La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 23 marzo 2017

Queste elezioni decideranno il futuro dell’Europa

di Conn Hallinan  
Parlando delle recenti elezioni in Olanda la vicenda principale sembra tratta dalla poesia di William Butler Yeats Il secondo avvento: “Le cose vanno a pezzi; il centro non tiene – i migliori mancano di qualsiasi convinzione, mentre i peggiori sono pieni di un’appassionata intensità”. La destra era in marcia, la sinistra era in guerra con sé stessa, i partiti tradizionali alla deriva e i barbari stavano picchiando alle porte dell’Unione Europea. E’ un’immagine grandiosa, piuttosto simile a Game of Thrones. Ma la realtà è considerevolmente più complessa. C’è, naturalmente, della verità nella rappresentazione apocalittica: i partiti di destra in Olanda, Francia e Germania sono cresciuti. Ci sono effettivamente alcune forti divisioni tra i partiti di sinistra. E molti europei sono parecchio scontenti di coloro che hanno inflitto loro politiche d’austerità che hanno affossato il livello di vita di tutti salvo un frammento dell’élite.
Ma ci sono altre narrazioni all’opera in Europa di questi tempi oltre a una mega serie televisiva della HBO su sangue, guerra e tradimenti.
Un colpo allo status quo in Olanda
Le recenti elezioni in Olanda sono un caso emblematico. Dopo essere stato in testa rispetto a tutti gli altri partiti, il razzista Partito per la Libertà di destra di Geert Wilders ha vacillato. Alla fine i suoi islamofobi non hanno spezzato i cancelli, anche se hanno ottenuto cinque seggi.
Nel complesso si è trattato di una vittoria per il centro, ma è stato anche un avvertimento per quelli che promuovono una politica di “mantenere la rotta” e, la conseguenza di aver abbandonato i principi nell’interesse del potere.
La Sinistra Verde è andata molto bene attaccando il programma anti-Islam di Wilders e contestando sul fronte economico il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia di centrodestra di Mark Rutte. In un dibattito nazionale Jesse Klaver, il dinamico leader della Sinistra Verde, ha sostenuto che gli addetti alle pulizie dovrebbero essere pagati di più e i banchieri di meno. L’elezione, ha detto, non è una questione di “Islam e mussulmani” bensì di “casa, reddito e assistenza sanitaria”. Gli elettori hanno chiaramente abboccato.
Il partner di coalizione di Rutte, il Partito Laburista di centrosinistra, è stato schiacciato, perdendo 29 seggi. Negli scorsi quattro anni il Partito Laburista Olandese ha accompagnato il programma di Rutte di aumento dell’età pensionabile e di taglio della spesa sociale, e gli elettori l’hanno punito per aver accantonato la sua politica progressista nell’interesse di un posto al tavolo.
Anche il partito di Rutte ha perso otto seggi, probabilmente andati a partiti centristi come Democrat66, suggerendo che il “tirar dritto” di Rutte non è quanto vogliono gli elettori (anche se è ancora il primo partito nel parlamento di 150 seggi).
Le elezioni olandesi hanno offerto alcune lezioni, anche se non quella semplicistica che i barbari “populisti” hanno perso contro il centro “ragionevole”.
Quello che hanno dimostrato principalmente è che gli elettori sono scontenti della situazione attuale, cercano risposte e i partiti di sinistra e di centrosinistra dovrebbero riflettere attentamente riguardo alla partecipazione a governi che considerano “ragionevole” impoverire il loro stesso popolo.
Francia in bilico
Successiva nel calendario delle elezioni è la Francia, dove i sondaggi mostrano il Fronte Nazionale neonazista di Marine Le Pen in testa in una gara a cinque con il candidato della destra tradizionale Francois Fillon, il centrista ed ex membro del Partito Socialista Emmanuel Macron, il candidato del Partito Socialista Benoit Hamon e Jean-Luc Melenchon della sinistra.
La prima tornata, in programma il 23 aprile, eliminerà tutti, salvo i due che avranno ricevuto il maggior numero di voti. Una tornata finale si terrà il 7 maggio.
Con Melenchon e Hamon rispettivamente all’11,5 e al 13,5 per cento, dividendo così il voto di sinistra, la gara risulta essere tra Fillon, Macron e la Le Pen, con quest’ultima nei sondaggi leggermente avanti rispetto a Macron e in posizione molto migliore di Fillon.
