La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 27 novembre 2015

Diseguaglianze che crescono, tra casa e lavoro


di Marta Fana
I dati Istat sulle condizioni di vita delle famiglie e il rischio povertàci dicono che il paese è ancora in estrema sofferenza socio-economica. Mentre quelli dell’Eurostat lanciano un allarme sulla condizione abitativa. L’indice sintetico del rischio di esclusione sociale si compone di tre indicatori: bassa intensità lavorativa, grave deprivazione, rischio povertà economica.
Nel 2014, il rischio povertà ed esclusione sociale aumenta al diminuire del numero di percettori di reddito, sia esso da lavoro o altro: 45 famiglie su 100 con un solo percettore di reddito sono a rischio povertà, mentre lì dove ci sono tre o più percettori, la probabilità scende dal 45 al 19 per cento. Un dato che non deve trarre in inganno: non è facendo lavorare ad esempio i ragazzi ancora in obbligo scolastico che si combatte la povertà. 
Sicuramente però il mercato del lavoro è determinante: le famiglie con un unico percettore di reddito sono anche quelle in cui è più alta la probabilità di lavorare meno di tre mesi in un anno (bassa intensità lavorativa). Ma soprattutto, su 100 famiglie con un solo percettore di reddito, 35 sono povere economicamente, cioè guadagnano un reddito equivalente inferiore ai 9.455 euro annui.
Il divario tra Nord e Sud Italia rimane ampio. Il 45.6% delle famiglia residenti al Sud o nelle isole sono a rischio povertà, contro il 19% di quelle al Nord e il 22% delle famiglie residenti al Centro. Per ogni famiglia del Nord a bassa intensità lavorativa ce ne sono 3,2 al Sud e Isole a conferma di quanto il mercato del lavoro al Meridione sia fortemente problematico. Non soltanto, le condizioni economiche sono fortemente associate con la possibilità di soddisfare i bisogni materiali (grave deprivazione), infatti le famiglie a rischio povertà sono anche quelle che non riescono a pagare le bollette, non riescono a riscaldare adeguatamente la propria abitazione, per non parlare di bisogni altri come le vacanze.
Nello stesso giorno della pubblicazione Istat, l’Eurostat fornisce i dati sulle condizioni abitative nei diversi Paesi Membri dell’Unione Europea. Un dibattito interessante, in vista dell’approvazione della legge di stabilità che elimina la tassa sulla prima casa, indipendentemente dal reddito e dal valore stesso delle abitazioni.
Tra le famiglie povere in Italia il 42,7% vive in una condizione di sovraffollamento abitativo, contro una media europea del 30,3%, dietro tutti i grandi Paesi. Se è vero che il 73% delle famiglie italiane sono proprietarie di almeno un’abitazione, è anche vero che la distribuzione della proprietà è fortemente iniqua. Ma soprattutto, la proprietà dell’abitazione principale non è un indicatore sufficiente del tenore di vita e delle condizioni materiali della famiglia, seppure rappresenta certamente una condizione necessaria contro il rischio di povertà.
La differenza tra famiglie povere e non povere e il rischio di sovraffollamento abitativo è evidente: il 42,7% delle famiglie povere contro il 23.6% di quelle non povere. Inoltre, la distanza tra questi due gruppi si accentua negli anni. Ad esempio, tra il 2013 e 2014, mentre il deterioramento delle condizioni di vita legate a quelle abitative addirittura peggiora per le famiglie con reddito sotto la soglia di povertà, l’indicatore lievemente migliora per quelle non povere.

Fonte: pagina99

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