La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 22 marzo 2017

Prosegue la lotta per una gestione pubblica, partecipativa ed eco-compatibile dell'acqua

di Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua
Istituita nel 1992 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la Giornata Mondiale dell’Acqua costituisce un importante occasione di riflessione a livello nazionale e internazionale. Purtroppo, spesso tale riflessione viene piegata agli interessi delle grandi lobby economico-finanziarie che perseverano nella strategia volta alla definitiva mercificazione del bene acqua. Per queste ragioni ci sembra opportuno prendere parola provando ad individuare gli elementi critici e i nodi da sciogliere per giungere finalmente ad una reale tutela di questo bene e ad una sua gestione pubblica e partecipativa. Il 12 e 13 giugno 2011, oltre 26 milioni di elettori si sono pronunciati attraverso due referendum contro la privatizzazione dell'acqua e di tutti i servizi pubblici locali (primo quesito) e per l'eliminazione dei profitti dalla gestione dell'acqua (secondoquesito), in quella che è stata un’esperienza di partecipazione democratica dal basso senza precedenti che ha imposto il paradigma dei beni comuni contro il pensiero unico del mercato.
L'esito di tali referendum è stato prima disconosciuto, poi disatteso e infine è stata messa in campo, da parte di tutti i Governi che si sono succeduti alla guida del paese, compreso l'attuale, una rinnovata strategia con l'obiettivo di rilanciare i processi di privatizzazione del servizio idrico e degli altri servizi pubblici locali, oltre a reinserire in tariffa la voce che garantisce il profitto ai gestori.
Il combinato disposto di diversi provvedimenti approvati negli ultimi anni costruisce un meccanismo per cui, attraverso processi di aggregazione e fusione, i quattro colossi multiutilities attuali - A2A, Iren, Hera e Acea - già collocati in Borsa, potranno inglobare tutte le società di gestione dei servizi idrici, ambientali ed energetici, divenendo i “campioni” nazionali in grado di competere sul mercato globale.
Senza contare i tentativi in atto di privatizzare l'Acquedotto Pugliese, il più grande d'Europa. Ciò si configurerebbe come una reale regressione ai primi del novecento quando a gestire l'acqua e i servizi pubblici erano pochi monopoli privati.
Inoltre, attraverso il metodo tariffario predisposto dall'’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas e il Sistema Idrico (AEEGSI) si stanno facendo rientrare dalla finestra i profitti garantiti per i gestori sotto la denominazione di “costo della risorsa finanziaria”. Tale metodo, riproponendo la copertura tramite tariffa di una percentuale standard del capitale investito, sostanzialmente non sta facendo altro che reintrodurre lo stesso meccanismo della remunerazione del capitale investito eludendo così l'esito del secondo quesito referendario.
Il Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua ha espresso un giudizio assolutamente negativo sull'operato dell'AEEGSI e nello specifico del metodo tariffario, insieme a Federconsumatori, ha promosso un ricorso al Tar Lombardia e successivamente al Consiglio di Stato.
Ma soprattutto il movimento per l'acqua si è attivato sin dall'autunno 2011 lanciando la campagna di “Obbedienza Civile” la quale consiste nel pagare le bollette applicando una riduzione pari alla componente del profitto. E’ stata chiamata di “Obbedienza Civile” perché non si tratta di “disubbidire” ad una legge ingiusta, ma di “obbedire” alle leggi in vigore, così come modificate dagli esiti referendari. Con la mobilitazione attiva di migliaia di cittadini ci siamo proposti di attivare una forma diretta di democrazia dal basso, auto-organizzata, consapevole e indisponibile a piegare la testa ai diktat dei poteri forti di turno.
Altro passaggio significativo rispetto alla pervicacia con cui si sta contraddicendo la volontà popolare è quanto avvenuto alla Camera ad aprile scorso quando il PD e la maggioranza hanno stravolto la legge sulla gestione pubblica del servizio idrico approvandone un testo che, a partire dalla soppressione dell’articolo 6 che disciplinava i processi di ripubblicizzazione, ne ha ribaltato il senso. Di fatto se ne è svuotato l'impianto generale e ne sono stati travisati i principi essenziali. Ciò è gravissimo anche perché si è snaturata una proposta di legge che ha una storia e un percorso peculiare, essendo nata nel 2007 come d'iniziativa popolare con oltre 400.000 firme a sostegno e depositata dall'intergruppo parlamentare per l'acqua bene comune, in versione aggiornata, a marzo 2014.
Il movimento per l'acqua continuerà a dare battaglia su questo provvedimento affinché il passaggio al Senato la riconduca alla sua versione originaria.
