La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 28 novembre 2015

L’eurozona e la stagnazione secolare

di Biagio Bossone
Le vie di fuga dalla stagnazione secolare
Paul Krugman e Larry Summers si sono recentemente confrontati a suon di blog post sul tema della stagnazione secolare e la perdurante tendenza in tutto il mondo a tassi d’interesse inusitatamente bassi.[1] La “new secular stagnation hypothesis” in realtà fu inizialmente evocata proprio da Larry Summers nel suo ormai famoso intervento al Fondo monetario nel 2013, e poi sviluppata in contributi successivi, per spiegare l’andamento persistentemente stagnante della crescita economica in buona parte del mondo industrializzato.[2]
L’ipotesi di Summers è che la domanda aggregata sia declinata (peraltro ben prima della crisi globale, sebbene allora fosse mascherata da condizioni finanziarie insostenibili) a causa di shock che hanno simultaneamente indotto un aumento della propensione al risparmio e una diminuzione di quella a investire.[3]
In circostanze normali, secondo Summers, i tassi d’interesse scendono (per effetto di aggiustamenti di mercato o di precisi interventi di policy) sino a che l’eguaglianza fra risparmi e investimenti non sia ripristinata al livello coerente con la piena occupazione delle risorse.
Tuttavia, tale processo di aggiustamento s’inceppa se qualcosa impedisce ai tassi di scendere in misura sufficiente a scoraggiare il risparmio e a incoraggiare gli investimenti, il che avviene quando i tassi nominali d’interesse approcciano il limite inferiore di zero. Peraltro, lo stesso Summers sconsiglia di perseguire la strada dei tassi negativi, anche laddove ciò risultasse praticabile, per le conseguenze negative che comporterebbe per la stabilità finanziaria del sistema. Per tale ragione egli raccomanda l’adozione di strategie di policy orientate ad accrescere il tasso naturale d’interesse attraverso l’aumento degli investimenti pubblici, la riduzione delle barriere agli investimenti del settore privato, e l’attuazione di misure per la promozione della fiducia, il mantenimento della capacità d’acquisto e la redistribuzione del reddito verso categorie di operatori con alta propensione alla spesa.
Krugman condivide l’analisi di Summers,[4] ma, diversamente da quest’ultimo, adotta un approccio fondato sulla logica della trappola della liquidità di stampo hicksiano, lo stesso da lui utilizzato alla fine degli anni novanta per studiare la depressione economica del Giappone. Tale approccio riflette circostanze nelle quali gli operatori formano aspettative pessimistiche circa la dinamica futura dei redditi e perseguono livelli di risparmio maggiori di quanto l’economia non sia in grado di assorbire, in tal modo causando una caduta del tasso naturale d’interesse verso valori negativi. In tali circostanze, poiché i tassi d’interesse nominali sono vincolati dal limite inferiore di zero, l’economia cade nella trappola della liquidità, dove gli strumenti convenzionali di politica monetaria perdono efficacia e l’iniezione di base monetaria nel sistema non ha effetti sulla spesa: moneta e titoli vengono visti dal settore privato come sostituti perfetti e nessuna operazione di mercato aperto, per quanto quantitativamente significativa, può riportare l’economia alla piena occupazione.
Krugman concludeva che la banca centrale dovesse accrescere l’offerta di moneta tanto da far crescere proporzionalmente i prezzi e, quindi, abbattere il tasso d’interesse reale fino a che esso eguagliasse il livello di equilibrio naturale. In tale quadro concettuale, per Krugman era fondamentale che l’aumento dell’offerta di moneta fosse percepito come permanente, di modo che l’uscita dalla trappola della liquidità potesse essere lasciata al solo gioco delle aspettative, e che la determinazione a generare inflazione fosse tanto forte da influenzare adeguatamente le aspettative, se necessario anche promettendo pubblicamente di comportarsi in modo credibilmente irresponsabile.
