La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 22 marzo 2017

Punire i poveri come "politica sociale"

di Marina Calculli
Il Ministro degli Interni Marco Minniti ha vigorosamente difeso il suo controverso decreto sulla "sicurezza delle città" contro chi lo ha definito un "decreto di destra". Il problema, dunque, non si riduce soltanto alla vexata quaestio giustamente sollevata da molti in questi giorni, su quale sia il limite tra sicurezza e libertà democratica. Il problema riguarda anche il fatto che un uomo di centro-sinistra possa promuovere un decreto che a molti (e con buone ragioni) pare di destra. La realtà, tuttavia, è che nel decreto Minniti c'è piuttosto il trionfo di una mentalità neoliberista che ormai caratterizza la struttura degli stati - o, per meglio dire, l'effettiva capacità dei governi di controllare le forze di mercato - finendo per appiattire e neutralizzare le differenze novecentesche che marcavano lo iato tra destra e sinistra.
È proprio in questa trasformazione dello stato, come mostrava nel 2009 il sociologo francese Loïc Wacquant, che si rintraccia sistematicamente un forte nesso tra la distruzione dello "stato sociale" e il rafforzamento dello "stato penale".
Studiando lo sviluppo e le logiche del sistema carcerario statunitense - pur mantenendo contemporaneamente lo sguardo su quelle degli stati europei - Wacquant osserva come lo smantellamento progressivo del "welfare state" (negli Stati Uniti, già assai esiguo rispetto all'Europa) venga accompagnato - nonostante la retorica anti-statista e anti-welfare del neoliberismo - da un intervento sempre più massiccio dello stato nella gestione della (in)sicurezza pubblica. In sostanza, lo stato neoliberista si ritrae dalle sue funzioni sociali per "liberare" il mercato, ma si espande e si incattivisce per gestire le conseguenze sociali generate dalla disfunzionalità del mercato. Di qui emerge una nuova moralità pubblica, riflessa nelle logiche della punizione e dell'incarcerazione, che vede i poveri come soggetti falliti nei loro progetti personali, individui parassitari e pericolosi per la coesione pubblica.
È così che lo stato neoliberista esonera se stesso dalle responsabilità di non aver saputo contenere la galoppante ineguaglianza socio-economica. La punizione dei poveri diventa "politica sociale". Le prigioni si ingigantiscono, invece di essere smaltite. L'imperativo è far scomparire la marginalità dalla dimensione visibile dello spazio pubblico, esaltando il "decoro" pubblico, la "bonifica" delle aree degradate e delle periferie" - riecheggiati anche dal decreto Minniti - in una visione sanitaria dello stato. Il mantra salviniano del "fare pulizia", in realtà, non è affatto il rigurgito verbale di un'intolleranza di destra, ma sempre più la cifra definitoria delle politiche di sicurezza, siano esse promosse da governi di destra come da governi di sinistra.
Certo, la pressione dei partiti populisti in Italia e in Europa - e la loro presenza sempre più ingombrante nelle arene elettorali delle democrazie liberali - sta influenzando pericolosamente le agende dei partiti tradizionalmente più attenti a rispettare i minimi sindacali della vita democratica, con il rischio (di fatto già una concreta evidenza) di rinegoziare quei limiti al ribasso, con buona pace della libertà di tutti noi.
Ma l'enfasi sulla sicurezza - che oggi si riduce sempre più nell'isolare, confinare e allontanare dallo spazio pubblico visibile la vulnerabilità sociale, i poveri, i migranti - è sintomo di un fenomeno sempre più strutturale: è la spia dell'isteria di stati che hanno fallito nei loro processi politici e cercano di riprodurre l'immagine di se stessi attraverso una ristrutturazione maliziosa del concetto di bene pubblico.
Se, infatti, la sicurezza è a tutti gli effetti un "bene pubblico" - come il Ministro Minniti ha giustamente rivendicato negli ultimi giorni - la sua continua garanzia finisce per risolversi in un paradosso: ovvero nell'espulsione dal sistema sociale di coloro che il sistema stesso non è più in grado di includere.
Per non ammettere che i poveri, i marginalizzati, i migranti sono a tutti gli effetti "cittadini falliti": ovvero figli di un processo politico mal riuscito, che ha finito per produrre non tanto consapevole fuoriuscita dal sistema (exit) o dissenso rispetto ad esso (voice), quanto piuttosto cittadini spinti a forza fuori dal sistema, espulsi dal contratto sociale, travolti dal conflitto interno allo stato o dalla più apatica incapacità dello Stato di mettere a disposizione risorse sufficienti per garantire a tutti condizioni minime per sentirsi parte di esso.

Fonte: Huffington Post - blog dell'Autrice

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