La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 28 novembre 2015

Il ministro Poletti e la guerra ai giovani

di Roberto Ciccarelli 
Poletti Giuliano, perito agrario non laureato è un ministro del lavoro con le idee chiare per risolvere la disoccupazione dei laureati: “Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21″ ha detto sollevando le solite polemiche. Bisogna prenderlo sul serio, Poletti Giuliano, perito agrario non laureato. Nel corso del suo mandato ha sviluppato un pensiero nel merito. «Troppi tre mesi di vacanze scolastiche — ha detto a marzo 2015 — Magari un mese potrebbe essere passato a fare formazione». «Non troverei niente di strano se un ragazzo lavorasse tre o quattro ore al giorno per un periodo preciso durante l’estate, anziché stare solo in giro per le strade».
Non bisogna farsi irretire dall’immaginario di questo emiliano, cresciuto nella burocrazia imprenditoriale delle coop rosse, che coltiva l’immaginario paternalistico contro i giovani immancabilmente vagabondi, scioperati o, più elegantemente, “Choosy”. L’immaginario in questione è comune alla classe dominante.
Choosy fu l’epiteto rivolto da Elsa Fornero, già ministra del lavoro nel governo Monti e docente ordinaria a Torino, contro i laureati che non scelgono un lavoro qualsiasi e, anzi, ne pretendono commisurato alle competenze maturate nel corso degli studi. “Sfigati” furono definiti i fuoricorso dal viceministro del lavoro Michel Martone, dello stesso governo. «I fuoricorso hanno un costo anche in termini sociali» aggiunse Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione coevo.
Con Monti a Palazzo Chigi ci fu una violenta offensiva contro i laureati, e i giovani dai 15 ai 34 anni in generale. Il messaggio fu immediatamente recepito da un’altra docente universitaria mandata a dirigere il ministero dell’Istruzione con il governo Letta. «Non voglio più che gli studenti italiani arrivino a 25 anni senza aver mai lavorato un solo giorno nella loro vita» disse.
Poletti Giuliano, perito agrario non laureato, ha studiato alla scuola dei professori ordinari al governo, suoi ex colleghi, e ha trovato che il paternalismo dell’impresa cooperativa che lui ha diretto per tanti anni è diffuso ovunque, ai piani alti. Un classico da libro cuore.
Filosofia Poletti
Poletti Giuliano, perito agrario non laureato, ha tuttavia una visione del mondo molto precisa. Filosofica, addirittura. “In Italia — ha sottolineato — abbiamo un problema gigantesco: è il tempo. I nostri giovani arrivano al mercato del lavoro in gravissimo ritardo. Quasi tutti quelli che incontro mi dicono che si trovano a competere con ragazzi di altre nazioni che hanno sei anni meno di loro e fare la gara con chi ha sei anni di tempo in più diventa durissimo”. “Se si gira in tondo per prendere mezzo voto in più — ha insistito il ministro — si butta via del tempo che vale molto molto di più di quel mezzo voto. Noi in Italia abbiamo in testa il voto, non serve a niente”. Il voto è importante solo perché fotografa un piccolo pezzo di quello che siamo; bisogna che rovesciamo radicalmente questo criterio, ci vuole un cambio di cultura”.
Può piacere o no, ma qui c’è una visione filosofica ed economica del tempo, del mercato, della subordinazione assoluta, oltre che della competizione al ribasso sul costo del lavoro. C’è un’idea di posizionamento del mercato italiano nelle parti basse o bassissime sulla scena internazionale. C’è l’idea di fare i “cinesi d’Europa”, proprio quando i cinesi progettano (da tempo) di produrre tecnologia ad alto contenuto di valore e di esportarle in Occidente. La nemesi, voluta da una classe dirigente tragicamente incosciente, ma conseguente con i tagli Gelmini a scuole e università che hanno agevolato la disoccupazione e il crollo dei laureati. Come sostiene l’Ocse qui. 
Lavorare subito, competere, soprattutto disciplinare alle nuove regole del mercato del lavoro italiano: professionalizzare l’istruzione nei settori a basso contenuto tecnologico-relazionale e precario. Un classico in un paese arretrato, brutale, ignorante dove gli imprenditori non sono laureati (come Poletti) e si rivalgono sui sottoposti, i non affiliati, i figli di nessuno.
Poletti rappresenta un ceto senza for­ma­zione ter­zia­ria avan­zata — esattamente gli imprenditori — che hanno dato vita a una strut­tura impren­di­to­riale a gestione fami­liare (il 66% con­tro il 36% della Spa­gna e il 28% della Ger­ma­nia), inca­pace di «valo­riz­zare il capi­tale umano», l’innovazione del lavoro e l’internazionalizzazione dell’impresa. Più che inve­stire sul lavoro e sulla for­ma­zione, il governo sta pre­miando i mec­ca­ni­smi di reclu­ta­mento di tipo fami­li­stico che, secondo il rap­porto, sono dif­fusi in que­sta tipo­lo­gia di aziende. Così la mobi­lità sociale resta il sogno degli illusi della meritocrazia. I dati citati sono di un rapporto Almalaurea.
Una filosofia non supportata dai dati
Il problema di Poletti, e dei suoi ispiratori, è che non leggono i rapporti che pure darebbero ragione alla sua impostazione professionalizzante dell’istruzione terziaria, e in particolare del mitologema tutto italiano: l’alternanza “scuola-lavoro” come lavacro del fallimento delle riforme dell’università.
Quando parla del valore del voto Poletti confonde la laurea triennale con la magistrale. Per l’Ocse l’Italia produce il 20% di minilaureati contro la media del 17%. Queste persone vanno subito a lavorare. Il problema, segnala l’Ocse, è che solo il 42% dei giovani si iscriverà ai programmi d’istruzione terziaria. Siamo terzultimi, con Lussemburgo e Messico.
Cosa fanno, invece, gli studenti universitari durante il corso degli studi? Anche qui c’è una sorpresa. Le statistiche Alma Laurea hanno evidenziato da tempo un boom di stage e tirocini (+36% dal 2004), i ragazzi lavorano, sono sempre più precari, si guadagnano da vivere, con l’aiuto dei genitori.
I giovani che sono attaccati, vilipesi, umiliati lavorano prima, durante e dopo la laurea. E lavorano precariamente e con redditi bassi per non dire inesistenti. La campagna di Stato contro l’università, contro la laurea come strumento per avere uno stipendio leggermente superiore al diploma, continua. Non importa che le sue tesi siano false. Le statistiche, e addirittura la realtà non contano nulla. Dal 2008 a oggi, con i tagli, e poi con lo svuotamento di senso dell’istruzione, si persegue una precisa idea del lavoro: non pagato, sottopagato, grigio. Un lavoro da schiavi, un’istruzione irrilevante per i suoi scopi.
E’ la guerra all’intelligenza collettiva. Questo è il progetto.

Fonte: il manifesto 

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