Summers, per sua stessa ammissione, non ha mai trovato confacente l’analisi di Krugman della trappola della liquidità, dalla quale l’economia sarebbe tratta in salvo da una politica inopinatamente inflazionistica che stimola la spesa abbassando a sufficienza i tassi d’interesse ex ante, come se – dice lui – un deus ex machina inspiegabilmente intervenisse per conseguire gli effetti desiderati. Krugman, d’altra parte, riconosce che l’approccio da lui usato nel 1998 oggi risulta inadeguato e ammette che anche l’impegno di una banca centrale a comportarsi irresponsabilmente non produce effetti se il pubblico non crede che l’inflazione aumenti.[5] Conclude quindi sostenendo che l’unico modo per generare un aumento dell’inflazione è quello di accompagnare il cambiamento di regime monetario con un forte stimolo di natura fiscale.[6] Dallo scambio fra i due illustri economisti emerge dunque una sostanziale convergenza sull’idea che la via di fuga dalla stagnazione secolare richiede un uso attivo della politica di bilancio.
Politica fiscale e ripresa economica nei paesi dell’eurozona
La convergenza riguardo alla politica fiscale come via di fuga dalla stagnazione secolare ha importanti implicazioni per l’eurozona. Qui il PIL è oggi del 15 per cento inferiore al livello potenziale del 2008 e, seppure il peggio della crisi sembri essere alle spalle, i paesi membri più colpiti dalla recessione sono ancora alle prese con un’inflazione troppo bassa e con una crescita del prodotto troppo debole. Recuperare le condizioni pre-crisi sarà per loro arduo e richiederà tempi lunghi in assenza di misure straordinarie.
Alcuni ritengono che svalutazione interna e riforme strutturali siano l’unico viatico per la crescita e la stabilità e citano casi come la Spagna come elementi a sostegno delle loro tesi. Tuttavia, anche a prescindere dalle contro-argomentazioni che insinuano non pochi dubbi sulla bontà di tali tesi, problemi di aggregazione rendono irrealistico assumere che i paesi in crisi e insieme i paesi dell’area possano tutti contestualmente contare sull’export come soluzione alla crisi stessa, ciascuno comprimendo prezzi e flessibilizzando i propri mercati più degli altri. Nella migliore delle ipotesi, alcuni guadagneranno a spese di altri in una pericolosa rincorsa al ribasso.
La BCE ha sin qui pompato miliardi di euro nei sistemi bancari nazionali attraverso il programma di quantitative easing (QE), ma poco di quel danaro si è sinora tradotto in crediti all’economia a condizioni più favorevoli. Certo, la moneta pompata ha abbassato gli spread sui titoli statali più rischiosi, dando un po’ di fiato a finanze nazionali contratte sino allo stremo, e ha provveduto ossigeno alle industrie esportatrici attraverso l’indebolimento dell’euro. Ma questo non basta e gli effetti potrebbero non essere duraturi e sufficienti. Resta dunque da chiedersi cos’altro possano fare i paesi in crisi che non sia incoerente con le regole fiscali europee.
Nei paesi dove le regole vincolano lo spazio fiscale disponibile ai governi per sostenere la crescita, l’introduzione dei certificati di credito fiscale (CCF) è stata proposta come modo per rilanciare la domanda e migliorare la competitività a livelli che non sarebbero altrimenti raggiungibili sotto i vincoli fiscali vigenti, e purtuttavia senza eludere le regole esistenti. I dettagli della proposta sono esaminati a fondo altrove.[7] In questa sede desidero solo sottolinearne gli aspetti salienti.
I CCF conferiscono al portatore il diritto ad una riduzione di tasse, tributi e ogni altra obbligazione a favore dello Stato pari al loro valore nominale e a partire da due anni dall’emissione. Sono titoli trasferibili e possono essere scambiati in euro (con uno sconto comparabile a quello applicato su un titolo statale zero-coupon a due anni). Chi vende CCF vuole euro da spendere; chi li compra acquista il diritto a riduzioni fiscali future. Gli intermediari finanziari possono acquistare CCF a sconto da coloro che vogliono venderli e o utilizzarli per riduzioni fiscali a scadenza o rivenderli a sconto inferiore e ricavarci un profitto.
