di Guglielmo Epifani
La digitalizzazione e l’automazione non interessano solamente la manifattura e i servizi, ma investono direttamente la sfera di tutte le professioni intellettuali. Anche per questo motivo la svolta digitale deve diventare un’opportunità. La questione di fondo non è ritardare l’avanzamento delle nuove tecnologie, ma redistribuirne i benefici. Sarà proprio una politica attenta al sociale, alla cooperazione, a modelli inclusivi a superare diseguaglianze e discriminazioni.
L’innovazione tecnologica, in particolare l’introduzione della robotica e la digitalizzazione dei sistemi produttivi, ridisegna i processi industriali agendo in profondità su tutti i versanti della vita sociale, dalla produzione di beni e servizi alla ricerca scientifica e tecnologica, agli stili di vita, al mondo del lavoro nella sua totale accezione. L’industria 4.0, come è in uso definirla in questo frangente, rappresenta nel concreto una vera e propria quarta rivoluzione industriale. Non si tratta infatti di ottimizzare la qualità della produzione e l’efficienza dei servizi, bensì di avviare una riconversione integrale connessa alla trasformazione di tutti i fattori industriali.
Le nuove tecnologie sono destinate a intervenire sul complesso delle attività socio-produttive. Oggi muovono i primi passi prevalentemente in campo industriale laddove l’Internet of Things (IoT) è applicata alla produzione di beni: la catena di montaggio e le tute blu simbolo del Novecento sono sostituite da sensori, robot gestiti da piccoli nuclei di camici bianchi. Un’immagine che da sola proietta l’orizzonte di quanto profondo sia il cambiamento e come vada a incidere non solo sul ciclo industriale bensì sugli assetti sociali ai quali siamo legati.
L’Italia, considerata la struttura manifatturiera del suo sistema produttivo, si è mossa con qualche sollecitudine superando le consuete lentezze e in relazione con i più avanzati partner europei. Il Parlamento, segnatamente la Camera dei deputati, ha svolto un’approfondita indagine a più voci su Industria 4.0.1 Ne è scaturita una cornice entro la quale si vanno a collocare l’analisi dei big data, la robotica avanzata, le wearable technologies sino a tratteggiare nuovi modelli di business e connesse strategie di mercato articolate attraverso le ICT, la sharing economy e la circular economy. Si fa strada così una via italiana all’industria digitale, quella più adatta a coglierne le opportunità in un assetto economico costituito da un grande capitale umano, ma con un modesto capitale finanziario. Il nostro paese necessita pertanto di modelli applicativi all’open innovation collegati a standard aperti pensati per le caratteristiche specifiche del sistema produttivo italiano. Conviene ricordare che solo l’11% delle piccole e medie imprese italiane utilizza l’e-commerce.2 Decisivo appare, dunque, il superamento delle barriere alla digitalizzazione così da agevolare i processi di internazionalizzazione, far crescere e affermare sui mercati più competitivi il made in Italy. È questa la vera sfida dell’innovazione per l’industria italiana, quella che sarà in grado di rilanciare in modo stabile la produzione di beni e servizi di alta qualità offrendo nuove e diversificate occasioni di lavoro, le sole in grado di armonizzarsi sia con gli assetti socio-economici futuri sia con la necessità di ampliare in modo assai sensibile la platea di coloro che, uomini e donne, devono accedere al mercato del lavoro. È questa la chiave di volta per una crescita equilibrata e duratura.
