La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 27 novembre 2015

La politica, non la guerra, per battere il terrore

di Gianmarco Pisa
Non si può non raccogliere l’accorato appello che, appena qualche giorno fa, Alfonso Gianni lanciava dal suo profilo facebook, preceduto e seguito, peraltro, da numerosi altri dello stesso tenore: «pacifisti di tutto il mondo, mobilitiamoci!». È davvero una sollecitazione pressante e accorata, che non possiamo permetterci di fare cadere nel vuoto, se davvero intendiamo contrastare la minaccia di una guerra e, con essa, di una escalation di vasta portata che rischia di travolgere l’intero Mediterraneo e Vicino Oriente, e se, allo stesso tempo, presumiamo di potere offrire qualche idea, qualche proposta, qualche orientamento, che non vadano nel senso, banale e mortifero, insensato e inefficace, della guerra, ma piuttosto nella direzione, che sembra molto più pregnante e promettente, della estinzione del terrorismo e del superamento della violenza.
Dopo quel vero e proprio atto di “guerra nella guerra”, che è stato l’abbattimento del caccia russo da parte della aviazione turca, è ormai evidente a tutti, ed occorre segnalarlo e ribadirlo, che la “linea rossa“, di cui si è tanto discusso, tra tavoli diplomatici e confronti accademici, è stata superata: forze della NATO e forze russe, che perseguono obiettivi e strategie diverse non solo sul fronte siriano, e che stanno da tempo giocando un risiko delicatissimo in diversi punti caldi del pianeta, si sono scontrate, per la prima volta, direttamente. Da questo momento, dunque, numerosi scenari si aprono ed appaiono possibili: forse ancora non del tutto probabili, con ogni evenienza non imminenti, ma senza dubbio possibili. La “terza guerra mondiale” a pezzi, già in corso ormai da tempo, per lo meno a partire dallo scoppio della guerra per procura a molti riverberi internazionali sul suolo e nei cieli della Siria (2011), e già entrata nel cuore stesso dell’Europa, con il golpe di Majdan, l’avvento al potere delle formazioni fasciste e neo-naziste a Kiev e la guerra del Donbass (2014), rischia adesso di precipitare e condensare in una vera e propria escalation, cui la tragedia degli esecrabili attentati terroristici, del 13 Novembre a Parigi, rischia di fare da clamoroso detonatore e propellente.
Nell’appello dal quale siamo partiti, vengono, in estrema sintesi, richiamate alcune imprescindibili “guide per l’azione”: «l’ONU deve intervenire per spezzare la spirale terrorismo-guerra. Così, l’Unione Europea, se finalmente decidesse di giocare un ruolo per la pace. I movimenti pacifisti di tutto il mondo sono chiamati a mobilitarsi». Si tratta di principi generali che vanno declinati e l’impegno cui sono chiamate oggi le forze, in generale, contro la guerra e per la pace, consiste proprio in questo: abbinare alla mobilitazione, alla sensibilizzazione dell’intero spettro dell’opinione pubblica e alla pressione sulle istituzioni per abbandonare la pulsione militare e militarista e abbracciare piuttosto una soluzione diplomatica e politica, anche una capacità di riflessione e di analisi, di orientamento e di proposta.
Continuano ad esistere, purtroppo, tentazioni eurocentriche che non aiutano il confronto e il dialogo e, dunque, non concorrono positivamente a offrire riflessioni e proposte: sono quelle, ad esempio, di chi antepone la destituzione di un governo legittimo, come quello di Assad in Siria, alla riapertura dei canali della diplomazia con tutti gli attori regionali, a partire dalla Siria stessa, nel cui territorio, tra l’altro, la popolazione civile, l’esercito regolare, le formazioni curde a Nord, stanno pagando un pesante tributo di sangue, nella lotta quotidiana contro il terrorismo reazionario (non chiamiamolo islamico, per piacere). O quelle di chi continua a ritenere che la “comunità internazionale” possa ridursi alla “comunità occidentale”, magari “euro-atlantica”, più eventuali propaggini, senza accorgersi che la NATO, di cui la Turchia è parte integrante e alle cui azioni di guerra gli Stati Uniti, non più tardi di qualche giorno fa, hanno continuato a offrire supporto e manifestare comprensione, è parte del problema e non della soluzione.
Non c’è proposta da avanzare che non parta dal dialogo: dal confronto con i popoli e le culture della “sponda Sud”, dall’ascolto di proposte e suggerimenti che non imprigionino questa parte del mondo nella gabbia in cui, volontariamente o fatalmente, si è rinchiusa. Questo terreno è un cimento, al tempo stesso, per i movimenti sociali e per la sinistra politica, che, nell’analisi dello scenario e nelle proposte da formulare, possono condividere un terreno unitario e strutturare un posizionamento, senza incertezza, contro la guerra (a partire dalla guerra di aggressione) e per la pace (essenzialmente come pace positiva, “pace con giustizia”). Le destre, nelle loro varie articolazioni, almeno in Italia, non hanno davvero nulla di efficace e di positivo da offrire: da Forza Italia, che declina la sua proposta tutta in termini di militarizzazione e rinnovato impegno nelle missioni di guerra che già coinvolgono il nostro Paese, al Movimento 5 Stelle, che, tra il tutto e il contrario di tutto che, di volta in volta, avanza, ha già chiarito che «non sta scritto da nessuna parte che popolazioni diverse debbano vivere sotto la stessa bandiera» e ha pure ribadito che «la classe politica ce l’ha con le forze di polizia. molti carabinieri non sono in grado di colpire un bersaglio in movimento» e che «servirebbe un maggiore controllo dei confini e invece in Italia ce n’è poco» e «su quei centri che assegnano lo status di rifugiato».
Nella mozione presentata dal gruppo della “Sinistra Italiana” alla Camera dei Deputati, lo scorso 24 Novembre, si delinea, per la prima volta, un quadro complessivo e una griglia coerente di misure e iniziative a più livelli, per prevenire la guerra e contrastare il terrorismo senza cedere alle pulsioni militari e securitarie. Si tratta di dodici punti, in particolare: no alla guerra e ad ogni avventura militare; una conferenza regionale di pace con tutti gli attori, direttamente e indirettamente, coinvolti; riconoscimento dello Stato di Palestina; dialogo in Siria, senza la precondizione della destituzione di Assad e in linea con i nove punti della recente Intesa di Vienna; blocco di ogni traffico, vendita di armi e finanziamenti a Daesh e i suoi sponsor; diplomazia e coordinamento di intelligence; misure per il dialogo inter-culturale e inter-religioso per prevenire marginalizzazione e radicalizzazione.
Sarebbe davvero importante se, a partire da questi punti, potessimo esplorare nuove possibilità e iniziative per una mobilitazione unitaria, efficace, dei movimenti per la pace e contro la guerra. Come nell’appello, accorato, da cui siamo partiti. E’, sinora, questa, l’unica piattaforma davvero promettente per dire no alla violenza e rilanciare le ragioni della pace.

Fonte: Esseblog

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