La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 28 novembre 2015

Clima, ultimo appello

di Luca Martinelli
Parigi non è Cannes, ma sul “tappeto rosso” della prossima conferenza Onu sul clima, in programma nella capitale francese dal 30 novembre, Leonardo Di Caprio non sfigurerebbe. A fine settembre l’attore ha comunicato la propria adesione al movimento DivestInvest (www.divestinvest.org), che riunisce almeno 2mila persone e 400 istituzioni che hanno scelto di ritirare i propri capitali da società che operano sui mercati dell’energia fossile. Questi “disinvestimenti” valgono complessivamente 2.600 miliardi di dollari. 
Ad accompagnare Di Caprio sul red carpet potrebbe essere Ségolène Royal: la ministra dell’Ambiente francese ha annunciato -sempre a fine settembre- incentivi fiscali per premiare coloro che sceglieranno di recarsi al lavoro in bicicletta. L’indennità è pari a 25 centesimi per ogni chilometro percorso. 
Nei 28 Paesi dell’Unione europea, i settori dell’energia e dei trasporti valgono quasi i quattro quinti delle emissioni complessive di gas climalteranti: le scelte di Di Caprio e della Royal, cioè, potrebbero offrire un utile spunto di riflessione ai tecnici e ai negoziatori che a Parigi parteciperanno alla riunione conosciuto come COP21, cioè al ventunesimo vertice dei 196 Paesi firmatari dellaConvenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), al termine del quale -l’11 dicembre- è attesa la firma di un accordo globale sul clima. 
L’obiettivo ultimo è quello definito, da oltre vent’anni, all’articolo 2 della Convenzione stessa: “Stabilizzare le concentrazioni di gas ad effetto serra nell’atmosfera a un livello tale da evitare qualsiasi interferenza pericolosa delle attività umane sul sistema climatico”. 
Parigi è una evoluzione di Kyoto, ovvero del Protocollo per il contenimento delle emissioni in vigore da dieci anni, che prende il nome della città giapponese dove fu siglato. La concentrazione media in atmosfera della CO2, il principale tra i gas “climalteranti”, è però aumentata tra il 2005 e il 2014 a un tasso superiore rispetto a quanto successo nel periodo tra il 1990 e il 2005, e nel corso del 2015 ha “superato” la soglia di 400 parti per milione (ppm): ciò significa che ci stiamo avvicinando al limite (450 ppm) oltre il quale non sarà più possibile nemmeno immaginare di contenere entro i 2 gradi centigradi l’aumento medio delle temperature; e che Kyoto ha fallito. Del resto, il Protocollo in vigore “vincola” -fino al 2020- appena il 15 per cento delle emissioni, dato che Paesi come India, Cina, Stati Uniti o Australia non ne seguono i dettami. 
Parigi per questo rappresenta una svolta: il nuovo accordo viene costruito a partire dai “singoli Paesi, che si assumono la responsabilità di dichiarare gli impegni a cui comunque intendono far fronte (pledges), per poi discutere perché questi impegni siano ritenuti equi, e in linea con l’obiettivo globale (review)” spiega Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano e animatore del sito climalteranti.it. Ogni Stato presenta le proprie offerte (pledges, appunto), che vengono definite“Intended Nationally Determined Contribution” (INDC), ossia -aggiunge Caserini- “contributi stabiliti a livello nazionale: entro la scadenza del 1° ottobre 2015 ci sono state 122 dichiarazioni di INDC, relativi a 149 Paesi (l’Unione europea ha inviato un unico INDC per i 28 Stati membri), che rappresentano l’86% della popolazione e delle emissioni mondiali. Nel complesso -aggiunge il docente del Politecnico-, questi impegni sono ancora largamente insufficienti a raggiungere l’obiettivo che il negoziato si è dato, di contenere