La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 24 marzo 2017

Lealtà, defezione, protesta

di Alice Cavalieri e Adrián Pignataro 
Non ci sono più dubbi sul fatto che la scienza politica sia ormai diventata una disciplina altamente specializzata, all’interno della quale si rintraccia un utilizzo sempre più sofisticato sia di metodi qualitativi che quantitativi e statistici. In questo scenario di specializzazione metodologica, un lavoro di profondità teorica e ampio scopo interdisciplinare come quello di Albert O. Hirschman, Lealtà, defezione, protesta, si pone come un testo dalla straordinaria rilevanza. L’obiettivo principale del libro è innanzitutto quello di riempire un vuoto lasciato aperto dalla teoria economica classica, ovvero spiegare il motivo della crescente crisi di imprese e organizzazioni. Al fine di trovare una risposta a questa domanda, l’autore adotta un approccio multidisciplinare per il quale questo lavoro può essere considerato una vera perla nel campo di studio a cui appartiene.
Hirschman infatti, benché fosse un economista, non si è limitato a prendere in considerazione la sola organizzazione dei mercati ma ha guardato ad una molteplicità di aspetti, da quello politico a quello socio-culturale.
La premessa alla base della ricerca di Hirschman viene affrontata già nel capitolo I, in cui l’autore spiega che le organizzazioni – economiche e non – sono soggetti vulnerabili al declino. Tuttavia, offuscati dall’assunto della scelta razionale, gli approcci tradizionali dell’economia non hanno prestato attenzione a questa eventualità. L’autore vuole perciò spiegare quali possono essere le conseguenze: la prima è l’uscita dall’organizzazione, la seconda è quella che l’autore chiama voce, cioè la protesta all’interno dell’organizzazione.
Nei capitoli II e III vengono considerate più nel dettaglio queste due opzioni. Per quanto riguarda la prima, l’autore descrive una situazione in cui la qualità del prodotto viene a deteriorarsi a causa di contingenze esterne, fatto a cui segue l’uscita dei consumatori e la caduta dei profitti. Tuttavia questa funzione non è lineare, infatti, ad un livello intermedio di decadenza, l’organizzazione può essere ancora in grado di riprendere la propria efficienza. Per quanto riguarda la voce invece, Hirschman ne dà la seguente definizione: «ogni tentativo di cambiare, invece di eludere, uno stato di cose riprovevole, sia sollecitando individualmente o collettivamente il management direttamente responsabile, sia appellandosi a un’autorità superiore con l’intenzione di imporre un cambiamento nel management, sia mediante vari tipi di azioni e proteste, comprese quelle intese a mobilitare l’opinione pubblica». Hirschman in questo modo riporta anche una serie di rilevanti connotati politici nella stessa definizione, tra cui la protesta e l’opinione pubblica. Per questo appare già evidente che l’opzione uscita sia collegata più al settore economico, mentre l’opzione voce appartenga più propriamente alla sfera politica. Da qui nasce il dilemma su quali fattori determinino la scelta a favore di una delle due opzioni, in caso appunto di crisi dell’organizzazione. In primo luogo la voce può essere considerata come una scelta residuale rispetto all’uscita, quando quest’ultima strada non può essere percorsa. Altrimenti, si potrebbe preferire l’opzione voce, nonostante la fattibilità dell’uscita, mossi dalla convinzione della sua maggiore efficacia.
Il capitolo V tratta delle condizioni di monopolio. L’idea principale è che in tale situazione, la voce si rivela essere più efficace dell’uscita, che in realtà non può proprio essere presa in considerazione in questo caso.
Nel capitolo VI, partendo dalle due diverse opzioni uscita e voce, vengono criticare le teorie della concorrenza spaziale. Come formulato inizialmente da Harold Hotelling e corretto successivamente da Antony Downs, in una situazione di competizione tra due imprese o due partiti (situati alle estremità opposte di una scala ideologica) – assumendo che entrambi cerchino di massimizzare il proprio profitto o il numero di voti che possono ottenere – entrambe le imprese o i partiti andranno a convergere verso il centro, invece di rimanere situazione alle due estremità opposte. Hotelling assume che quando i partiti iniziano a spostarsi verso il centro, i membri non soddisfatti potrebbero decidere di uscire dall’organizzazione/partito. Tuttavia, Hirschman replica che alcuni di questi, invece di uscire, potrebbero «alzare la voce», portando in questo caso il partito a scostarsi di nuovo dal centro per tornare alla sua posizione ideologica originaria.
