La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 10 novembre 2015

Luciano Gallino e la lotta di classe

di Maria Mantello
Scomodo e controcorrente per la sua autonomia di giudizio, il sociologo Luciano Gallino - morto nella sua Torino l’8 novembre - aveva intensificato negli ultimi anni la denuncia della mercificazione dei lavoratori, orfani di sinistra di fronte all’assalto padronale.
Lui che aveva lavorato per il Centro studi di Ivrea di Adriano Olivetti, storico riferimento per una visione aziendale che coniuga libertà e giustizia, denunciava scandalizzato lo scarto esponenziale tra le retribuzioni sempre più povere dei lavoratori e quelle plurimilionarie dei dirigenti d’azienda, a cui un centro-sinistra, in delirio neoliberista, arrivava a proporre finanche importanti candidature. Gallino è stato importante riferimento morale e culturale contro l’unica lotta di classe rimasta in piedi, quella del turbocapitalismo, che attaccava con le sue analisi rigorose e puntuali: forte atto d’accusa contro debolezze e connivenze di una politica schiava della classe dominante, a cui si regalava il sacrificio della classe dei lavoratori, data per scomparsa.

«Chi afferma – scriveva nel 2012 Luciano Gallino nel suo La lotta di classe dopo la lotta di classe (Laterza) – che le classi sociali non esistono più, muove in genere dalla constatazione che non si vedono più manifestazioni di massa che siano chiaramente attribuibili ad una classe sociale. Oppure intende dire che non vi sono più partiti di un certo peso elettorale che per il loro statuto o programma si rifanno chiaramente all’idea di classe sociale».
Ma quelle classi sociali, quelle differenze sociali, quelle lotte di classe si è solo cercato con colpevole compiacenza di nasconderle: «negli ultimi decenni le classi sociali, e con esse la lotta di classe, sono diventate assai meno visibili. Il che pare dar ragione a chi arriva a concludere che, non essendo le classi visibili e la lotta di classe chiaramente discernibile, non esistono più le classi sociali».
E riprendendo la dialettica egeliana-marxista tra “concetto” (in sé) e “fatto” (per sé) Gallino continuava: «una classe sociale, come disse qualcuno tempo fa, distinguendo tra la classe in sé e la classe per sé, non è delimitata o costituita soltanto dal fatto di dar forma ad azioni collettive in quanto espressioni di un conflitto, o da una forte presenza pubblica di partiti che fanno delle classi sociali e magari della lotta di classe la loro bandiera. Una classe sociale esiste indipendentemente dalle formazioni politiche che ne riconoscono o meno l’esistenza, e perfino da ciò che i suoi componenti pensano o credono di essa».
Occultare la lotta di classe, significava quindi, bloccare la legittima aspirazione alla promozione sociale. Così, spiegando anche il titolo del suo libro Gallino precisava: «La caratteristica saliente della lotta di classe alla nostra epoca è questa: la classe di quelli che da diversi punti di vista sono da considerare i vincitori – termine molto apprezzato da chi ritiene che l’umanità debba inevitabilmente dividersi in vincitori e perdenti – sta conducendo una tenace lotta di classe contro la classe dei perdenti. È ciò che intendo per lotta di classe dopo la lotta di classe. Questa lotta viene condotta dalle classi dominanti dei diversi paesi, le quali costituiscono ormai per vari aspetti un’unica classe globale».
Allora da questa lezione di libertà e giustizia di questo grande riformista, promotore egli stesso negli ultimi anni di formazioni di sinistra (non senza delusioni, in verità) bisogna ripartire, per un partito di sinistra, che sia evento storico concreto (per sé) per rimettere in moto la storia ideale (in sé) dell’emancipazione umana dalla prepotenza degli sfruttatori.

Fonte: MicroMega online - blog dell'Autrice 

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