La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 25 maggio 2017

Chiudere le frontiere è sbagliato. Riportiamo il dibattito sul piano dei diritti e della cittadinanza

di Filippo Miraglia 
La notizia era già stata anticipata da Repubblica la scorsa settimana e poi smentita dal governo. A distanza di qualche giorno è ricomparsa sullo stesso quotidiano, citando come fonte il ministro Minniti. Si tratta di un accordo tra ministri degli Interni di Italia, Ciad, Libia e Niger. Quindi un accordo che non passa al vaglio del Parlamento e che è promosso e gestito direttamente dall'esecutivo. Un accordo che prevede il ricorso all'esercito per rendere più efficace quella esternalizzazione delle frontiere che, per ora, non ha dato il risultato auspicato dal governo di bloccare i flussi nel mediterraneo centrale.
Lo stesso Alto Commissario per i Rifugiati delle Nazioni Unite ha espresso una forte preoccupazione per la sorte dei richiedenti asilo e, più in generale, dei migranti presenti in Libia. Filippo Grandi dice: "Sono rimasto scioccato dalle condizioni in cui sono detenuti migranti e rifugiati. Bambini, donne e uomini che hanno già sofferto così tanto non dovrebbero essere costretti a sopportare tali difficoltà."
Nonostante questa autorevole denuncia di una situazione ormai nota, l'obiettivo del governo resta quello di creare una barriera invalicabile alla frontiera sud della Libia. Non potendosi fidare di quel paese, data la sua instabilità (e inoltre ha negato l'accesso a militari stranieri sul proprio territorio), l'Italia ha sottoscritto un accordo che punta a chiudere le frontiere dal lato del Ciad e del Niger.
L'invio di militari chiarisce, se ce ne fosse stato bisogno, che di una vera e propria guerra ai migranti si tratta. Cade ogni finzione sulla "missione di pace", non esportiamo democrazia questa volta, ma chiusura delle frontiere. Non essendo sufficiente aver chiuso le nostre, impegniamo 200 milioni di euro del bilancio del ministero degli Esteri per chiudere le frontiere degli altri.
Ovviamente, come sempre negli ultimi anni quando si mettono in campo politiche contro i migranti, si dichiara di farlo a fin di bene, per la loro sicurezza. In questo caso per contrastare i trafficanti di esseri umani.
Si trascura il piccolo particolare che tutti quei richiedenti asilo, in fuga da Boko Aram, dalle persecuzioni di bande criminali in Darfur, dal dittatore Omar Al Bashir, dalla guerra in Sud Sudan, o da altri dittatori e violenze di gruppi criminali, non hanno altro modo che fuggire per mettere in salvo se stessi e i propri figli.
Papa Francesco parla di "terza guerra mondiale diffusa". Il numero di persone obbligate a lasciare le proprie case, secondo l'Unhcr, è il più alto dal dopo guerra a oggi e ogni anno aumenta avvicinandosi sempre più ai 70 milioni di persone. Una tragedia senza precedenti alla quale l'Europa e l'Italia, che fa da capofila in molte delle iniziative di esternalizzazione delle frontiere, risponde schierando l'esercito e alzando muri.
La manifestazione del 20 maggio scorso a Milano, dove 100 mila persone sono scese in piazza per dire sì all'accoglienza, no ai muri e alle leggi contro i migranti e i rifugiati, come la legge Orlando Minniti di recente approvazione, ha ridato speranza e coraggio al movimento antirazzista e ha mostrato un'Italia che non trova spazio nel dibattito pubblico e non prende quasi mai la parola, nonostante rappresenti una parte rilevante della nostra società.
Da quella piazza, con le sue contraddizioni e i suoi limiti, c'è bisogno di ripartire per trovare la chiave di interpretazione giusta di una fase nella quale la classe dirigente europea e italiana sembra aver perduto la bussola, cercando in maniera confusa la direzione da prendere, orientata solo dalla ricerca del consenso e non da principi o progetti volti a migliorare questo mondo terribile e disumano.
Le più di mille organizzazioni che hanno risposto all'appello del Comune di Milano, a cui va dato atto di aver colto una esigenza reale della società italiana, e le decine di migliaia di militanti, volontari e esponenti dell'associazionismo che hanno deciso si essere in piazza, devono riuscire a diventare protagonisti di una nuova stagione di mobilitazione civile.
La campagna Ero Straniero, della quale anche noi dell'Arci siamo promotori, può rappresentare uno strumento concreto di mobilitazione per i prossimi mesi.
Fermare le scelte di esternalizzazione delle frontiere, che sono oggi il vero nucleo fondante delle politiche sull'immigrazione dei governi europei, tentare di riaprire un terreno di confronto reale con la politica e le istituzioni per riportare il dibattito sul piano dei diritti e della cittadinanza, è responsabilità di tutte quelle realtà che credono nella civiltà dei diritti e nella giustizia sociale.

Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore 

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