La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 27 novembre 2015

Facciamo votare i giovani già dai 16 anni

Intervista ad Alessandro Rosina di Mauro Munafò
"Siamo uno dei paesi con meno investimento sociale sulle nuove generazioni ed è necessario dare più peso a chi in futuro pagherà le scelte fatte oggi". E' un convinto sostenitore della necessità di estendere il diritto di voto anche ai ragazzi di sedici e diciassette anni Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale dell'Università Cattolica di Milano. Un allargamento del diritto di censo di cui in Italia si discute da anni senza grosse evoluzioni, ma che potrebbe contribuire ad arginare il disinteresse dei giovani verso la politica.
Perché si dovrebbe allargare il diritto di voto ai 16 e 17 enni?
"I 16 e 17enni sono poco più di un milione e 100 mila. Controbilanciano attualmente la popolazione over 87. La loro aggiunta all’elettorato consentirebbe ai giovani fino ai 35 anni di avere un peso analogo agli elettori anziani (i 65 anni e più), mentre attualmente i primi sono sotto di oltre un milione di potenziali voti rispetto ai secondi."
Ci sono varie proposte di legge abbandonate in Commissione affari costituzionali sull'estensione del voto ai 16enni: due progetti sono stati presentati nella XV legislatura, cinque nella XVI e altri cinque in quella in corso. Ma esiste una volontà politica di portare avanti questo tema? 
"La volontà politica è debole, nonostante sia una riforma a costo zero e che aggiunge diritti senza toglierne ad altri. In un paese che invecchia è importante dar oggi più peso a chi in futuro pagherà o beneficerà di più delle scelte fatte oggi. Non è un caso che siamo uno dei paesi con meno investimento sociale sulle nuove generazioni."
Gli scettici sostengono che a quell'età si è troppo giovani per votare...
"Se a 16 anni si è considerati idonei per lavorare e pagare le tasse, non si vede perché non si può esprimere un voto su come poi il bene pubblico che si contribuisce a produrre viene amministrato. Inoltre avrebbe un effetto di incentivo per i giovani ad essere più informati e consapevoli rispetto alla società in cui vivono, aumentano quindi la partecipazione e la cittadinanza attiva. Ma questa estensione del voto non è sostenuto da alcun potere forte e attualmente i giovani stessi sono distratti da altre preoccupazioni legate al lavoro. Eppure è proprio attraverso il voto e la politica che si cambia il paese."
In Austria, in alcune regioni della Germania e in Scozia in occasione del referendum sull'indipendenza il voto ai sedicenni è già stato introdotto. Che effetti si sono visti in questi paesi?
"L’abbassamento non produce effetti immediati e nemmeno esiti scontati. Anche per questo se ne sottostima l’importanza simbolica e culturale che avrebbe. E’ uno di quei cambiamenti i cui frutti si vedono solo nel tempo, sia per le ricadute sui nuovi sedicenni che arriveranno a tale età preparandosi all’idea di poter votare, sia per le ricadute di chi ha votato a sedici anni e si troverà dopo i diciotto con più esperienza e più informato. Si potrebbe infatti iniziare ad allargare il voto per le elezioni amministrative, dove le ricadute delle scelte politiche sono più dirette e sperimentabili dai giovani."
In Italia per ora il voto ai minorenni esiste solo alle primarie del Pd.
"Si tratta di un coinvolgimento simbolico perché dal punto di vista concreto ha scarsa utilità far votare alle primarie chi poi non voterà alle elezioni effettive. E’ un segnale di apertura da cui però non si possono trarre indicazioni generalizzabili. E’ stato efficace per i giovani che sono diventati maggiorenni tra le primarie e le elezioni amministrative. Gli altri l’hanno visto come una scelta estemporanea, provvisoria e dalle prospettive incerte, come molte politiche per i giovani in questo paese."
Nel nostro paese le poche proposte in questo senso sono sempre arrivate dalla sinistra. I minorenni sono tutti di sinistra?
"No. Il voto dei giovani è molto fluido. Stiamo parlando di generazioni post-ideologiche. E’ un voto ancora non consolidato che può andare più verso i movimenti e i partiti di opposizione che a quelli più tradizionali e consolidati. Proprio per questo costringerà i partiti ad occuparsi di loro e di cercar di mettersi in sintonia con il loro linguaggio e le loro aspettative."

Fonte: L'Espresso 

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