La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 27 novembre 2015

Caro Poletti, l'università non è una gara di corsa verso la precarietà

di Riccardo Laterza
Sembra che la Ministra Giannini e il Ministro Poletti facciano a gara per chi la spara più grossa sul mondo della formazione e dintorni: così a poca distanza dal paragone tra un corso di laurea e un'utilitaria ad opera della Ministra dell'Istruzione ieri è arrivato il rilancio del Ministro del Lavoro in occasione di Job&Orienta a Verona.
"Meglio laurearsi con un 97 a 21 anni che con un 110 e lode a 28" ha sentenziato il Ministro. Insomma, il messaggio è: studenti, fate presto, l'Università va fatta di corsa per poter arrivare prima degli altri nel magico mondo del lavoro.
Noi studenti non siamo mai stati particolarmente affezionati all'idea della valutazione numerica, che consideriamo uno strumento assolutamente insufficiente a "raccontare" la complessità di un percorso formativo individuale come quello di uno studente universitario.
Tuttavia siamo ancora meno affezionati all'idea che la laurea sia un semplice titolo, il famoso "pezzo di carta" da conseguire nel più breve tempo possibile per immettersi di fretta nel mondo del lavoro. È proprio questa la logica che negli ultimi anni ha di fatto legittimato un abbassamento drammatico della qualità della didattica, l'innalzamento delle tasse per i fuoricorso e in generale l'espulsione di decine di migliaia di studenti dai percorsi universitari.
D'altronde, la conoscenza della quale la nostra società ha sempre più bisogno non è affatto comprimibile e omologabile dentro corsi di laurea che assomigliano sempre più a dei diplomifici: la formazione universitaria è un percorso nel quale l'approfondimento personale, lo studio individuale e collettivo, le esperienze fuori dalle mura dell'università in senso stretto hanno la stessa dignità delle lezioni frontali e laboratoriali. Inoltre, al di là delle esigenze di personalizzazione del percorso di studi, non si può nascondere il fatto che la situazione drammatica del diritto allo studio costringe sempre più studenti a lavorare per potersi pagare gli studi, allungando così inevitabilmente il proprio periodo di permanenza all'università: di questo il Ministro che agli studenti medi suggeriva di passare le vacanze estive a scaricare frutta ai magazzini - ovviamente gratuitamente - non dice nulla.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, sappiamo che in realtà il mondo imprenditoriale italiano è, nel panorama europeo, quello più refrattario all'innovazione e all'immissione di nuove competenze. Secondo il rapporto AlmaLaurea 2015, a parità di condizioni un imprenditore laureato assume il triplo di laureati di quello non laureato. Peccato che, se la media di laureati fra gli occupati come manager in Europa sia del 54%, in Italia scende al 25%. Applicare dunque la logica del primo che arriva è una scelta piuttosto miope, ma rientra perfettamente in una visione complessiva del rapporto fra lavoro e formazione per cui la strategia è quella di puntare sulla svalutazione competitiva del costo del lavoro, comprimendo diritti e salari, anziché sull'innovazione.
Il rapporto andrebbe esattamente rovesciato: quello che si impara e ricerca nelle Università italiane può essere la base per innovazioni di processo e di prodotto che proietterebbero il sistema produttivo italiano in avanti, anche dal punto di vista della sostenibilità sociale e ambientale, creando buona occupazione. Per farlo, dobbiamo però smettere di pensare alla formazione come una corsa a chi si aggiudica per primo un lavoro sempre più precario, e soprattutto come una gara a chi è disposto a sacrificare tutto - salario, diritti, aspettative - pur di ottenere un lavoro, come se quest'ultimo fosse un privilegio e non un diritto costituzionale.

Fonte: Huffington post - blog dell'Autore 

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