Se l’analogia dell’apocalisse vi attira, la Francia è probabilmente la vostra puntata.
La Le Pen sta conducendo una campagna mirata contro chiunque non sembri Carlo Magno o Giovanna d’Arco ma le sue forti posizioni anti-UE hanno buon gioco presso i giovani, nei piccoli paesi e nella popolazione rurale. Tutti e tre i gruppi sono stati lasciati indietro dalle politiche neoliberiste della UE che hanno causato de-industrializzazione e crescente disuguaglianza economica. I sondaggi indicano che lei ha il sostegno del 39 per cento degli elettori tra i 18 e i 24 anni, contro il 21 per cento a favore di Macron e il 21 per cento a favore di Fillon.
Fillon è stato ferito dalla rivelazione di aver usato fondi pubblici per corrispondere a membri della famiglia circa 850.000 euro per un lavoro da loro mai svolto. Ma anche prima dello scandalo il suo conservatorismo sociale ha trovato scarsa accoglienza tra i giovani e i lavoratori sono alienati dalla sua strategia economica che si allinea a quella del primo ministro britannico Margret Thatcher, che egli ammira molto. Il suo programma suona molto simile a quello di Trump: tagliare le indennità di disoccupazione e i servizi sociali, licenziare dipendenti pubblici e concedere tagli delle tasse ai ricchi.
Macron, un ex banchiere Rothschild ed ex ministro dell’economia sotto Hollande, sta correndo spalla a spalla con la Le Pen sotto lo slogan “En Marche” (“In marcia”) inducendo i critici di sinistra a chiedere “verso che cosa?”. La sua piattaforma è un misto di disciplina di bilancio e tenue stimolo economico. A 39 anni è giovane, telegenico e buon oratore. Ma le sue politiche sono vaghe e non chiaro se c’è un là in esse.
La maggior parte dei sondaggi indica un ballottaggio tra la Le Pen e Macron, con Macron in testa, ma può trattarsi di un’idea pericolosa. Il sostegno a Macron è tenue. Solo il 50 per cento di coloro che affermano di intendere votare per lui è “certo” del proprio voto. In confronto l’80 per cento degli elettori della Le Pen è “certo” di votare per lei.
Ci sono, anche, delle indicazioni inquietanti dei sondaggi riguardo alla seconda tornata. Secondo il sondaggio IFOP circa il 38 per cento dei sostenitori di Fillon passerà alla Le Pen –cioè due milioni di elettori – assieme al 7 per cento degli elettori di Hamon e all’11 per cento dei sostenitori di Melenchon.
Il dato che può essere il più inquietante, tuttavia, è che il 45 per cento degli elettori di Melenchon afferma che non voterà per nulla se Macron sarà il candidato anti Le Pen al secondo turno. Circa il 26 per cento degli elettori di Fillon e il 21 per cento degli elettori di Hamon si asterranno analogamente.
La Le Pen avrà bisogno di almeno 15 milioni di voti per vincere e il Fronte non ha mai ottenuto più di 6 milioni di voti a livello nazionale. Ma se l’affluenza sarà bassa gli elettori fortemente motivati della Le Pen potrebbero portarla all’Eliseo. In questo modo la Francia assomiglia molto alla Gran Bretagna prima del voto per la Brexit.
Se ciò dovesse avvenire la Le Pen premerà per un referendum nazionale sulla UE. Non c’è alcuna garanzia che i francesi voteranno per restare nella UE. E se se ne andranno ciò sarà la campana a morto della grande organizzazione degli scambi. La UE può andare avanti senza la Gran Bretagna, ma non potrebbe sopravvivere a una Frexit.
Sorprendente forza della sinistra tedesca
La Germania terrà elezioni nazionali il 24 settembre, ma la storia qui è molto diversa da quella che si svolge in Francia.
Il governo tedesco è attualmente una grande coalizione tra i Cristiano-Democratici conservatori della cancelliera Angela Merkel e i Socialdemocratici di centrosinistra. L’alleanza è stata un disastro per i socialdemocratici che a un certo punto hanno visto le loro percentuali nei sondaggi scendere sotto il 20 per cento.
