La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 26 novembre 2015

Il petrolio e il terrorismo

di Andrea Ranieri 
Gli inviti alla serenità, ad aver fiducia negli interventi militari e nelle misure sulla sicurezza dei governi del mondo, si scontrano in queste ore con i tamburi di guerra fra la Russia, la Turchia e la Nato. I governi del mondo mostrano ogni giorno di più di mettere al primo posto i propri interessi economici e strategici alla sconfitta dell' Isis e del terrorismo. Così la Turchia, che considera prioritaria la lotta contro i curdi e contro Assad rispetto alla sconfitta dell'Isis, così l'Arabia Saudita che è sempre più impegnata a bombardare, con le armi che noi gli abbiamo venduto, le popolazioni sciite dello Yemen piuttosto che combattere il fondamentalismo islamico.
Le speranze suscitate dai colloqui fra Putin e Obama per un impegno congiunto contro l'Isis, e con l'appoggio dell'insieme dei Paesi islamici, sembrano dissolte, e fra Russia e Usa risoffiano i venti della guerra fredda.
Aumenta tra le persone la paura e l'incertezza del proprio futuro, dal momento che quelli che avevano assicurato di proteggerle si sparano tra di loro. Ma la paura è destinata ad aumentare se ci si rassegna a fare da spettatori. L'unico modo per provare a vincerla è decidere di fare quello che è in nostro potere evitare che i governi del modo ci spingano verso il baratro. Domenica 29 ci sarà a Roma e nelle maggiori capitali europee la marcia contro il riscaldamento globale, perché gli Stati del mondo riuniti a Parigi decidano di fare passi concreti per farci uscire dalla dipendenza del petrolio e puntare ovunque sulle energie rinnovabili, sul risparmio energetico, sulla manutenzione e sul riciclo uscendo dall'orgia del consumismo e dello spreco. Se la svolta ecologica dell'economia venisse decisa, con nettezza e senza sotterfugi, sarebbe il contributo più grande non solo alla salvezza del pianeta ma anche alla lotta contro il terrorismo. Perché è per il petrolio che si fanno le guerre e si vendono le armi. Le armi che abbiamo venduto e che vendiamo all'Arabia Saudita e alla Turchia sono le stesse che dopo aver ammazzato in patria un po'di curdi, di yemeniti, di siriani, ritornano alla base in Europa nelle mani dei terroristi. Le armi si vendono ai nostri alleati, che sono tali non per il loro livello di civiltà e di democrazia ma sulla base delle riserve di petrolio che possiedono e della loro disponibilità a reinvestire i proventi della vendita nelle economie occidentali, per comprare armi e squadre di calcio.
È lo stesso consumo dissennato di petrolio che provoca insieme l'inquinamento delle nostre città, le piogge tropicali che distruggono il nostro territorio, e la desertificazione di molti Paesi del Sud del mondo, spingendo la gente a scappare per le carestie e la fame. Ed è nei Paesi desertificati, in cui il riscaldamento globale e le monoculture, petrolifere e non solo, stanno eliminando ogni forma di economia locale, che cresce lo Stato Islamico, si formano le milizie degli uomini neri che portano la morte tra i loro popoli e infine anche in Europa. I terroristi non navigano nel mare con le carrette degli scafisti. I terroristi navigano in un mare di petrolio, e si alimentano del deserto in cui sono state ridotte le loro terre.
Gli Stati non decideranno mai questa svolta senza una grande mobilitazione popolare. Perché petrolio e armi fanno Pil, e la crescita del Pil continua ad essere per loro il misuratore principe della crescita dell'economia... E poi perché sono in fondo convinti che la maggioranza dei loro elettori preferisca mantenere a qualunque costo il proprio stile di vita, il proprio livello di consumi, reali o desiderati, piuttosto che pensare al futuro del pianeta e al futuro dei loro figli. Domenica è l'occasione per far vedere ai governanti, a Roma e nelle piazze d'Europa, che c'è un popolo che sceglie di farla finita con lo spreco e il consumo dissennato di energie fossili, che già oggi pratica la sobrietà ed esige da chi governa una scelta netta in questa direzione. Un popolo che ha capito, come ha ricordato ancora una volta papa Francesco dal Kenya, che pace, ambiente, contrasto alla povertà e lotta al terrorismo sono cose inscindibilmente connesse, e che non ha paura di scendere in piazza per dirlo.

Fonte: Huffington post - blog dell'Autore 

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