La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 13 giugno 2017

Qualche considerazione sulla 'moneta fiscale'

di Sergio Farris
Da qualche tempo è stata avanzata e offerta al dibattito pubblico, da parte di autorevoli studiosi (Bossone, Cattaneo, Grazzini, Sylos Labini), una originale proposta diretta ad aiutare il Paese nella sua stentata uscita dalla stagnazione economica. I Certificati di Credito Fiscale. La proposta ha fatto capolino anche in qualche convegno dei Comitati per l'attuazione della Costituzione. Antepongo alle seguenti brevi considerazioni la assoluta lucididità della diagnosi dei problemi fatta dagli autori.
Tale diagnosi enuclea nella carenza della domanda aggregata rispetto all'offerta l'ostacolo che si frappone a una robusta ripresa del sistema economico nazionale ed al recupero dalla povertà di vasti strati della popolazione. I CCF costituirebbero, in effetti, uno strumento in grado di realizzare l'espansione della domanda tuttora carente. Con qualche riserva. Essi consistono, in sostanza, in sconti fiscali aventi aventi natura e ruolo, per certi versi similare, a quelli di una moneta. Se introdotti, sarebbero dei titoli emessi gratuitamente dallo Stato che darebbero diritto ai cittadini (lavoratori e aziende) di ottenere sconti fiscali a partire da una certa data, posteriore rispetto a quella di emissione. Lo Stato potrebbe: 1) elargire determinati importi di CCF direttamente agli individui, integrandone il reddito; oppure potrebbe fornirne uno a chi non ne percepisce o, ancora, erogarli alle aziende di modo che queste li utilizzino per i versamenti previdenziali e sociali (si tratterebbe cioè, di sconti sul cuneo fiscale). 2) potrebbe finanziare con tale mezzo i propri investimenti, ad esempio pagando con i CCF le imprese esecutrici di lavori pubblici.
I CCF rappresenterebbero un vantaggio fiscale futuro, consentendo il loro impiego per il pagamento allo Stato di imposte e tasse, ad esempio dopo due anni (o, comunque, a una scadenza convenuta). Lo Stato, al momento del pagamento, andrebbe naturalmente incontro a una riduzione dei suoi incassi pari al valore dei CCF emessi qualche anno prima. I CCF costituirebbero una 'quasi moneta' perchè sarebbero cedibili, in cambio di euro, da parte degli assegnatari. Potrebbero cioè essere ceduti a soggetti che sanno di dover adempiere, in un futuro prossimo, ad obblighi fiscali. La scommessa dei proponenti di questi titoli è che questi vadano a formare un mercato tale da aumentare considerevolmente la liquidità in euro nel sistema economico e, inoltre, che finiscano essi stessi per essere accettati come contropartita nell'acquisto di beni e servizi fra privati.
In pratica, e veniamo contestualmente alla mia prima incertezza riguardo a questo strumento, si dà per certo che i possessori dei CCF saranno indotti a incrementare la propria spesa di una percentuale pari (o quasi) all'accresciuta disponibilità 'monetaria'.
In realtà, ciò potrebbe avvenire in misura insufficiente rispetto alle attese di rilancio dell'economia, o, al limite, potrebbe non avvenire affatto. L'economista Milton Friedman (noto per essere stato il capostipite del 'monetarismo') aveva coniato l'espressione 'helicopter money', ossia denaro lasciato cadere dagli elicotteri (The Optimum Quantity of Money, 1969). Con ciò, si riferiva provocatoriamente a una situazione in cui il pubblico non spende e l'inflazione è scarsa.
Anche ipotizzando, come fanno i proponenti, una notevole 'liquidità' del CCF (il superamento della diffidenza riguardo alla loro accettabilità), affinchè l'incentivo alla spesa abbia luogo occorre in realtà una ragiovevole certezza che l'aumentato reddito permanga stabilmente. Occorre cioè, che l'economia imbocchi un sentiero di crescita duraturo, il che non è garantito da uno stimolo in prevalenza indiretto come quello di cui si tratta. La propensione al risparmio potrebbe eccedere la propensione al consumo. Inoltre, la 'moneta parallela', se accettata, potrebbe essere destinata alla rifusione di debiti pregressi, senza stimolare consumi e produzione. Se tutto ciò dovesse verificarsi, ci si troverebbe altresì dinanzi al fatto di uno 'smagrimento' del settore pubblico: le ridotte entrate fiscali non verrebbero compensate dalle entrate fiscali attese che sarebbero derivate da un'espansione economica.
Personalmente, resto più propenso a ritenere che, piuttosto dell'affidamento a private scelte individuali nel mercato, occorra, ai fini di rilancio del Paese, un intervento strategico per obiettivi generali da parte del settore pubblico, fra cui quello di una cornice di regole e relazioni industriali che consenta una crescita 'trainata dalle retribuzioni' (l'opposto di quanto da troppi anni avviene).
Sono poi particolarmente contrario alla proposta di sconti sul cuneo fiscale a vantaggio delle imprese. Quando si entra in tale argomento, si dà per assodato che il problema di competitività del sistema produttivo italiano sia da ricercare nell'elevato costo del lavoro. Non è così. Sarebbe quindi meglio evitare di conferire una patente di legittimità a tale presupposto, finendo con il giustificare le ricorrenti richieste degli industriali sempre tese a lamentare l'inesistente impossibilità di poter procedere all'assunzione dei giovani.
Ampliando il quadro, non bisogna dimenticare che restiamo legati a un insieme di regole sovranazionali. In particolare, se è vero che, come opportunamente sottolineato dai proponenti i CCF, dal lato della contabilità nazionale non si avrebbe alcun peggioramento degli equilibri di bilancio fissati dall'Unione Europea (i CCF non sarebbero titoli obbligazionari, ma titoli di credito tributario), permarrebbe il problema della sottrazione alla Banca Centrale Europea del 'monopolio' (stabilito nell'architettura ordinamentale della UE) relativo al 'controllo' della stabilità monetaria. L'emissione di nuovi 'euro' potrebbe spingere altri Paesi, specialmente il guardiano dell'ortodossia monetarista, ad accusare l'Italia di aggiramento del regime fiscale e monetario concordato nei Trattati, perturbandone l'ordine.
Infine: se la UE fosse disposta alla tolleranza riguardo a una politica fiscale espansiva da parte del nostro Paese, se ne potrebbe inferire che i tempi sarebbero maturi per una revisione delle regole di disciplina del bilancio pubblico oggi (purtroppo) vigenti. Tanto varrebbe, allora, puntare gli sforzi su una radicale riforma di tali regole. Per esempio, oltre alla loro distribuzione ai cittadini, un'interessante modalità di impiego dei CCF (sempre dato per scontato quanto detto circa la 'fluidità' del loro mercato) sarebbe quella, accennata, di finanziare investimenti pubblici. Ma, anche qui, vi sono già proposte di finanziare gli investimenti da parte dei singoli stati scomputando dal deficit la corrispondente spesa.
Temo proprio che dovremo rimanere inchiodati alla stupida austerità che nessun politico vorrà, ancora per un bel pezzo, mettere seriamente in discussione.

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