Il modello aperto attraverso partnership tra aziende manifatturiere e produttori di software o con l’adozione di sistemi open source è elemento strategico per cogliere le opportunità di questa trasformazione industriale. È necessario pertanto in tutti i settori d’eccellenza del made in Italy definire una strategia italiana per l’industria 4.0. Ciò si realizza promuovendo l’interoperabilità, disincentivando le pratiche che impediscono la libera fruizione dei dati. Vanno ridotti gli specifici vincoli nazionali con un diverso approccio globale in modo da superare ogni barriera di ingresso per i piccoli innovatori. Ciò si integra con la prevenzione di utilizzi discriminatori o illegali dei dati adattando i codici di condotta alle norme europee e alle convenzioni internazionali ed evitando, al contempo, pratiche eccessivamente intrusive. Industria 4.0 potrà consentire un recupero di produttività sino al 50%, potrà garantire il reshoring delle produzioni con i conseguenti benefici sull’occupazione, servirà a favorire la crescita dimensionale delle imprese italiane.
Il governo è intervenuto mettendo a punto una serie di provvedimenti volti al rilancio della politica industriale come fattore cruciale della sua agenda. Il Piano Industria 4.0 rappresenta una occasione per tutte le aziende che vogliono misurarsi con la quarta rivoluzione industriale. Sono previste alcune misure organiche per favorire investimenti, innovazione e competitività. Ogni azienda infatti è in grado di attivare in modo automatico, senza vincoli dimensionali o di altro tipo, gli investimenti per la digitalizzazione dei processi, la valorizzazione della produttività dei lavoratori, la formazione di adeguate professionalità nell’evoluzione dei sistemi industriali.
Il Piano nazionale Industria 4.03 elaborato dal governo per gli anni 2017-20 ha individuato direttrici strategiche di intervento che prevedono di incentivare gli investimenti innovativi e le competenze attraverso percorsi formativi dedicati nella scuola superiore e nelle università, unitamente alla creazione di Competence Center e Digital Innovation Hub. Nel piano sono previste anche direttrici di accompagnamento con infrastrutture abilitanti per assicurare adeguate infrastrutture di rete (piano banda ultralarga) e collaborare alla definizione di standard e criteri di interoperabilità IoT. Strumenti pubblici di supporto ai grandi investimenti innovativi con poderosi incentivi fiscali automatici solo per chi investe sulle competenze e sull’innovazione contribuiranno, secondo le intenzioni del ministro Carlo Calenda, a sanare il gap che negli ultimi 25 anni ha determinato crisi di competitività dell’industria italiana e perdita di occupazione.
Il Piano Industria 4.0, inserito nella legge di bilancio 2017, ha previsto misure di super e iperammortamento e finanziamenti agevolati per rilanciare gli investimenti delle imprese in beni strumentali e in tecnologie nell’ambito dei big data, del cloud computing, della cybersecurity, della realtà aumentata e della stampa 3D. Sotto il più specifico profilo degli interventi diretti a sostegno delle piccole e medie imprese sono stati messi a disposizione 560 milioni di euro dal 2017 al 2023 a favore dello strumento agevolativo della cosiddetta “Nuova Sabatini” per investimenti in nuovi macchinari, impianti, beni strumentali e attrezzature. La misura è poi stata estesa agli investimenti in tecnologie per favorire la manifattura digitale, prevedendo un contributo statale maggiorato del 30%, cui è riservato il 20% delle risorse statali stanziate. L’importo massimo dei finanziamenti a valere sul plafond presso Cassa depositi e prestiti è incrementato fino a 7 miliardi di euro. È stato disposto un finanziamento di 20 milioni per il 2017 e di 10 milioni per il 2018 per i centri di competenza ad alta specializzazione nell’ambito del Piano nazionale Industria 4.0, per realizzare progetti di ricerca applicata a partenariato pubblico privato. Sono salite dal 19 al 30% le detrazioni fiscali per start-up e PMI innovative; le misure di finanza di impresa prevedono un impegno pubblico di 450 milioni tra il 2017 e il 2020 per mobilitare risorse private di 2,5 miliardi. È stato potenziato il bonus ricerca e, nella nuova versione, il beneficio è salito dal 25 al 50% per qualsiasi tipologia di spesa, mentre il tetto del credito d’imposta annuo per beneficiario è salito da 5 a 20 milioni. Il credito sarà calcolato in percentuale delle spese incrementali rispetto alla media degli investimenti realizzati nel triennio 2012-14. Il bonus si estenderà anche alle imprese attraverso contratti con multinazionali. Oltre a queste misure, il decreto del MiSE dell’8 novembre 2016 sui nuovi contratti di sviluppo, strumento destinato ai grandi investimenti produttivi, ha inserito il Piano Industria 4.0 tra i requisiti per sottoscrivere forme speciali di accordi – con corsie di approvazione dei contratti più semplici e veloci – tra Ministero e Regioni per progetti di rilevanti dimensioni con determinate caratteristiche, quali appunto la presenza di investimenti funzionali alla digitalizzazione della produzione.