l’aumento delle temperature globali a meno di 2°C. La sola attuazione degli impegni degli INDC porterebbe a un aumento delle temperature di circa 3,5°C”. Non bastano, insomma, anche se è importante notare come per la prima volta “tutti i Paesi remano nella stessa direzione, e hanno presentato degli obiettivi di riduzione” spiega Federico Brocchieri, giovanissimo (ha 23 anni) coordinatore dei progetti di Italian Climate Network, che ha seguito le ultime tre COP e tutte le riunioni preparatorie della Conferenza di Parigi. Secondo Brocchieri, uno degli elementi fondamentali del prossimo accordo sarà “capire se gli obiettivi in termine di riduzione delle emissioni saranno legalmente vincolanti: l’accordo in sé sarà un trattato internazionale, ma non è certo che venga previsto un meccanismo sanzionatorio. È uno degli obiettivi che dobbiamo raggiungere”.
Un altro elemento che potrebbe rendere più efficace Parigi è la possibilità di “revisionare” gli obiettivi che i singoli Paesi si sono dati, dopo cinque anni su un orizzonte di dieci, “per deciderne di più stringenti” sottolinea Brocchieri. Per provare a fare di più, i negoziatori potrebbero prestare ascolto a quanto illustrato da scienziati, ong, ambientalisti. Uno studio pubblicato nel 2015 sulla rivista Nature, ad esempio, ha mostrato che per contenere il riscaldamento globale devono rimanere sottoterra l’80% delle riserve di carbone conosciute ed estraibili, metà del gas e un terzo del petrolio che saremmo in grado di estrarre. Servono, quindi, i disinvestimenti, come quello di Leonardo Di Caprio. Prima di Parigi l’organizzazione contadina Via Campesina ha ricordato, invece, l’esigenza di indirizzi volti a rafforzare l’agricoltura contadina, perché l’intero settore -compreso l’allevamento- è il terzo “Paese” per emissioni al mondo, dopo la Cina e gli Stati Uniti, con 5,3 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente nel 2011.Transport&Environment, il think tank belga che ha contribuito a smascherare il “dieselgate” di Volkswagen, ha invece ricordato l’importanza di includere anche i settori dell’aviazione civile e delle flotte navali tra quelli a cui chiedere una riduzione delle proprie emissioni. Il primo oggi “cresce” del 2-3% all’anno, mentre il secondo potrebbe vedere aumentare le emissioni complessive tra il 50% e il 250% entro il 2050, arrivando a rappresentare -a quel punto- tra il 6 e il 14% di quelle totali globali.
A Parigi verrà affrontato anche il tema delle risposte “di mercato” ai cambiamenti climatici, quegli interventi che nel protocollo di Kyoto sono indicati con i nomi di Clean Development Mechanism (CDM) e Joint Implementation (JI), e che in Europa hanno dato vita all’Emission Trading Scheme (ETS), un vero e proprio mercato di “crediti di emissione” che nel primo decennio del XXI secolo ha rischiato di trasformarsi in una gigantesca “bolla del carbonio”. Molti Paesi in via di sviluppo ne hanno chiesto la cancellazione, ma solo uno tra i capi di Stato di una potenza globale ha esplicitamente condannato il “mercato dei crediti”. Si chiama Francesco, e guida la Città del Vaticano. Nell’enciclica “Laudato sì” ha scritto che “la strategia di compravendita di ‘crediti di emissione’ può dar luogo a una nuova forma di speculazione e non servirebbe a ridurre l’emissione globale di gas inquinanti. Questo sistema sembra essere una soluzione rapida e facile, con l’apparenza di un certo impegno per l’ambiente, che però non implica affatto un cambiamento radicale all’altezza delle circostanze. Anzi, può diventare un espediente che consente di sostenere il super-consumo di alcuni Paesi e settori”. Non serve aggiungere altro. 

