La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 25 marzo 2017

L'Europa va rifondata. Sociale. Intervista a Saskia Sassen

Intervista a Saskia Sassen di Francesca De Benedetti
"Conosco l'Europa delle generazioni perdute, della disoccupazione giovanile; ho visto il continente delle classi medie impoverite, dei migranti respinti e dei diritti negati. Ma alla vigilia del 25 marzo dico che non sarà la disintegrazione dell'Unione, né la nostalgia delle nazioni, a salvarci dalle ombre della globalizzazione. Io scommetto sull'Unione: un'Europa come fortezza democratica è la mia speranza". Saskia Sassen, docente alla Columbia, è sociologa di fama: tra i suoi saggi più noti Le città nell'economia globale e il recente Espulsioni. Brutalità e complessità nell'economia globale (il Mulino).
Lei ha firmato un appello per rifondare l'Europa. Non è mai tenera con l'Ue, eppure rilancia. Perché crede che serva più integrazione?
"Il progetto europeo è importante e ha fatto la storia, portando benefici a tanti. Ma finché lo slancio dell'integrazione seguirà come priorità il business, l'Europa rimarrà un progetto zoppo. Io voglio altro, di più. Vede, la crisi, la disoccupazione, i tagli al welfare, hanno messo in luce le contraddizioni dell'Ue; potrei riassumerle con le parole di Amartya Sen. Eravamo a un incontro sull'euro con i banchieri tedeschi, Sen disse: "Non puoi avere una moneta europea senza fare anche una politica per l'impiego". Aveva proprio ragione. Insomma il peccato originale è stato l'approccio "funzionalista", quel procedere per settori, perché magari all'epoca serviva semplicemente uno spazio operativo per fare business e alle aziende, brutalmente, la politica per l'impiego non interessava ".
Interessa ai giovani, o almeno così dice Eurobarometro. La disoccupazione è uno dei principali motivi di disaffezione all'Unione. Che ne pensa?
"Nel mio libro Espulsioni sottolineo, dati alla mano, come i primi a rimetterci in fatto di impiego siano stati proprio i ragazzi. "Espulsi", messi ai margini: pensi che cinque anni fa il tasso di disoccupazione giovanile superava il 20% in quasi tutti i Paesi. Perciò nell'appello io e altri intellettuali scriviamo che questa rischia di diventare la "generazione perduta": serve uno slancio, un'Europa sociale. Un'Unione che invece di espellere e mettere ai margini sia la fortezza della democrazia".
Il punto nevralgico è la governance democratica dell'Unione?
"Le Corti e il Parlamento hanno spesso svolto un ruolo coraggioso, di apripista per ridurre le disuguaglianze. Ma finora troppo potere è stato concentrato lontano dalle mani dei cittadini. Io parlo di "logica estrattiva": la finanza, le corporation, persino Google e Facebook, riescono a concentrare molta ricchezza in poche mani e con pochi costi, svantaggiando le piccole imprese e i più poveri del Continente".
Lei, che critica la globalizzazione delle "ingiustizie", non cede però al richiamo centrifugo dello Stato nazione, o alla sirena dell'"exit". Perché?
"La "logica estrattiva" di cui parlo ha portato il sistema a un punto di rottura, per cui ora l'Ue appare a molti come disfunzionale, ingiusta, e tutto questo favorisce l'ascesa degli estremisti di destra. L'establishment europeo ha commesso errori di cui ora paghiamo le conseguenze. Qualche esempio? Il modo in cui la faccenda del debito greco è stata affrontata da Wolfgang Schäuble e da altri, l'ossessione per l'austerity che ha prodotto nuovi emarginati e molti arrabbiati. Ma un'altra Europa è possibile: può essere la boa di salvezza, in un sistema globale che mette sotto attacco il welfare, la partecipazione, i diritti sociali e civili".

Fonte: La Repubblica 

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