È importante osservare che i CCF non sono titoli di debito, non costituiscono trasferimenti di reddito e non comportano violazioni delle regole sul deficit pubblico, non più di quanto per esempio non le comporterebbero, in Italia, dei titoli negoziabili che incorporassero i benefici fiscali connessi al provvedimento contenuto nella legge di stabilità 2016, che permette di ammortizzare il 140 per cento degli investimenti in beni strumentali e che, pertanto, (a parità di ogni altra condizione) produce minor gettito futuro.
Lo Stato assegna CCF a famiglie e imprese a titolo gratuito. Molte famiglie li convertono in euro e li spendono in consumi. Le imprese traducono il minor carico fiscale in prezzi più bassi e recuperano competitività. In un’economia con forte disoccupazione, la spesa stimolata dalle emissioni di CCF ha un effetto moltiplicativo su reddito e occupazione, mentre le maggiori esportazioni e le sostituzioni di importazioni conseguenti ai guadagni di competitività compensano l’effetto della maggiore spesa sulla domanda di importazioni, evitando peggioramenti del saldo commerciale. Il nuovo output genera nuovo gettito fiscale. Proiezioni prudenti indicano che un moltiplicatore del reddito di appena 0,8 (assai più basso delle stime econometriche prevalenti) basterebbe per far sì che nei due anni di differimento previsti per la scadenza dei CCF lo Stato incassi introiti sufficienti a coprire il costo dei tagli fiscali.[8] Le emissioni di CCF possono essere calibrate in modo da chiudere progressivamente l’“output gap” causato dalla crisi, compatibilmente con un obiettivo d’inflazione moderata e con l’equilibrio dei conti con l’estero.
Il rapporto di Mediobanca sui CCF
In un recentissimo rapporto, Mediobanca stima che, grazie all’introduzione dei CCF, già nel 2016 il PIL potrebbe aumentare del 3 per cento.[9] Mediobanca ipotizza che nel 2016 il governo emetta 20 miliardi di CCF e che poi nel 2017 ne emetta altri 60 miliardi, per giungere nel 2018 ad un totale di 80 miliardi di CCF. L’emissione continuerebbe poi nel tempo in modo da ridurre la pressione fiscale in maniera permanente. Secondo le simulazioni esposte nel rapporto, la spesa attivata dai CCF attiverebbe un moltiplicatore del reddito prudenzialmente stimato nell’ordine di 1,2. Il PIL crescerebbe di 77 miliardi nel 2017, e la conseguente crescita dei ricavi fiscali consentirebbe di superare il pericolo che le entrate del fisco diminuiscano per effetto dell’accettazione da parte dello stato dei CCF in scadenza. In particolare, il bilancio pubblico raggiungerebbe un surplus dello 0,8 per cento nel 2017 (contro il deficit attualmente previsto dell’1,1 per cento), ed il rapporto debito/PIL scenderebbe al 112 per cento nel 2019 contro l’attuale stima del 120 per cento.
In conclusione, con i CCF lo Stato può effettuare una forma di deficit spending che prevede uno spending immediato (da parte del settore privato) e un deficit differito (del settore pubblico) che peraltro si autoassorbe con la crescita o con apposite misure di salvaguardia non deflattive.[10] Inoltre, lo Stato “finanzia” la spesa emettendo titoli che non soggetti a rischio di default.
La proposta è coerente con le raccomandazioni di Krugman e Summers e la loro convergenza sull’esigenza di una politica fiscale attiva come antidoto alla stagnazione secolare. La proposta rappresenta un tipo d’intervento fiscale che può sospingere le economie dell’eurozona fuori dallo stato di crescita e inflazione ultra-basse, senza comprometterne la stabilità finanziaria e l’equilibrio esterno, e senza pregiudicare il rispetto delle regole fiscali dell’Unione o invocare strategie di uscita dall’euro.