Approfondimento - I 5 nodi da sciogliere a Parigi 

Eccoci dunque, a Parigi, parte COP21, la Conferenza delle parti delle Nazioni Uniti sul cambiamento climatico (leggi qui l'approfondimento da Ae 176, "Clima, ultimo appello"). I Paesi si riuniscono con l’obiettivo di concludere un accordo sulla riduzione delle emissioni che prenda il posto, a partire dal 2020, del Protocollo di Kyoto.
Federico Brocchieri è il coordinatore dei progetti di Italian Climate Network, e segue da alcuni anni i lavori in corso in seno all’UNFCCC (United Nation Framework Convention on Climate Change), sia le COP -l’ultima a Lima nel 2014- che i “negoziati intermedi” (“dopo la COP20 ce ne sono stati quattro, tre a Bonn ed uno a Ginevra” racconta).
Dalle ultime sessioni tecniche, racconta Brocchieri, 23 anni e una laurea triennale in Ingegneria ambientale - ora studia una specialistica in Economica dell’Ambiente - è uscito un documento di circa 50 pagine, quello che guiderà l’agenda dei negoziati durante COP21. “A Parigi dovrebbe essere siglato un ‘Agreement’, che conterrà tutte le disposizioni generali e durature per il periodo d’impegno -previsto dal 2020 al 2030- e che con ogni probabilità assumerà la forma di un Protocollo, e una ‘COP decision’, che al contrario sarà composto dagli elementi più specifici ed aggiornabili, fra cui i contributi nazionali volontari che i Paesi si sono impegnati ad ufficializzare: insieme, questi documenti costituiranno il ‘pacchetto di Parigi’”.
Uno dei concetti chiave presenti nel draft agreement, nota Brocchieri, “evidenziato insieme ad altri principi nel preambolo, è il principio di equità intergenerazionale. Siamo riusciti a farlo inserire grazie all’impegno di alcuni giovani ed associazioni, come la nostra. Qualora si riuscisse a mantenere nel testo dell’accordo, almeno sulla carta si vedrebbe riconosciuta in maniera esplicita l’idea che sia necessario lasciare il Pianeta in condizioni non peggiori rispetto a quelle in cui lo abbiamo trovato, e che questo riguarda non solo la relazione tra Paesi ma anche tra generazioni”.
Federico Brocchieri è convinto che Parigi, nonostante non riuscirà a centrare appieno agli obiettivi posti dalla scienza, possa segnare un cambio di paradigma nella lotta ai cambiamenti climatici: “Per la prima volta nella storia -spiega- quasi tutti i Paesi del mondo hanno presentato obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni”. 
Si tratta degli Intended Nationally Determined Contributions (INDCs), che 150 Paesi hanno sottoposto alle Nazioni Unite alla data del 25 novembre 2015. L’ultimo registrato è quello dell’atollo di Niue, nell’Oceano Pacifico, un’isola di 259 chilometri quadrati dove vivono 1.500 persone. Inizia con queste parole:“Niue’s future is imperilled by the effects of climate change for which it bears absolutely no responsibility” (“Il futuro di Niue è messo a rischio dagli effetti del cambiamento climatico, per il quale non ci sentiamo in alcun modo responsabili”).


A pochi giorni dall’avvio di COP21, così, Brocchieri indica cinque elementi chiave che -se adeguatamente definiti e implementati nel testo- potrebbero determinare un esito positivo della conferenza:
1) Prevedere un sistema di norme efficace che garantisca l’attuazione degli impegni, affiancata da una struttura dotata di meccanismi di monitoraggio, revisione e verifica;
2) definire una roadmap dettagliata e concreta sulle modalità di finanziamento delle necessarie misure di mitigazione e adattamento, a partire dai Paesi in via di sviluppo: il Green Climate Fund, che dovrebbe avere una capacità di spesa di 100 miliardi di dollari all’anno, nel 2014 ha raggiunto una capitalizzazione di “soli” 10 miliardi. Dovrà inoltre essere chiaro da dove arriveranno questi finanziamenti, e in che misura da soggetti privati;
3) capire in che modo verrà concretizzato il meccanismo “loss and damage”, che potrebbe prevedere risorse concrete a sostegno di quei Paesi che subiscono danni già irreparabili a causa dell’incremento in intensità e frequenza degli eventi estremi o dell’innalzamento del livello dei mari;


4) prevedere un meccanismo che vincoli i Paesi a revisionare ed aggiornare periodicamente gli impegni, ed esclusivamente “al rialzo”, al fine di colmare progressivamente il divario fra le misure attuali e quelle necessarie;
5) per ultimo, capire se i contributi nazionali volontari -i sopracitati INDCs- saranno legalmente vincolanti: anche se l’accordo dovesse avere tale status, infatti, ciò non si applicherebbe necessariamente anche alle misure al suo interno. 

Fonte: Altreconomia 

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