La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 9 novembre 2015

No Triv. C'è un fronte unico delle opposizioni politiche e sociali

di Angela Mauro
Raccontano i suoi che uno dei motivi per cui Matteo Renzi va raramente al sudè il timore di solleticare contestazioni contro i nuovi permessi di ricerca ed estrazione petrolifera nell’Adriatico, Ionio e terraferma. In effetti, gli è successo a L’Aquila, a fine agosto. E poteva succedere anche a Bari a metà settembre, se si fosse presentato all’inaugurazione della Fiera del Levante. Di certo il premier, che oggi è in visita in Arabia Saudita paese da sempre nodale in materia di petrolio, ha fiutato il problema: il fronte ‘No triv’, mobilitato per il referendum anti-trivelle di primavera, è l’unico che riesca a mettere insieme la variegata opposizione al governo, trovando agganci persino nella maggioranza del Pd. Una questione che scotta, soprattutto alla vigilia della conferenza di Parigi sul clima, ‘Cop21’, dove Barack Obama potrà vantarsi del suo no alla realizzazione dell’oleodotto Keystone XL, mentre Renzi ancora non ha un trofeo da esibire in materia ambientale.
Domenica a Roma, in un parco sulla Prenestina dal nome evocativo “Parco delle energie”, si è tenuta una prima assemblea nazionale, oltre che la marcia per l'Earth Day dal Colosseo a Piazza San Pietro. Oggi i 'No Triv' sono scesi in piazza davanti al ministero per lo Sviluppo Economico in concomitanza della conferenza di servizi che ha autorizzato il progetto petrolifero 'Ombrina mare', davanti alle coste abruzzesi, nonostante la contrarietà degli amministratori locali che infatti vogliono ricorrere nelle sedi legali. Nel comitato nazionale anti-trivelle c'è un po' di tutto, l'alfa e l'omega dell'opposizione e una punta di Pd. Ci sono i cinquestelle, la sinistra di Fassina e quella di Civati, la Lega e i preti, la Fiom e il Wwf, Rifondazione e i centri sociali, Federconsumatori e altre associazioni. Insomma, una specie di miracolo nell’era renziana, un fronte variegato e misto, che spera di replicare il successo del referendum contro la privatizzazione delle risorse idriche nel 2011 (vinto, anche se poco applicato).
Ma il comitato No triv ha anche l’appoggio delle dieci regioni firmatarie della richiesta di referendum contro lo Sblocca Italia, cosa che ha innervosito non poco il capo del governo. C’è la Puglia di Michele Emiliano e la Basilicata di Marcello Pittella, le Marche, la Sardegna, Abruzzo, il Veneto di Luca Zaia, Calabria, Liguria, Campania e Molise. E potrebbe aggiungersi anche la Lombardia di Roberto Maroni, regione tra le più popolose che farebbe la differenza alle urne. Tutti infastiditi dall’accelerazione del governo nella concessione di titoli per ricercare ed estrarre petrolio.
Non solo. Un fronte di allerta, se non proprio anti-trivelle, si è creato anche tra i parlamentari di maggioranza renziana del Pd, capitanato dall’onorevole Alessandro Bratti, presidente della commissione bicamerale sulle ecomafie. E’ successo sull’onda del dietrofront della Croazia sulle trivellazioni nell’Adriatico. Ebbene, in trenta Dem hanno firmato l’interpellanza nella quale Bratti chiede al governo di rivedere le norme legislative prese di mira dai no-triv proprio per evitare il referendum. Insomma, per prevenire il danno. La pressione finora non ha prodotto risultati, ma Bratti, deputato ferrarese che anti-renziano non è, insiste: “Non si tratta solo di abolire l'art 38 dello Sblocca Italia, approvato senza un reale confronto in Parlamento, ma di rivedere le scelte strategiche in ambito energetico, considerando il notevole sforzo economico sulle rinnovabili e la costruzione di importanti metanodotti e oleodotti".
E poi c'è Papa Francesco, con la sua enciclica iper-ambientalista 'Laudato sì'. Anche Bergoglio è punto di riferimento dei 'No triv'. Tanto più che i vescovi delle conferenze episcopali regionali al sud si sono già espressi contro le trivellazioni. In Basilicata hanno anche 'benedetto' le manifestazioni degli studenti No Triv davanti al palazzo della Regione l'anno scorso, quando il governatore Pittella era sotto pressione perchè ricorresse in Consulta contro l'articolo 38 dello Sblocca Italia. Non lo ha fatto ma ha chiesto i referendum. “Non c’è uno Stato centrale che ama l’Italia e un territorio che la odia. Senza una leale collaborazione tra istituzioni della Repubblica, la democrazia è più povera. Perciò ci serve un referendum: per costruire un’Italia migliore”, ci spiega all'assemblea romana Piero Lacorazza, presidente del consiglio regionale lucano che ha portato tutta l'amministrazione a convergere sull'iniziativa.
Il fermento nel Pd incoraggia Fassina che propone all’assemblea del Parco delle Energie di preparare “emendamenti alla legge di stabilità in modo da provare subito a modificare lo Sblocca Italia”, in attesa del referendum. C'è chi propone di chiedere anche una moratoria delle estrazioni in vista della consultazione e di insistere con il governo per un election day: regionali e referendum insieme in modo da avere più chance di raggiungere il quorum.
“L’obiettivo non è semplice ma possiamo farcela: ci serve l’appoggio di tutti, non renziani e renziani. Anche perché qui non è solo Renzi il problema: le autorizzazioni per le trivelle le hanno date tutti i premier… ”, ci spiega Enzo Di Salvatore, professore all’università di Teramo e ‘padre’ dei sei quesiti referendari sui quali la Cassazione si pronuncerà tra qualche settimana e la Corte Costituzionale a gennaio. Tra le altre cose, i quesiti chiedono di fermare le nuove autorizzazioni entro le 12 miglia dalla costa e sul territorio, abrogare l’articolo 38 dello Sblocca Italia, abrogare le norme che consentono allo Stato di rilasciare nuovi permessi di ricerca e nuove concessioni di coltivazione anche in attesa di un piano energia.
Il 29 novembre è in programma una manifestazione a Roma, in concomitanza col verdetto della Cassazione e legata anche alle mobilitazioni per la conferenza sul clima di Parigi. Al Parco delle Energie Maurizio Marcelli della Fiom invita tutti “alla manifestazione dei metalmeccanici contro la legge di stabilità fissata per il 21 novembre”. Prove tecniche dello stare uniti. Chissà. Ma Marcelli si presenta come la prova concreta che gli ostacoli sono superabili. “Per la Fiom non è stato facile appoggiare il referendum perché gran parte del sindacato resta legata a quell’idea di sviluppo che ci ha portato alla crisi, fondata sulle energie fossili e non sulle fonti rinnovabili – spiega all’assemblea – Ma dopo la vicenda dell’Ilva di Taranto abbiamo deciso di muoverci in difesa del lavoro solo a patto che sia rispettato anche il diritto alla salute. Quindi ci siamo”. E poi “abbiamo un compito – aggiunge con un sorriso – Renzi dice che noi non siamo per la felicità. Ma lui ha un’idea banale e sciocca delle felicità. Per me la felicità è legata di diritti. Ecco il nostro compito: gli dobbiamo far conoscere questa idea di felicità, lui non lo sa…”.

Fonte: Huffington post

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