La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 1 settembre 2016

L'Isis perde il suo architetto del terrore

di Giuliano Battiston
Il Califfo perde uno dei suoi uomini più importanti. Il 39enne siriano Taha Sobhi Falaha, meglio conosciuto come Abu Mohammad al Adnani, è morto. Così dicono gli organi di comunicazione dello Stato islamico. Secondo le prime ricostruzioni, al Adnani - portavoce del gruppo, tra i suoi fondatori, responsabile dell'intelligence militare - sarebbe stato colpito nei giorni scorsi vicino ad al-Bab, a nord di Aleppo, in Siria, nel corso di un'operazione aerea condotta dagli Stati Uniti.
Nella nota con cui comunica il suo «martirio», l'agenzia stampa dell'Is Amaq scrive che il braccio destro del Califfo è stato ucciso mentre «controllava le operazioni per respingere le campagne militari contro Aleppo», e ne tesse le lodi con toni enfatici: «dopo un lungo viaggio di sacrifici combattendo il partito dei miscredenti, il coraggioso combattente Abu Muhammad al-Adnani ash-Shami è smontato dal suo destriero per unirsi alla carovana dei comandanti martiri, la carovana degli uomini coraggiosi che hanno condotto il jihad, sono stati pazienti nella causa per Allah e valorosi di fronte ai nemici, hanno presidiato le frontiere dell'Islam, e dichiarato la verità mentre la morte li aspettava».
L'enfasi usata per annunciarne la morte riflette l'importanza del personaggio: tra i pochi uomini ancora in vita della “vecchia guardia” dello Stato islamico, quella legata al padre putativo del gruppo, il giordano Abu Musab al Zarqawi (ucciso nel 2006), al Adnani ha giocato un ruolo centrale nell'affermazione del marchio del Califfo, prima e dopo l'annuncio della nascita dello Stato islamico.
Un paio di giorni prima che, all'inizio del luglio 2014, al Baghdadi si autoproclamasse Califfo nel celebre discorso nella moschea al Suri di Mosul, era stato proprio Abu Mohammad al Adnani ad annunciare l'istituzione califfale. E sarà proprio lui ad apparire, insieme a Omar il ceceno, il ministro della guerra fatto fuori dagli americani nelle scorse settimane , in un famoso video con cui gli strateghi dell'Is mettono in scena la demolizione del confine tra Siria e Iraq, e con essa la fine del colonialismo europeo e dello stesso concetto di Stato-nazione, in favore dell'ummah, la comunità islamica.
Per arrivare a quell'annuncio,Abu Bakr al Baghdadi aveva dovuto compiere un parricidio: dichiarare nullo il legame tra il suo gruppo e la casa madre, al Qaeda. Allo strappo, frutto di vecchi contrasti personali e differenti visioni strategiche su modi del jihad e tempi dell'affermazione di uno Stato islamico, ha contribuito fortemente lo stesso Abu Mohammad al Adnani, che non ha mai smesso di criticare al Qaeda e tutti i gruppi salafiti non affiliati con l'Is, facendosi interprete ed erede del settarismo aggressivo del giordano al Zarqawi.
Lo strappo si verifica nei primi mesi del 2013, quando al Baghdadi sostiene che il suo gruppo - che allora si chiamava Stato islamico in Iraq e nel Levante - include anche il fronte al-Nusra, la branca locale di al Qaeda, fiore all'occhiello del numero uno di al Qaeda, Ayman al Zawahiri. Al quale non piace l'idea che al Baghdadi porti i suoi uomini e la sua concezione del jihad dall'Iraq alla Siria. Così, gli intima di limitarsi a operare in Iraq.
Ma il 15 giugno 2013 il futuro Califfo sconfessa al Zawahiri, la massima autorità nel panorama jihadista globale. Risponde di non avere alcuna intenzione di rinunciare all'espansione in Siria. Lo Stato islamico, sostiene al Baghdadi rivendicando la natura espansionistica del suo progetto politico, «non si ritirerà da nessun angolo di terra dove si è espanso, e non indietreggerà dopo essersi allargato». «Nessuno ci fermerà dal combattere gli alawiti e condurre il jihad in Siria. Nessuno ci impedirà di rimanere in Siria! Iraq e Siria rimarranno un teatro, un fronte, un unico comando», aggiunge il portavoce al Adnani. Per il quale al Zawahiri sbaglia, perché conferma implicitamente le divisioni del Medio Oriente basate sull'accordo di Sykes-Picot. Le direttive di al Zawahiri – dice Adnani che accusa il vecchio egiziano di attendismo e di servilismo verso il grande nemico sciita iraniano - sono irricevibili.
