La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 25 maggio 2017

Frontiere


di Lorenzo Mesini
Con Frontiere Manlio Graziano, professore di Geopolitica e Geopolitica delle religioni a Parigi, giunge alla pubblicazione del suo terzo e ultimo libro per i tipi del Mulino. Si tratta di un agile libello che viene ad arricchire la collana Parole Controtempo con cui l’editore bolognese si propone di compiere una serie di incursioni provocatorie su temi apparentemente inattuali. Cosa ci potrebbe essere di più inattuale della riproposizione delle frontiere nel tempo della globalizzazione, del trionfo di Internet e dei social network? Cosa potrebbe essere più datato delle frontiere, dei muri e delle reciproche chiusure tra gli stati-nazione dopo la fine della Guerra fredda, nell’Europa della libera circolazione di persone, merci, capitali e servizi?
Muovendo dallo scenario inaugurato dalla crisi del 2008, che ha fatto emergere le contraddizioni interne agli attuali processi di globalizzazione, l’Autore ha inteso svolgere una ricognizione della natura multiforme delle frontiere, nel momento in cui flussi migratori e venti protezionistici sembrano riproporne la necessità e il valore. Ne è nato un libro di piacevole lettura, ricco di dati ed esempi storici che l’Autore commenta in maniera brillante ed efficace.
Le riflessioni di Graziano partono dalla considerazione che le frontiere sono oggetti politici e, in quanto tali, presentano caratteri e funzioni che mutano nel tempo e nello spazio. Come tutti gli oggetti politici le frontiere costituiscono infatti strumenti di interazione sociale ed esercizio del potere, le cui connotazioni variano in relazione ai contesti: connotazioni giuridiche, sociali, morali e psicologiche (p.7). Diversamente dagli altri oggetti politici, le frontiere presentano tuttavia un carattere intrinsecamente ambivalente: sono al tempo stesso luogo di separazione e di connessione, strumento di divisione e di incontro. Individui, gruppi sociali, norme giuridiche, pratiche politiche, ideologie, territori etc. vengono al contempo divisi e messi in relazione reciproca negli spazi di frontiera. Luoghi di incontro e di conflitto, di scambi e contrasti reciproci, le frontiere presentano in tutti i contesti il proprio carattere intrinsecamente duplice. Questa la tesi di fondo sostenuta dall’Autore nel corso del libro.
L’intento di Graziano è quello di valutare la frontiere da un punto di vista dinamico. Questo comporta, a suo avviso, che la trattazione prenda in esame tre elementi. In primo luogo il carattere storico delle frontiere, la cui forma odierna risale a poco più di tre secoli e mezzo fa. Le frontiere come le conosciamo oggi sono legate alla nascita dello Stato moderno e del principio di sovranità in seguito al Congresso di Vestfalia (1648). La loro crisi corrisponde per l’Autore a quella del sistema internazionale incentrato sugli stati-nazione, verificatasi in seguito alle due grandi ondate di globalizzazione che hanno segnato la storia contemporanea: la prima, tra il 1870 e il 1913, sfociata nel primo conflitto mondiale, e la seconda, iniziata negli anni Settanta del secolo scorso. Considerare il carattere dinamico della frontiere significa, in secondo luogo, comprendere il loro carattere strumentale (p.10). In quanto strumenti, possono svolgere un ampio raggio di funzioni a seconda di interessi, contesti e opportunità politiche. Per Graziano, le frontiere non rappresentano dunque un dato naturale, un obiettivo da perseguire a prescindere da altre valutazioni. Le frontiere non costituiscono un fine a priori. Le frontiere sono mezzi, strumenti che assumono forme e significati differenti a seconda dei luoghi e degli attori politici che le erigono o da cui sono esclusi (p.11). Infine, considerare dinamicamente le frontiere, significa essere consapevoli della loro natura statuale, il loro esser parte della vita politica degli stati di cui sono parte. Contrariamente a quelle interpretazioni legalistiche che vedono gli stati definiti dalle loro istituzioni (vi è Stato laddove vi sono certe istituzioni, e non viceversa), Graziano illustra come la costruzione di uno Stato muova invece dalla lotta tra fazioni diverse per la definizione di un “interesse nazionale” attorno a cui costruire le varie istituzioni, tra cui le frontiere (p.12).