L’utilizzo congiunto di queste misure dovrebbe consentire – secondo una nota del Centro Studi di Confindustria – di aiutare la propensione a innovare delle imprese italiane, in modo da generare un effetto moltiplicatore positivo su tutto il sistema paese incrementando produttività e competitività internazionale. La svolta digitale è un’opportunità che vale 4 punti di PIL nei prossimi tre anni – secondo i dati emersi da un recente Forum organizzato dai Giovani imprenditori di Confindustria e da Facebook – e la capacità delle aziende italiane di adottare ora una cultura digitale determinerà quanto riusciranno a capitalizzare del suo enorme potenziale. La sfida appare decisiva per l’Italia, seconda manifattura europea che si attesta tuttavia al venticinquesimo posto nella classifica “digitale” dei paesi UE secondo l’indice DESI 2017 (Digital Economy and Society Index) che sintetizza dati relativi a connettività, capitale umano, uso del web, integrazione delle tecnologie digitali e digitalizzazione dei servizi pubblici. La certezza è che nel futuro prossimo non potrà esistere una manifattura senza digitale e che anche l’impresa più tradizionale non potrà competere senza ICT, e-commerce e cloud. Le condizioni di base per una partenza immediata vi sono: 500 miliardi di export, il brand made in Italy che è il terzo nel mondo4 (dopo Coca-Cola e Visa), circa 7000 start-up innovative che danno lavoro a oltre 36.000 persone. Tuttavia si deve ancora compiere il passo decisivo verso l’e-commerce: solo 40.000 imprese vendono on-line contro le 200.000 francesi e il fatturato e-commerce incide solo per il 9% sui ricavi contro il 17% della media UE.
L’impatto della quarta rivoluzione industriale non riguarda né si applica esclusivamente ai processi produttivi e commerciali. La digitalizzazione non interessa solo la manifattura o i servizi, l’automazione non interviene, secondo uno dei tanti neologismi statunitensi, solo sulle attività delle 3D, noiose, sporche e pericolose (dull, dirty, danger-ous), ma investe direttamente la sfera delle professioni intellettuali. Computer sono già in grado di leggere ecografie e risonanze magnetiche, Watson di IBM è utilizzato per formulare le diagnosi e trovare le cure migliori confrontando il caso in esame con milioni di casi in archivio e svolgendo in pochi secondi il lavoro per cui un medico impiegherebbe mesi. Ross è la prima intelligenza artificiale, basata sempre sulla tecnologia Watson IBM, in grado di capire il linguaggio degli avvocati, formulare ipotesi, condurre ricerche, trovare soluzioni. Nessuno può sentirsi al riparo dall’impatto delle tecnologie che delineano un’originale filosofia della conoscenza. Questo scenario si innesta in una fase storica di significativa trasformazione sociale ed è destinato a produrre effetti nel breve e medio periodo che potrebbero rivelarsi ancora più destabilizzanti, se non previsti e governati in modo lungimirante attraverso politiche inclusive della società, modelli di sviluppo solidale integrato, nuove professioni che vanno immediatamente stimolate e non pazientemente attese per compensare gli effetti diretti sul lavoro e sull’occupazione di queste innovazioni che al crescere della produttività legano la riduzione degli occupati.