Nell'estate successiva avviene l'annuncio della nascita del Califfato. Lo Stato islamico guadagna terreno, conquista città, territori e prime pagine. E fa proseliti. Se ci riesce, è grazie all'uomo ucciso nei giorni scorsi, al Adnani, che da molti anni dirige e supervisiona le operazioni di propaganda del gruppo, oltre a essere il responsabile dell'Amni, l'unità di intelligence militare dell'Is, da cui dipendono le operazioni terroristiche all'estero. Così sostengono alcuni ex jihadisti francesi e tedeschi, ora in prigione , e così ha ribadito uno dei portavoce del Pentagono, Peter Cook , per il quale Adnani era «il principale architetto delle operazioni esterne» e «ha coordinato il movimento dei combattenti», «reclutando e sollecitando attacchi individuali».
I più recenti attentati che hanno colpito l'Europa e non solo andrebbero ricondotti proprio ad al Adnani. O per una regia diretta, o per i numerosi appelli da lui rivolti a simpatizzanti e aspiranti jihadisti nel corso del tempo. Il discorso forse più celebre risale al 22 settembre 2014 e recita così: «Potete uccidere un miscredente americano o europeo – specialmente il perfido e schifoso francese – o un australiano, o un canadese, o qualunque altro miscredente che sia tra i Paesi che hanno dichiarato guerra, inclusi i cittadini dei Paesi che sono entrati in una coalizione contro lo Stato islamico, potete ucciderlo, affidandovi ad Allah, e ucciderlo in qualunque modo. Non chiedete consigli e non cercate il giudizio di nessuno. Uccidete il miscredente che sia civile o militare, perché loro si comportano allo stesso modo».
Nel marzo successivo arriva l'indicazione esplicita che l'Europa è un obiettivo centrale, nella strategia esterna del gruppo: «Sappiate che vogliamo Parigi – con il permesso di Allah – prima di Roma e prima della Spagna, e che poi annienteremo le vostre vite e distruggeremo la Casa Bianca, il Big Ben e la Torre Eiffel».
Ad Abu Mohammad al Adnani spetta anche il compito di dotare il progetto del Califfo di una legittimità teologica e storica. Nei suoi testi, attinge ampiamente alla storia dell'Islam . In particolare alle battaglie condotte per diffondere la religione musulmana e affermarla al di fuori dell'area in cui è nata, la penisola arabica. «Se ieri i nostri antenati combatterono i romani, i persiani e insieme gli apostati, su vari fronti, oggi siamo orgogliosi di combatterli in unico fronte, accomunati sotto un'unica leadership», sostiene per esempio nel marzo 2015 mentre celebra l'affiliazione ufficiale del gruppo africano Boko Haram allo Stato islamico.
In quel discorso, al Adnani fa riferimenti espliciti alle grandi battaglie del passato. Quelle risalenti all'ultimo decennio della vita del profeta Maometto (Badr, Uhud, Muta, Hunayn). Quelle successive alla sua morte (Yamana e Yarmuk). Quelle contro l'impero persiano sasanide, o in Andalusia contro le forze cristiane. Altrettanto importanti sono le passate glorie islamiche. I regni dei califfi Abu Bakr, Omar, Othman e Ali, al potere dal 632 al 661. L'impero islamico degli Omayyadi, al potere dalla morte di Ali nel 661 fino al 750 dopo Cristo, su un territorio che si estendeva da Damasco fino alla costa atlantica della penisola iberica a est e fino alla valle dell'Indo a ovest. I loro successori, gli Abbasidi, la dinastia più duratura del mondo medievale islamico (750-1258), che governarono su Baghdad, Raqqa, Samarra e ai quali si attribuiscono alcune delle grandi opere della civiltà islamica. E poi l'impero ottomano e quello dei Moghul, al potere in gran parte dell'Asia. Una storia gloriosa, di dominio e supremazia, successi e conquiste.
Una gloria che, secondo al Adnani, lo Stato islamico sta restaurando, qui e ora, grazie al sostegno di tutti i musulmani. Così, nel primo numero della rivista patinata in lingua inglese del gruppo, Dabiq, vengono ospitati alcuni estratti dei discorsi con cui al Adnani e lo stesso al Baghdadi hanno annunciato la nascita del Califfato, rispettivamente il 29 giugno 2014 e il primo luglio 2014. Un progetto dalla natura globale, sottolineano entrambi. Per il quale serve il contributo di tutti. Il Califfo chiede ai musulmani abili di emigrare nel nuovo Stato. L'esodo è obbligatorio, aggiunge al Adnani, in particolare per «medici, studiosi e specialisti», necessari per trasformare lo Stato islamico in un'istituzione funzionante.