Nel corso del 2016 il movimento per l'acqua ha lanciato la campagna “Stop Madia” con l'obiettivo di bloccare l'entrata in vigore di due provvedimenti, il “Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale” e il “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”, rispettivamente decreti legislativi attuativi dell'art. 19 e dell'art. 18 della L. 124/2015 (Legge Madia). Il combinato disposto di questi due decreti si poneva l'obiettivo di rilanciare i processi di privatizzazione di tutti i servizi a rete, dall'acqua all'energia, dai rifiuti al trasporto pubblico locale, espropriando gli Enti Locali e le comunità territoriali di ogni facoltà nel determinare l'articolazione territoriale dei servizi e le politiche tariffarie. 
A luglio abbiamo consegnato alla Presidente della Camera, Laura Boldrini, oltre 230.000 firme a sostegno della petizione popolare con cui chiedevamo il ritiro di suddetti decreti. Firme raccolte all'interno della campagna per i “referendum sociali”. In questa direzione durante tutto l'anno sono state organizzate decine di iniziative e si è attivata una mobilitazione sociale molto importante.
Il 25 novembre è stata pubblicata la sentenza 251/2016 della Corte costituzionale che ha sostanzialmente demolito la Legge Madia, sancendo l'incostituzionalità di diversi articoli tra cui quelli relativi a dirigenza, società partecipate, servizi pubblici locali e pubblico impiego. La sentenza, di fatto, ha demolito anche i decreti attuativi in quanto risultano illegittimi i presupposti su cui si basano. Per queste ragioni il Governo è stato costretto a ritirare il decreto sui servizi pubblici locali. Una vittoria della mobilitazione e dell'applicazione della Costituzione!
Dall'analisi dello stato dell'arte del sistema idrico italiano emergono dati alquanto sconcertanti: bassi investimenti, reti vecchie con dispersione elevatissima e ritardi nella depurazione. Delineando così un sistema gravemente malato che rischia di subire ulteriori sanzioni dalla Comunità europea. Sul tema degli investimenti e tariffa va ricordato che il finanziamento del servizio idrico integrato ha dimostrato il suo fallimento dal momento in cui al principio del “full cost recovery”, ossia il costo totale del servizio deve essere interamente coperto dalla tariffa, si è associato l'affidamento a soggetti privati. 
I dati in tal senso parlano chiaro: a partire dalla prima metà degli anni novanta, periodo in cui si attua la “grande trasformazione” dalle gestioni delle aziende municipalizzate al nuovo assetto fondato sulla gestione da parte delle società di capitali, tra l'altro periodo in cui tramonta il ruolo della finanza e dell’intervento pubblico, gli investimenti nel settore idrico sono crollati, toccando punte di oltre il 70%, flettendo da circa 2 mld di euro a circa 600 milioni annui, per poi risalire ma mantenendo sempre un abbassamento di circa il 50%.
Sulle tariffe idriche tutti gli studi sono concordi nell'indicare aumenti assai consistenti, tra i più rilevanti nel panorama europeo e tra i più elevati rispetto agli altri servizi pubblici locali: + 100 % tra il 2000 e il 2016 (dati Federconsumatori Ottobre 2016); + 61,4 % tra il 2007 e il 2015 (dati Dossier Cittadinanzattiva 2016); + 85,2 % tra il 2004 e il 2014 a fronte di un incremento dell’inflazione nello stesso periodo che in Italia è stato del 23,1 % (dati CGIA di Mestre Luglio 2014). 
Ciò sta provocando un aggravio soprattutto per quelle fasce della popolazione fortemente toccate dalla crisi che è giunto al limite della sostenibilità economica.
D'altra parte il quadro che emerge rispetto alla distribuzione dei dividendi e degli utili realizzati in 5 anni tra il 2010 e il 2014 dalle 4 grandi multiutility (A2A, Iren, Hera e Acea), ossia i modelli che si vorrebbe esportare su tutto il territorio nazionale, è assolutamente esplicito e chiarisce ogni dubbio rispetto a quella che è la vera finalità di queste aziende. La loro vocazione non è produrre servizi pubblici, ma distribuire dividendi ai soci. Il dato che si evince è più che eclatante: queste aziende, cumulativamente, nel periodo indicato hanno prodotto utili netti per circa 1 miliardo e 800 milioni di € e hanno distribuito ancora di più, oltre 2 miliardi di € di dividendi. Questo fatto dovrebbe chiudere ogni discussione su ciò che muove questo assetto costruito attorno alle grandi multiutility e anche sul fatto che, per garantire una quota significativa di dividendi, si indebitano scaricando sulle generazioni future i risultati di oggi.
Di fronte a questi dati eloquenti allora la soluzione non può essere ancora una volta quella dell'ulteriore rilancio della politica tariffaria del “full cost recovery” e neanche quella di incentivare i processi di aggregazione visto che negli anni in cui si è andata generando e approfondendo questa crisi del sistema idrico la maggior parte della popolazione italiana è stata servita dalle grandi multiutilities quotate in borsa - Acea, Hera, A2A e Iren - aziende ora prese a modello e individuate come poli aggregativi verso i quali far confluire tutti i soggetti gestori medio piccoli ad oggi esistenti.