Ma la politica tedesca ha avuto una svolta improvvisa. Alla sinistra della Merkel i socialdemocratici hanno cambiato leader e hanno rotto con le politiche industriali che hanno ridotto i salari dei lavoratori tedeschi per rendere il paese un gigante delle esportazioni. Alla destra della cancelliera la razzista, neonazista Alternativa per la Germania ha drenato elettori cristiano-democratici a sostegno di un bando all’immigrazione e di un ritiro dalla UE, anche se Alternativa sta scendendo nei sondaggi.
Quella che ha cambiato la partita è stata l’improvvisa popolarità dell’ex presidente della UE Martin Schulz, il nuovo leader dei socialdemocratici. Il partito è ora testa a testa con il blocco della Merkel e alcuni sondaggi mostrano Schulz in effetti sconfiggere la Merkel. In termini di popolarità personale, Schulz è ora davanti alla Merkel di 16 punti. Anche se l’alleanza cristiano-democratica della cancelliera è in testa ai sondaggi con il 34 per cento, i socialdemocratici hanno il 32 per cento e stanno crescendo.
Schulz ha fatto considerevoli progressi criticando il declino del livello di vita. La Germania ha un gran numero di lavoratori pagati poco e quasi il 20 per cento dei lavoratori tra i 25 e i 34 anni ha contratti insicuri a breve termine. Anche le indennità di disoccupazione sono state tagliate, nonostante l’economia della Germania sia la più robusta d’Europa e il paese abbia un surplus di 310 miliardi di dollari.
In ogni caso i giorni in cui la Merkel poteva ottenere il 40 per cento dei voti sono finiti. Anche se la sua coalizione sarà la prima, può non avere abbastanza seggi per governare, anche se i suoi alleati tradizionali, i liberaldemocratici, torneranno al Bundestag.
Ciò crea la possibilità del primo governo nazionale cosiddetto “rosso-rosso-verde” dei Socialdemocratici, del partito di sinistra Die Linke e del Partito Verde. Die Linke e i Verdi sono entrambi all’8 per cento nei sondaggi. Una simile alleanza governa attualmente numerose grandi città, Berlino compresa. Non sarebbe un fronte unito interamente a suo agio: i Socialdemocratici e i Verdi sono filo-UE, mentre Die Linke è molto critica dell’organizzazione.
Ma c’è un modello che dà speranza.
Il Portogallo è attualmente governato da un’alleanza tripartita che va dal centrosinistra alla sinistra. Anche tali partiti sono in disaccordo su cose quali la UE, il debito, e l’appartenenza alla NATO, ma al momento presente hanno deciso che stimolare l’economia e alleggerire il fardello di quasi un decennio di austerità è più importante dei dissensi.
Il jolly italiano
E poi ci sono gli italiani.
Anche se l’Italia non ha in programma elezioni, la sconfitta al referendum costituzionale sostenuto dal leader del Partito Democratico e allora primo ministro Matteo Renzi lo scorso dicembre è quasi una garanzia di un voto nei prossimi sei mesi.
L’Italia ha una delle economie più malfunzionanti della UE, con uno dei maggiori rapporti di indebitamento dell’Unione e numerosi grandi banche sono in grosse difficoltà. E’ la terza maggiore economia della UE, ma la crescita è anemica e la disoccupazione ostinatamente elevata, particolarmente tra i giovani.
Il Partito Democratico di centrosinistra di Renzi è tuttora in testa ai sondaggi, ma solo di poco, ed è sceso di 15 punti in due anni. A mordergli le calcagna c’è il a suo modo bizzarro Partito Cinque Stelle guidato dal comico Beppe Grillo, le cui politiche sono, beh, strane.
Il Cinque Stelle è fortemente contrario alla UE e si allea con numerosi partiti di destra nel parlamento europeo. Ha applaudito l’elezione di Donald Trump. D’altro canto ha una piattaforma con molti punti progressisti, compreso lo stimolo economico, servizi sociali potenziati, un reddito garantito per gli italiani poveri e trasparenza del governo. E’ anche critico della NATO.
Il Cinque Stelle ha recentemente subito alcuni colpi nei sondaggi perché il sindaco di Roma del partito ha fatto un lavoro mediocre nel far funzionare la grande, estesa città – in verità persino gli antichi romani lo consideravano un compito scoraggiante – ed è coinvolto in uno scandalo finanziario. Anche alcuni leader del Partito Democratico sono indagati per corruzione.