Il capitolo VII affronta il tema della lealtà e la sua connessione con voce e uscita. Hirschman afferma che più alto il livello di fedeltà, maggiore sarà la probabilità di protesta e che le possibilità di uscita sono ridotte al crescere della lealtà. Altro aspetto fondamentale, che segna un’importante rottura con l’approccio economico classico, riguarda la lealtà irrazionale, che si ritrova principalmente nei partiti politici e si manifesta soprattutto nei casi in cui l’uscita è difficilmente considerabile come valida opzione. La lealtà può essere concepita dunque come un potere negativo che ostacola l’opzione uscita, la paura della quale aumenta considerevolmente proprio in caso di più alti livelli di lealtà. Allo stesso modo, la possibilità di uscita rafforza ed aumenta l’efficacia della voce. Appare dunque alquanto chiaro come la lealtà diventi un bene di gran valore per un’impresa, poiché in grado di affievolire sia la possibilità di uscita che quella di voce. All’interno di questo capitolo viene poi considerato un altro meccanismo: il boicottaggio. L’autore si riferisce a questo come «la minaccia di defezione, ai confini tra voce e uscita». Tuttavia la discussione sembra un po’ approssimativa e incompleta, non essendo chiaro a quale delle due opzioni sia più vicina: è un’azione che possiamo dire appartenere al campo della voce, dunque simile alla protesta o alla mobilitazione dell’opinione pubblica? Oppure è una situazione preliminare anche se non necessaria all’uscita?
L’ottavo capitolo prende come esempio il caso degli Stati Uniti attraverso i due concetti chiave del testo, rivelandosi forse il capitolo più “debole” di tutto il libro, e va anche a minare in parte il lavoro di astrazione teorica fatto dall’autore sino a questo punto.
L’ultimo capitolo invece è probabilmente il più utile per la ricerca empirica, grazie al quale vengono descritte diverse tipologie di organizzazione in base alla possibilità di uscita e voce. Per riportare alcuni esempi, le associazioni volontarie si caratterizzano per avere entrambe le opzioni, mentre i partiti politici nei sistemi totalitari non presentano nessuna delle due. Hirschman giunge infine ad una conclusione prettamente di stampo normativo sulla crisi delle organizzazioni, secondo la quale non esiste una specifica formula in grado di determinare in quale misura siano necessarie l’uscita e la voce per uscire dalla crisi dell’organizzazione. In effetti – prendendo in considerazione il pensiero popperiano – il meccanismo per riuscire a superare le inefficienze dell’organizzazione si basa principalmente sul cosiddetto trial and error. In questa situazione, è importante sottolineare come il contesto istituzionale possa aumentare la responsiveness verso la voce.
Nei due saggi pubblicati alla fine del libro nella sua nuova edizione, Hirschman ribadisce il suo tentativo di convincere gli economisti della necessità di prendere in considerazione un concetto essenzialmente politico, quale la voce, per analizzare anche i fenomeni economici. L’autore afferma anche che probabilmente la sua «difesa d’ufficio della voce fosse troppo timida». Hirschman decide allora di cambiare la prospettiva adottata originariamente nel suo saggio – è stato infatti criticato all’autore di aver utilizzato esclusivamente una prospettiva “dal basso” – riferendosi allo Stato come organizzazione. Per far ciò, prende in considerazione il contributo di Rokkan, secondo il quale «la formazione e l’esistenza di ogni stato – e, anzi, di ogni organizzazione – postula alcune limitazioni o massimali nella dimensione dell’uscita o della voce o di entrambi. In altre parole, esistono livelli di uscita (disgregazione) e di voce (disordine) oltre i quali è impossibile per un’organizzazione esistere in quanto tale». Appare fondamentale dunque la revisione da parte dell’autore che ammette il fatto che, in particolar modo durante il processo di formazione di uno Stato, non ci sia la prevalenza di una opzione sull’altra ma che entrambe debbano essere limitate. Hirschman aggiunge poi la teoria della «valvola di sicurezza» – avanzata originariamente per spiegare la mancanza di combattività della classe operaia americana nel XIX secolo rispetto a quella europea – secondo la quale attualmente la valvola di sicurezza, ovvero lo sbocco della voce in eccesso, in realtà oggi si stia principalmente manifestando soltanto con la migrazione delle popolazioni dei paesi del Mediterraneo verso l’Europa occidentale.
