La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 25 marzo 2017

Non per questa Unione

di Nicola Fratoianni 
Siamo stati in piazza per tutte le donne e tutti gli uomini che vivono in Europa, e per tutte quelle e tutti quelli che, fuori dai suoi confini, continuano a vederla come una speranza dove approdare. Siamo stati in piazza a Roma per rivendicare quella cittadinanza negata che ha trasformato il sogno europeo in una tecnocrazia senza anima. Non per celebrare i 60 anni della firma dei Trattati, ma per chiedere con forza la riscrittura di tutti i trattati che hanno sottratto sovranità ai cittadini, consegnato le istituzioni europee ai mercati finanziari e impoverito le nostre società. Istituzioni centrali sottratte al controllo democratico si sono infatti rivelate più permeabili al condizionamento dei poteri economici, negando di fatto il principio di uguaglianza sociale, in nome di un'economia di mercato senza regole.
Riscrivere quei trattati significa oggi non solo democratizzare le istituzioni europee, ma metterne in discussione l'impianto ideologico che, da Maastricht al Fiscal Compact, ha consegnato al mercato la funzione di regolare l'economia, abdicando al ruolo della politica nella definizione delle scelte economiche e monetarie. Significa riconoscere che le politiche di austerità sono state utilizzate per drenare risorse dai sistemi di welfare nazionale verso i mercati finanziari e che la crisi economica è stata utilizzata per aumentare le disuguaglianze, svalutare il lavoro e diffondere precarietà.
È in queste contraddizioni che va ricercata la crisi del progetto europeo. È nella crescita delle diseguaglianze sociali, nei processi di esclusione sociale, che nascono i sentimenti antieuropeisti che stanno alimentando le forze reazionarie che minacciano l'Europa.
I paesi europei sono nati sulla base di Costituzioni costruite sulla consapevolezza dell'antifascismo. L'Europa di oggi, i suoi trattati, il controllo dei mercati, sono un attacco al cuore di quelle Costituzioni e, quindi, il rischio di un ritorno a derive autoritarie.
Per questo c'è bisogno di un'assemblea costituente europea, per rivedere gli impegni e riscrivere tutto, dall'inizio.
Aver costruito l'Unione Europea, senza dare sostanza a una più inclusiva cittadinanza europea e impoverendo la maggioranza delle sue popolazioni, come negli ultimi cinque anni è avvenuto, è stato e continua ad essere infatti il principale fattore di destabilizzazione del processo di integrazione di cui oggi paghiamo il prezzo.
Non è più rinviabile la reale democratizzazione delle istituzioni europee, per dare più potere ai cittadini, e la costruzione di un sistema welfare europeo, un Social Compact, che preveda un reddito di cittadinanza universale, per ridistribuire più equamente la ricchezza che tutti concorriamo a produrre. Ed è per questo che partecipiamo - con Yanis Varoufakis e tanti altri - al lancio di un ambizioso, visionario ma al tempo stesso realistico, piano per un New Deal europeo.
Crediamo infatti che l'Europa per nascere realmente debba fondarsi sulla solidarietà, anche fiscale, e non sulla competizione, a partire dalla ristrutturazione del debito degli Stati per arrivare alla sua federalizzazione e a un diverso ruolo della Banca Centrale, il cui Quantitative Easingha finora regalato ai circuiti della finanza speculativa miliardi di Euro che potevano invece essere investiti in infrastrutture socialmente utili o in un piano di lotta alle povertà.
Vogliamo batterci per una nuova Europa, più giusta e democratica, della quale siano protagonisti i suoi cittadini e le sue città. Pensiamo che accoglienza e libertà di circolazione non solo sono la risposta inevitabile contro ogni forma di xenofobia e nazionalismo, ma anche la chiave per rivedere la nostra politica estera. Difendere questi valori significa infatti chiudere la stagione degli accordi illegali nella gestione dei flussi migratori con paesi come la Turchia o la Libia, che non offrono nessuna garanzia sul rispetto dei diritti umani, e aprire invece corridoi umanitari per chi fugge da guerre e catastrofi ecologiche, e vie legali d'accesso per chi vuole raggiungere l'Europa. Significa praticare politiche di pace invece di alimentare guerre.
L'Europa per cui siamo stati in piazza non è quella attuale, non è quella dei mercati e della finanza, non è questa Europa, la "Nostra Europa" è radicalmente altro. Ed è per questa idea che noi ci stiamo già battendo.
Ma per fare tutto ciò serve un nuovo grande slancio, sociale, culturale e politico. È necessario dare testa e gambe ad un terzo polo, capace di offrire una reale prospettiva di cambiamento di fronte alla falsa alternativa, oggi rappresentata da quei mostruosi fratelli gemelli che si chiamano élite e populismi nazionalisti. Tante e tanti in tutta Europa, dalle più diverse provenienze e appartenenze, esprimono una domanda politica di libertà, democrazia e giustizia sociale, che è oggi insoddisfatta e che solo nella dimensione europea può trovare una risposta. Siamo stati nelle piazze per Roma anche per dire che siamo pronti a fare la nostra parte.

Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore 

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