I soli altri grandi partiti della miscela sono Forza Italia, di centrodestra, dell’ex primo ministro Silvio Berlusconi, che ha ai sondaggi circa il 13 per cento, e la razzista e xenofoba Lega Nord all’11,5 per cento.
Quest’ultima, che ha la sua base nella settentrionale valle del Po, ha compiuto un recente tentativo di allargare la sua base portando la sua campagna a Napoli, nell’Italia del sud. Il risultato è stato una rivolta, con manifestanti che scagliavano sassi, bottiglie e Molotov contro il leader della Lega Nord Matteo Salvini.
Ci sono conversazioni informali in corso riguardanti l’unione dei due partiti di destra. In passato Berlusconi ha collaborato con la Lega Nord.
C’è anche un gruppetto di partiti più piccoli nel parlamento, che vanno da Sinistra Ecologia/Verdi a Fratelli d’Italia; nessuno registra più del 5 per cento. Ma poiché chiunque emerga al vertice avrà bisogno di formare una coalizione, anche partiti piccoli conteranno di più del loro peso reale.
Se il Cinque Stelle arriverà effettivamente primo e rappezzerà un governo, premerà per un referendum sulla UE e non c’è alcuna garanzia che gli italiani – malconci dalle politiche d’austerità del grande gruppo economico – non decideranno di tagliar la corda come hanno fatto i britannici. Una Italexit sarebbe probabilmente un colpo fatale per la UE.
La scelta dell’Europa
Predire gli esiti delle elezioni è difficile di questi tempi, essendo emblematici i casi della Brexit e dell’elezione di Donald Trump.
Le urne più volatili tra quelle imminenti sono in Francia e in Italia. La Germania sarà certamente importante ma anche se la Merkel sopravvivrà, il centrodestra sarà molto ridotto e la sinistra resa più forte. E ciò avrà implicazioni a livello dell’intera UE.
La sinistra europea è divisa, ma non tutte le divisioni vengono per nuocere e un dibattito robusto non è una cattiva cosa.
Nessuno dei problemi che l’Europa ha di fronte è semplice. La UE è salvabile? Quali sono le alternative all’austerità? Come si affrontano la crescente disuguaglianza e l’emarginazione di interi segmenti della società? Come si evita la trappola del debito in cui sono presi molti paesi, bloccati dalle censure economiche della UE dal perseguire qualsiasi strategia che non sia ulteriore austerità?
In una recente intervista Yanis Varoufakis, l’ex ministro greco delle finanze e uno dei fondatori dell’organizzazione di sinistra DiEM25, ha proposto un “New Deal” per l’Europa, in cui “tutti gli europei dovrebbero godere nel loro paese del diritto a un lavoro remunerato al salario minimo, a un alloggio decente, ad assistenza sanitaria e istruzione di elevata qualità e a un ambiente pulito”.
Il New Deal ha cinque obiettivi che Varoufakis sostiene possono essere realizzati nel rispetto delle regole attuali della UE e senza accentrare altro potere a Bruxelles a spese di democrazia e sovranità. Comprenderebbero investimenti “su larga scala” in tecnologie verdi, occupazione garantita con un salario minimo, un fondo europeo contro la povertà, un reddito universale di base e protezioni antisfratto per i vulnerabili.
Nessuno di questi obiettivi sarà facile da realizzare, ma neppure può l’Europa continuare sul suo percorso attuale. I “populisti” di destra possono perdere un’elezione, ma non scompariranno.
Quasi quarant’anni fa il primo ministro britannico Margaret Thatcher lanciò il suo attacco conservatore contro i diritti sindacali, l’assistenza sanitaria, l’istruzione e i servizi sociali con lo slogan “Non esistono alternative”. Il mondo sta tuttora raccogliendo i frutti amari di quegli anni e le ondate di odio e rabbia che hanno scatenato. E’ ciò che ha fatto entrare Trump nell’Ufficio Ovale e fatto arrivare la Le Pen a portata della presidenza francese.
Ma un’alternativa esiste e parte dalla semplice idea del bene maggiore per il maggior numero di persone.

Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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