Dobbiamo avere cura di progettare i tempi e i modi di questo nuovo grande cambiamento, innervando di una cultura sempre più ricca di valori e di conoscenze che rendano ciascun uomo più libero e consapevole. È così che si superano quelle comprensibili paure e resistenze di fronte alla possibilità che un numero significativo degli attuali posti di lavoro – che gli studiosi calcolano tra il 10 e addirittura il 40% – sia sostituito dalla robotica avanzata. È indubbio che ciò avverrà in un lasso di tempo non breve, perché la trasformazione di interi sistemi è certamente complessa e impegnativa. Qui sarà decisiva l’azione della politica. Già oggi le classi dirigenti devono impegnarsi con grande energia e dedizione per immaginare e costruire la società e la civiltà del domani. L’innovazione tecnologica deve combinarsi con originali strutture sociali, non è pensata per un impianto tipicamente novecentesco, bensì per un modello contraddistinto da valori fondanti che pongano la persona e non i beni al centro dell’attenzione. Ciò, qualora efficacemente governato da strategie inclusive e solidali, sarà in grado di creare posti di lavoro sul versante della ricerca, della cultura, di nuove forme di artigianato e comunque in tutte le attività non sostituibili dalle macchine nei settori dell’assistenza alle persone, dell’istruzione, della diffusione delle conoscenze, dei servizi qualificati alle famiglie.
Si rendono indispensabili politiche pubbliche orientate a una equa e reale redistribuzione della ricchezza prodotta con l’ausilio delle nuove tecnologie. Una parte della maggiore produttività del lavoro dovrà essere utilizzata per favorire lo sviluppo inclusivo di tutta l’architettura e non potrà essere assorbita prevalentemente dal capitale e dalla finanza. Si sosterranno così modelli di crescita equilibrata. Tutto ciò in un contesto internazionale fortemente integrato.
L’Italia e l’Unione europea si devono muovere in questa direzione, con l’obiettivo di combinarsi in maniera originale con l’attuale globalizzazione. La politica dovrà evitare che questa ulteriore fase di sviluppo delle economie ad alta conoscenza finisca per allargare ancora di più il fossato che divide l’umanità tra quanti hanno accesso non solo ai beni e ai servizi, ma alla cultura, alla tecnologia e all’innovazione e quanti ne sono relegati ai margini. Le aree geografiche svantaggiate potrebbero diventare più ampie e ritrovarsi con minori risorse rispetto alle attuali e gli effetti sociali destabilizzanti si possono facilmente immaginare. La questione di fondo non è ritardare l’avanzamento delle nuove tecnologie, ma redistribuirne i benefici. Sarà proprio una politica attenta al sociale, alla cooperazione, a modelli inclusivi a superare diseguaglianze e discriminazioni.
[1] Camera dei deputati, Indagine conoscitiva su «Industria 4.0»: quale modello applicare al tessuto industriale italiano. Strumenti per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali, 30 giugno 2016, disponibile su www.camera.it/_dati/leg17/ lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/017/016/INTERO.pdf
[2] Si veda Confartigianato impresa, Studi – E-commerce per 16,1 milioni di italiani (50,5% internauti) e nell’ultimo anno 1,3 milioni in più (+9,1%). Crescita a doppia cifra per prodotti offerti anche da imprese artigiane, 11 gennaio 2017, disponibile su www.confartigianato.it/2017/01/studi-e-commerce-per-161-milioni-di-italiani- 505-internauti-e-nellultimo-anno-13-milioni-in-piu-91-crescita-a-doppia-cifra-per-prodotti-offerti-anche-da-imprese-artigiane.
[3] Ministero dello Sviluppo economico, Piano nazionale Industria 4.0, disponibile su www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/documenti/2017_01_16_Industria_40_Italiano.pdf
[4] Fonte KPMG Advisory
Fonte: italianieuropei.it
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