in Gran Bretagna l'opinione pubblica non ha consapevolezza della posta in gioco nel Mezzogiorno d'Italia rispetto alla lotta al fenomeno mafioso ". Verso dove vanno le sue ultime ricerche sul fenomeno delle mafie italiane? "Nel mio piccolo cerco di diffondere sempre di più una comprensione un po' più storicizzata del fenomeno. Ma non è facile, la Sicilia appare molto distante dalla Gran Bretagna. C'è ancora tanto da fare".
Come vede il ruolo dell'antimafia in Italia, attualmente è attraversata da alcune polemiche.
"Credo che la società civile e le associazioni abbiano fatto davvero tanto. Finalmente, è finita la stagione degli eroi solitari. Questo per me è importante".
Fonte: La Repubblica
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