Conclusioni
Riassumendo, Hirschman parte proprio dalla sfera economica per sviluppare il suo ragionamento, tuttavia quelli da lui forniti sono esempi che permettono di estendere lo studio a più campi. Lo scopo infatti sembra proprio quello di oltrepassare il solo settore dell’economia, per abbracciare lo studio di una sfera più vasta di istituzioni, soprattutto politiche e culturali. Questo classico è particolarmente rilevante nello studio del comportamento elettorale e dei partiti politici. Nello studio della partecipazione elettorale infatti, il numero di partiti si è visto essere un valido incentivo (Blais, 2006), mentre con un numero minore di partiti – che porterebbe ad una situazione di oligopolio o quasi-monopolio – l’opzione uscita (che in questo caso si traduce come mancata partecipazione al voto) potrebbe essere vista come la più allettante dagli elettori meno fedeli ad un partito. Questo assunto, insieme a fattori contestuali, potrebbe in parte spiegare la bassa partecipazione elettorale che si registra nelle elezioni politiche americane. Un ulteriore modo di spiegare l’uscita – di nuovo, la mancata partecipazione al voto – nel momento in cui si considera la partecipazione elettorale può essere basato sul «peggioramento della qualità»: gli scandali pubblici o la corruzione, come ad esempio nel caso del Watergate o Tangentopoli, possono erodere la legittimità della politica e diminuire la fiducia nei partiti e nell’intera classe politica. Nel momento in cui si va incontro ad una crisi nella qualità delle istituzioni, la voce e l’uscita si manifestano a seconda dell’attitudine degli elettori, della loro lealtà verso il partito e, ancor più importante, del contesto istituzionale all’interno del quale avviene la competizione. L’ultimo aspetto si può ritrovare in una situazione in cui i nuovi partiti politici riescono ad accaparrarsi nuovi elettori tra coloro che sono usciti dal loro vecchio partito di appartenenza. Tuttavia, questo accade soltanto in contesti in cui nuovi partiti hanno maggiori chance di nascere e devono adattarsi al contesto partitico-istituzionale per riuscire a sopravvivere. In sistemi partitici chiusi infatti, con formule elettorali di cui beneficiano principalmente i partiti più grandi a discapito dei minori – di fatto, in una situazione di oligopolio – ci sono poche probabilità di successo. Al contrario, con un sistema elettorale proporzionale con soglie di sbarramento basse, coloro che escono hanno maggiori probabilità di trovare nuove opzioni di loro gradimento. Questa potrebbe una parziale spiegazione dell’attuale successo di partiti populisti come il Front National, il Movimento 5 Stelle ed altri che stanno sviluppandosi in maniera esorbitante in tutta Europa, andando a sottrarre consensi ed elettori ai partiti mainstream.
Non bisogna poi dimenticare che Hirschman non era interessato solo alle possibili risposte alla decadenza delle organizzazioni ma anche ai potenziali meccanismi di ripresa da mettere in atto. Tuttavia l’autore manca di prestare attenzione alla rilevante differenza tra imprese e organizzazioni politiche: mentre le prime infatti possono essere più facilmente soggette a processi di ripresa avendo come scopo quello di salvare il proprio capitale, per le altre sono soggette ad un ragionamento differente. Il deficit di bilancio di un’azienda può avere conseguenze devastanti, mentre la valutazione negativa di un partito politico può rivelarsi di fatto innocua. Questi infatti possono continuare a competere nell’arena elettorale nonostante la bassa affluenza o anche riuscire a completare un mandato senza tuttavia approvare alcuna legge realmente significativa per il Paese o per il loro programma. Mentre un’impresa può fallire per bancarotta, è altamente improbabile che un partito possa estinguersi a causa della fine dell’ideologia alla sua base. Per questo la logica della sopravvivenza politica – per dirla con Bruce Bueno de Mesquita ed i suoi colleghi – non sembra affatto essere la stessa della ripresa di un’azienda in decadenza.
In conclusione, il saggio di Hirschman si dimostra essere molto più di una semplice definizione di uscita e voce, come spesso è stato superficialmente interpretato. Il meccanismo per l’attivazione delle due opzioni è complesso, così come lo sono il quando e il chi legati ai meccanismi di risposta. L’autore comunque, non manca di riportare critiche e aggiungere specificazioni al saggio nella versione originaria, grazie all’aggiunta dei due saggi finali.

Fonte: pandorarivista.it

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