[1] Si vedano L. Summers, “Where Paul Krugman and I differ on secular stagnation,”The Washington Post, 2 novembre 2015 e P. Krugman, “Liquidity Traps, Temporary and Permanent,” The New York Times, 2 novembre 2015 (http://krugman.blogs.nytimes.com/2015/11/02/liquidity-traps-temporary-and-permanent).

[2] Si veda la trascrizione dell’intervento di Summers all’IMF Economic Forum dell’8 novembre 2013, disponibile su http://www.youtube.com/watch?v=KYpVzBbQIX0, e Summers (2014).

[3] Tra le cause di tali possibili shock Summers include la debole crescita della popolazione e dello sviluppo tecnologico, che implica una riduzione della domanda di beni strumentali per attrezzare nuovi occupati; il livello più basso dei prezzi dei beni strumentali, che implica che ogni dato livello di risparmi può acquistare più quantità di capitale di quanto non fosse possibile prima; la crescente diseguaglianza e il conseguente declino della quota del reddito nazionale afferente agli individui con maggiore propensione alla spesa; e le maggiori frizioni nel settore dell’intermediazione finanziaria così come la maggiore incertezza e avversione al rischio generate dalla crisi.

[4] Si veda P. Krugman, “Secular Stagnation, Coalmines, Bubbles, and Larry Summers,”The New York Times, 16 novembre 2013 (http://krugman.blogs.nytimes.com/2013/11/16/secular-stagnation-coalmines-bubbles-and-larry-summers/?_r=0).

[5] Si veda P. Krugman, “Rethinking Japan,” The New York Times, 20 ottobre 2015 (http://krugman.blogs.nytimes.com/2015/10/20/rethinking-japan/).

[6] Per un’analisi dell’“errore” di Krugman (di cui pure si è avveduto), nel quale Summers non è caduto, rinvio a Bossone (2015).

[7] Per una descrizione concisa della proposta dei CCF, si veda Bossone et al. (2015). L’idea dei CCF è stata originata da M. Cattaneo e costituisce la base della proposta economica elaborata in un pubblico manifesto curato da M. Cattaneo, E. Grazzini, S. Sylos Labini e dallo scrivente e disponibile su http://www.syloslabini.info/online/risolviamo-la-crisi-dellitalia-adesso/. Uno studio dettagliato dei vari aspetti tecnici (economici, giuridici, contabili e istituzionali) della proposta è l’oggetto del recente e-book, Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall’austerità senza spaccare l’euro, curato dagli stessi autori e disponibile su http://temi.repubblica.it/micromega-online/“per-una-moneta-fiscale-gratuita-come-uscire-dallausterita-senza-spaccare-leuro”-online-il-nuovo-ebook-gratuito-di-micromega/.

[8] Si veda il Capitolo I dell’e-book citato nella nota precedente.

[9] Mediobanca Securities, Country Update, Italy – Tide turns as recovery starts, 17 novembre 2015, http://www.syloslabini.info/online/wp-content/uploads/2015/11/report-Mediobanca-sui-CCF.pdf.

[10] Queste misure di salvaguardia sono discusse in Bossone et al. (2015).

Riferimenti bibliografici

Andolfatto, D. (2015a), “NeoFisherism without rational expectations,” MacroMania, 31 ottobre (http://andolfatto.blogspot.it/2015/10/neofisherism-without-rational.html).

Andolfatto, D. (2015b), “Fisher without Euler,” MacroMania, 6 novembre (http://andolfatto.blogspot.com/2015/11/fisher-without-euler.html).

Bossone, B. (2015), “Krugman, Summers and Secular Stagnation”, EconoMonitor, 5 novembre (http://www.economonitor.com/blog/2015/11/krugman-summers-and-secular-stagnation/).

Bossone, B., M. Cattaneo, E. Grazzini, e S. Sylos Labini (2015), “Fiscal Debit Cards and Tax Credit Certificates: The Best Way to Boost Economic Recovery in Italy (and Other Euro Crisis Countries)”, EconoMonitor, 8 settembre (http://www.economonitor.com/blog/2015/09/fiscal-debit-cards-and-tax-credit-certificates-the-best-way-to-boost-economic-recovery-in-italy-and-other-euro-crisis-countries/).

Buck, T. (2015), “Spain: Recovery position,” Financial Times, 22 ottobre (http://www.ft.com/intl/cms/s/0/74f9e24e-77de-11e5-933d-efcdc3c11c89.html#axzz3qAolCNTx).

Cohen-Setton, J. (2015), “Understanding the Neo-Fisherite rebellion,” Bruegel, 19 luglio 2015 (http://bruegel.org/2015/07/blogs-review-understanding-the-neo-fisherite-rebellion/).

Krugman, P. (1998), “It’s baaack! Japan’s slump and the return of the liquidity trap,” Brookings Papers on Economic Activity 2.

Saraceno, F. (2015), “Squilibri nell’eurozona: non è un problema di competitività di prezzo”, Keynes blog, 7 settembre (http://keynesblog.com/2015/09/07/squilibri-nelleurozona-non-e-un-problema-di-competitivita-di-prezzo/).

Summers, L. H. (2014), “U.S. Economic Prospects: Secular Stagnation, Hysteresis, and the Zero Lower Bound,” Business Economics, vol. 49, n. 2, National Association for Business Economics.

Tilford, S. (2015) “The Pain in Spain,” Project Syndicate, 28 ottobre (https://www.project-syndicate.org/commentary/spain-economic-recovery-weaknesses-by-simon-tilford-2015-10).

Fonte: Eunews - Oneuro 

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