La cosiddetta “cura” si dimostra una prosecuzione della malattia.
Infatti, è proprio la scelta, insita nel sistema, di mettere in capo ai soggetti gestori di natura privatistica la responsabilità dell’effettuazione degli investimenti che determina, stante il loro obiettivo di massimizzazione dei profitti, un’oggettiva subordinazione della decisione di investimento a quella priorità. Ciò, ovviamente, ha anche una ricaduta nefasta sulle perdite delle reti che rimangono a percentuali insostenibili, producendo anche danni pesantissimi all'ambiente a causa della mancata depurazione delle acque.
Ad esempio la fatiscenza degli acquedotti causa, al Centro e al Sud, una percentuale di perdite nella rete di rispettivamente 46% e 45%. Percentuale che invece si abbassa molto al Nord, attestandosi al 26%.
A nostro avviso non si sfugge al fatto che, per avviare un ciclo di investimenti significativo con l’obiettivo di realizzare l’ammodernamento del servizio idrico, occorre progettare un nuovo sistema di finanziamento che sia basato sul ruolo fondamentale, oltre che della leva tariffaria, della finanza pubblica e della fiscalità generale. La finalità prioritaria deve essere quella di dare certezze e produrre un’accelerazione degli investimenti previsti e di indirizzarli prevalentemente verso la ristrutturazione della rete idrica, con l’obiettivo di ridurre strutturalmente le perdite di rete, e verso le nuove opere, in particolare del sistema di depurazione e di fognatura.
Quello che noi proponiamo è un piano straordinario di investimenti nel settore idrico che non può che passare sia dalla ridefinizione del meccanismo tariffario che dalla messa a disposizione di nuove risorse pubbliche, ovvero il servizio idrico deve tornare ad essere una delle priorità nel bilancio statale. E che, dunque, non può essere concepito se non dentro ad un quadro di nuova gestione pubblica del servizio.
Un piano straordinario di investimenti che potrebbe produrre anche un incremento di centinaia di migliaia di posti di lavoro nei prossimi anni, svolgendo un’utile funzione anticiclica rispetto alla crisi stessa.
Da sempre, per noi, la gestione pubblica non è mai stata semplicemente confinata ad un’idea, pur essenziale, relativa alla natura giuridica di diritto pubblico del soggetto gestore, ma è sempre stata connotata dal procedere e dallo sviluppo della partecipazione dei cittadini e dei lavoratori in essa. Detto in altri termini il processo di ripubblicizzazione deve essere fortemente connesso all’idea di democrazia partecipativa.
Democrazia partecipativa implica una partecipazione popolare diretta da parte di tutte/i le/gli abitanti e le/i lavoratrici/tori; alla pianificazione ed alla gestione del servizio idrico integrato in cui le/gli abitanti e le/i lavoratrici/tori si approprino dei dati e delle informazioni e abbiano il diritto e la sovranità di decidere. Ora, anche per sua natura, quest’ultimo concetto non si sposa necessariamente con l’indicazione di un modello preciso; anzi, è la stessa costruzione delle forme adeguate di democrazia partecipativa che va pensata come un elemento processuale. Esse non sono fissate una volta per sempre, ma possono assumere caratteristiche specifiche a seconda del grado di consapevolezza e di apertura istituzionale che si realizza in quel determinato contesto socio-territoriale. L'esperienza della campagna referendaria del 2011 ha segnalato come milioni di cittadine e cittadini siano accomunati dalla consapevolezza dell’importanza dell’acqua come bene comune e diritto umano universale, dalla necessità di una sua salvaguardia per l’ambiente e per le future generazioni, dalla determinazione per una gestione pubblica e partecipativa dei servizi idrici. Gli elementi sopra esposti dovrebbero a nostro avviso essere il fulcro della riflessione sul tema dell'acqua, a maggior ragione in occasione della Giornata Mondiale dell'Acqua, affinché una nuova cultura dell'acqua e dei beni comuni diventi politica concreta ed esperienza consolidata, per giungere finalmente ad una svolta radicale rispetto alle politiche, trasversalmente condivise negli ultimi vent’anni, che hanno fatto dell’acqua una merce e del mercato il punto di riferimento per la sua gestione, provocando dappertutto degrado e spreco della risorsa, precarizzazione del lavoro, peggioramento della qualità del servizio, aumento delle tariffe, riduzione dei finanziamenti per gli investimenti, diseconomicità della gestione, espropriazione dei saperi collettivi, mancanza di trasparenza e di democrazia. Ovvero, il totale fallimento degli obiettivi promessi da una martellante campagna di promozione comunicativa in ordine ai benefici della privatizzazione e del cosiddetto partenariato pubblico-privato - maggiore qualità, maggiore economicità, maggiori investimenti - che, alla prova dei fatti si sono dimostrati totalmente inconsistenti.

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