Se in Siria e Iraq il compito è costruire un vero e proprio Stato, fuori dai confini del Califfato l'egemonia va imposta a colpi di attentati sanguinosi. Adnani si occupa delle operazioni esterne del gruppo almeno dal 2012. Ma è soprattutto a partire dal 2014 e, ancora di più, negli ultimi tempi che i suoi appelli al jihad «dovunque, con ogni mezzo» ottengono una cassa di risonanza di portata globale.
Uno degli ultimi inviti-appelli è del 23 maggio 2016 , con un comunicato rivolto ai seguaci dello Stato islamico affinché colpissero nel mese di Ramadan l'Occidente, dove «non c’è nessuno che possa definirsi innocente». «Allah permettendo, rendiamo il Ramadan un mese di calamità per i miscredenti…», così sostiene al Adnani rivolgendosi «specialmente ai combattenti e ai sostenitori del Califfato in Europa e in America». Abbiamo «sentito che alcuni di voi in Occidente non sono in grado di fare il proprio lavoro», perché non riescono a raggiungere il fronte di battaglia, prosegue il portavoce del Califfo, «ma sappiate che nella terra dei Crociati il sangue non ha protezione e non c’è nessuno che possa definirsi innocente». Un appello a cui sarebbero seguite operazioni terroristiche in tutta Europa. Alcune pianificate in precedenza, altre condotte da singoli attentatori, proprio in risposta all'appello di al Adnani.
Già a maggio scorso, però, i toni di al Adnani sono diversi da quelli del passato. Tra le righe, si riconosce la difficoltà che deriva dalla crescente pressione militare subita dall'Is nei territori conquistati in Siria e Iraq. Proprio lui, l'uomo che ha osato sfidare il numero uno di al Qaeda, e che è riuscito a mobilitare jihadisti in mezzo mondo, arriva a dire che la perdita dei territori non equivale alla sconfitta, perché più importante è la volontà di combattere, gli ideali che guidano la lotta.
Oggi ci si chiede quali conseguenze avrà la sua morte, per la tenuta dello Stato islamico. Il ricercatore Hassan Hassan, tra i maggiori esperti del movimento, ricorda l'importanza di al Adnani per il Califfo: non era solo il portavoce del gruppo, ma sovrintendeva tutte le operazioni che partono dalla Siria. «Seguiva le unità di sicurezza, i media, la strategia militare. Per cui è molto importante pensare al suo ruolo come a una guida generale con poteri di supervisione, piuttosto che come il responsabile di una sola, specifica branca».
Non a caso, nel comunicato relativo alla sua morte, lo Stato islamico lo presenta con alcuni appellativi che fanno ritenere che fosse destinato a sostituire il Califfo al Baghdadi, in caso di morte. Una figura centrale, dunque, certo fondamentale, ma non insostituibile. I gruppi terroristici come lo Stato islamico sono organizzati per sopravvivere all'eliminazione dei singoli leader, hanno ricordato in queste ore molti analisti. E la storia dello Stato islamico, la sua continua evoluzione strategica, la capacità di resistere anche negli anni più difficili (2009-2011) lo dimostra. Abu Mohammad al Adnani verrà sostituito (c'è chi dice che già ci sia un altro uomo, al suo posto). Ma la sua morte rimane comunque un duro colpo per il Califfo, sotto pressione militare in Siria e Iraq.
Resta da vedere se le parole infuocate di al Adnani contro l'Occidente, i governi arabi corrotti, i gruppi salafiti troppo tipiedi nel jihad, diventeranno progressivamente inerti, incapaci di mobilitare e incitare all'azione, o se accadrà invece quel che è successo con al Awlaki, il principale propagandista di al Qaeda, «figura religiosa di riferimento per gli attentatori» delle Torri gemelle secondo il Rapporto ufficiale sull’11 settembre voluto dal presidente Bush e dal Congresso americano. Ideatore della rivista qaedistaInspire, al Awlaki è stato ucciso il 30 settembre 2011 da un drone Predator nella provincia yemenita di al Jawf, dopo che il suo nome era finito nella lista dei “capture or killing” della Cia, approvata da Obama, nell’aprile 2010. Oggi, a distanza di cinque anni dalla morte, i suoi sermoni continuano a orientare le azioni delle nuove leve di al Qaeda. Perfino più di prima.
Forse accadrà lo stesso con i discorsi di al Adnani, braccio destro del Califfo e principale reclutatore del gruppo, che al suo attivo può vantare molti video di propaganda. Oppurela sua parabola finisce a nord di Aleppo. Dopo sedici anni di jihadismo, di cui cinque nella prigione irachena di Camp Bucca, “l'università del jihad”. 

Fonte: L'Espresso

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