Breve storia delle frontiere e del loro ruolo

Il libro si compone di tre capitoli. Nel primo, l’Autore traccia una breve storia delle frontiere, al fine di delineare efficacemente il loro ruolo contraddittorio nell’attuale fase di ridefinizione degli equilibri politici a livello globale. Nel secondo viene invece approfondito il carattere ambivalente delle frontiere, passando in rassegna le diverse di dinamiche che le riguardano nel panorama attuale: migrazioni (interne agli stati o tra stati e aree geografiche diversi), lo sviluppo di frontiere religiose e ideologiche, le frontiere che sono tali solo sulle carte geografiche e le frontiere non riconosciute ufficialmente, ma reali, degli “stati-fantasma”. Il terzo capitolo, infine, delinea i processi che attualmente in corso nelle ridefinizione delle frontiere di alcune delle principali regioni politiche del globo: Europa, Medio-Oriente, Africa, Russia, Cina e Stati Uniti.
Graziano illustra come non sia possibile una concettualizzazione pregnante del carattere ambivalente delle frontiere unicamente per mezzo di indagini terminologiche o del diritto internazionale (pp.19-23). La prospettiva storica risulta fondamentale a tal riguardo. L’Autore fa emergere come le frontiere moderne siano legate alla nascita e agli sviluppi dello Stato-nazione, all’economia capitalista, al colonialismo e non da ultimo ai nazionalismi. Le frontiere, così come siamo abituati a conoscerle, sono le frontiere dei moderni stati-nazione che vengono tracciate con la nascita dello Stato moderno nell’Europa nel XVII secolo, in seguito alle guerre civili di religione. Fu allora, con l’affermarsi del moderno principio di sovranità, che nacque l’esigenza di tracciare confini netti tra i territori dei diversi principi e di omogeneizzare le popolazioni che si trovavano all’interno di quei confini. A frontiere politiche precise dovevano corrispondere popolazioni culturalmente omogenee. L’Autore sottolinea come le frontiere dei moderni stati-nazione abbiano giocato un ruolo fondamentale non solo nella definizione delle rispettive identità nazionali ma anche nella costruzione dei vari mercati capitalistici nazionali, in un’ottica di espansione nella competizione internazionale con gli altri stati. Graziano riesce a delineare in maniera agile le principali tappe che hanno segnato la storia dello Stato moderno fino al Novecento, quando con la fine della Seconda guerra mondiale le frontiere del sistema internazionale degli stati si riorganizzarono secondo il principio di nazionalità, espresso da Wilson nel 1918. Tale riorganizzazione, come non manca di sottolineare l’Autore, avvenne al prezzo del trasferimento forzato di intere popolazioni e all’annientamento di alcune di esse, come quella ebraica (p.46).
Graziano evidenza in maniera efficace come il principio di nazionalità sia considerato ancora oggi il mezzo privilegiato per organizzare e mantenere la pace tra gli stati. Questo nonostante gli esiti sanguinosi e insoddisfacenti a cui tale principio ha dato luogo nel corso del secolo scorso (si veda da ultimo il caso Jugoslavo). «Il paradosso – osserva l’Autore – è che il principio di nazionalità resta l’indiscusso orizzonte giuridico e ideologico della politica mondiale in una fase storica che vede nel tempo stesso il declino dello Stato-nazione, e il diffondersi di dottrine globaliste sull’appiattimento del mondo […] secondo le quali le frontiere sarebbero diventate ormai un’inutile obsolescenza del passato» (p.49). La contraddizione di fondo che l’Autore individua lungo la sua analisi risiede nel cosmopolitismo dell’economia e nell’ottica nazionale su cui sono organizzati gli stati. Da un lato, infatti, abbiamo la globalizzazione della produzione, dei mercati e degli scambi commerciali, dall’altro la politica e gli stati continuano ad avere un carattere prettamente nazionale. La globalizzazione, puntualizza l’Autore, per certi versi scavalca le frontiere, per altri provoca conflitti e reazioni di chiusura in sua risposta. Il risultato è uno sviluppo economico ineguale (l’emergere di aree privilegiate e aree svantaggiate) su cui naufragano, almeno per ora, i sogni cosmopoliti e universalistici di una società globale senza classi e/o frontiere (pp.53-55). Graziano sottolinea come la fine della Guerra fredda, seguita alla deregolamentazione e alla liberalizzazione dei mercati avviata negli anni Settanta, non abbia portato a un’integrazione pacifica, a un mondo “piatto” ma all’interconnessione spesso conflittuale di realtà economiche e sociali molto diverse tra loro. Gli esiti di tale processo sono stati tutt’altro che pacifici e lineari. A fronte di un aumento del commercio e degli investimenti avvenuto tra il 1980 e il 2007 (rispettivamente dal 42,1% al 62,1% e dal 6,5% al 31,8% del prodotto globale) che ha concesso inedite possibilità di crescita, le frontiere e i conflitti si sono moltiplicati in un processo di lenta ma graduale ridefinizione degli equilibri geopolitici mondiali (pp.60-64).

Frontiere in corso

Alla domanda iniziale se le frontiere siano attuali o meno, Graziano risponde che a tale quesito non può darsi una risposta semplice e univoca. Poiché riguardano processi politici, economici e sociali in corso, le frontiere sono attuali e inattuali al tempo stesso. Da un lato sono inattuali, dal momento che i processi di globalizzazione hanno intaccato la sovranità degli stati-nazione che le avevano istituite; dall’altro sono attuali, poiché l’indebolimento di quegli stessi stati ha rotto i precedenti equilibri politici e sociali, creando disorientamento uito alla richiesta di nuove frontiere capaci di fornire sicurezza e pace in un mondo i cui i tradizionali assetti di potere sono in via di profonda ridefinizione (p.13). Dal 2008 a oggi si sono infatti moltiplicate le forze politiche che richiedono il rafforzamento della sovranità e delle identità nazionali insieme all’adozione di misure protezionistiche a tutela dei propri mercati interni. Graziano descrive con attenzione questo insieme di processi, sottolineando come questi rappresentino la manifestazione della crisi acuta in cui versano sia i vecchi che i più recenti stati-nazione, nel momento in cui sono investiti in pieno dalla globalizzazione  neoliberista dell’attuale sistema capitalistico. Rinnovate chiusure e nuove ondate di protezionismo non rappresenterebbero alcuna soluzione al carattere contraddittorio della globalizzazione, precisa giustamente l’Autore. Al contrario, queste sarebbero le condizioni di partenza per una nuova guerra, generalizzata e incontrollabile.
Nel complesso, il libro ha il merito di riuscire a fornire un’efficace panoramica storico-politica sui nessi che legano le odierne frontiere ai processi di globalizzazione. Non si tratta di un tema facilmente affrontabile in meno di duecento pagine, senza incorrere nel rischio di un’eccessiva semplificazione. Tuttavia, pur affrontando in maniera riassuntiva e semplificata questioni di ampia portata e sicuramente meritevoli ulteriori approfondimenti specifici, le riflessioni svolte dall’Autore sono tali da offrire a un’ampia platea di lettori una sintesi chiara e ben documentata di problemi relativi non solo alla nostra storia passata, ma che riguardano sempre di più il futuro della nostra società. Senza l’ambizione o l’ingenuità di fornire facili risposte e soluzioni, il libro di Graziano rappresenta un valido contributo al dibattito pubblico su temi, a nostro avviso, sempre più rilevanti per l’Italia e l’Europa e per questo degni di ulteriore attenzione.
Fonte: pandorarivista.it 

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