La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 8 novembre 2015

Una guerriglia per l’acqua pubblica

di Riccardo Petrella 
Il muro dell’acqua è stato costruito negli ultimi ven­ti­cin­que anni. Anche se esi­stenti da tempo, i mate­riali per l’edificazione sono stati uti­liz­zati a par­tire dagli anni ’90. Pren­diamo, ad esem­pio, il primo: il prin­ci­pio che in una società capi­ta­li­sta di mer­cato un bene è un bene eco­no­mico, cioè pri­vato, se è oggetto di riva­lità e di esclu­sione. Ela­bo­rate da Paul Samuel­son nel 1950, Pre­mio Nobel per l’economia nel 1970, le teo­rie sul bene eco­no­mico hanno con­sen­tito ai gruppi domi­nanti di ini­ziare un pro­cesso di capo­vol­gi­mento delle teo­rie eco­no­mi­che sui diritti umani e l’economia del wel­fare. Essi hanno soste­nuto che non solo l’acqua ma la grande mag­gio­ranza dei beni (e ser­vizi) stru­men­tali alla sod­di­sfa­zione dei prin­ci­pali diritti umani sociali ed eco­no­mici sono oggetto di riva­lità e di esclu­sione e, quindi, dei «beni eco­no­mici» (oggi si dice di «rile­vanza eco­no­mica»). Così, quando le forze ostili all’economia del wel­fare e all’intervento dello Stato con­qui­sta­rono il potere alla fine degli anni ’80, la comu­nità inter­na­zio­nale, in preda alle grandi ondate di glo­ba­liz­za­zione libe­ri­sta pre­da­trice, affermò nel 1992 (alla Con­fe­renza dell’Onu sull’acqua a Dublino) che l’oro blu doveva essere con­si­de­rato essen­zial­mente come un bene eco­no­mico sot­to­messo alle logi­che dei mer­cati, e non più un bene sociale, un bene comune (il cosid­detto «terzo prin­ci­pio di Dublino»).
Il secondo “mate­riale” è stata la tesi che il valore di un bene (e di un ser­vi­zio) si defi­ni­sce e nasce anzi­tutto nel mer­cato, dal mer­cato, ai costi di mer­cato. Il valore dell’acqua non sta nella sua valenza per la vita, per il diritto alla vita, né uni­ca­mente nel valore d’uso, ma essen­zial­mente nel valore di scam­bio. Il diritto all’acqua com­porta costi note­voli e richiede infra­strut­ture, com­pe­tenze e capa­cità mana­ge­riali che solo, si è affer­mato, orga­niz­za­zioni pri­vate di tipo indu­striale e com­mer­ciale, aperte alla con­cor­renza inter­na­zio­nale, sono in grado di garan­tire. Di fronte, anche, ai feno­meni di rare­fa­zione cre­scente delle risorse idri­che nella qua­lità buona per usi umani, aggra­vati dai disa­stri ambien­tali, è stata affer­mata l’idea che è diven­tato impos­si­bile per le auto­rità pub­bli­che finan­ziare i costi cre­scenti dell’acqua attra­verso la fisca­lità gene­rale e spe­ci­fica. Tocca ai «con­su­ma­tori e agli utenti dei ser­vizi idrici» coprire i costi mediante il paga­mento di un prezzo abbor­da­bile, in fun­zione dei con­sumi e delle utenze. Il diritto umano all’acqua lascia il campo dei rap­porti pub­blici d’impegno e di respon­sa­bi­lità tra la comu­nità e i cit­ta­dini, vin­co­lanti per tutti nel per­se­gui­mento dell’interesse gene­rale, per entrare nel campo delle rela­zioni con­trat­tuali di tipo pri­vato, mer­can­tile, tra pre­sta­tori di beni e di ser­vizi e utenti e uti­liz­za­tori, in un con­te­sto di con­cor­renza aperta su tutti i fronti.
Infine, il muro è stato con­so­li­dato con “mate­riali” di coe­sione e di con­trollo tipici di un’economia capi­ta­li­sta. Mi rife­ri­sco alla finan­zia­riz­za­zione dei beni e ser­vizi comuni pub­blici in una logica di ren­di­mento com­pe­ti­tivo su scala mon­diale. Da qui i pro­cessi di mone­tiz­za­zione dei corpi idrici, bacini idro­gra­fici com­presi, e degli eco­si­stemi in gene­rale non­ché, da alcuni anni, di ban­ca­riz­za­zione dell’acqua e della natura, cioè un com­plesso sistema di stru­menti finan­ziari su mer­cati spe­cia­liz­zati sem­pre meno sotto il con­trollo degli Stati e delle auto­rità pub­bli­che, e sem­pre di più sot­to­messi alla vio­lenza degli attori finan­ziari più forti e speculativi.
La mano­mis­sione del mondo dei diritti ad opera delle logi­che finan­ziari pri­vate è quasi ulti­mata. Il muro dell’acqua, ora che è giunto alla sua terza fase, quella della finan­zia­riz­za­zione, è diven­tato mon­diale, appa­ren­te­mente inva­li­ca­bile. Gli ultimi atti di con­so­li­da­mento for­male pro­ven­gono dall’Onu. Penso al docu­mento pre­sen­tato quest’anno dal nuovo Rap­por­teur spé­cial sullo stato dell’accesso all’acqua a costo abbor­da­bile nel mondo: non mette mai in que­stione il prin­ci­pio dell’obbligo del paga­mento di un prezzo, ma ana­lizza e mette a con­fronto le forme di «tarif­fa­zione sociale» adot­tate a favore delle popo­la­zioni povere e in dif­fi­coltà socio-economica. Oppure all’adozione solenne, da parte dell’Assemblea spe­ciale dell’Onu riu­nita a Vienna a fine set­tem­bre 2015, della nuova Agenda Post-2015 (per i pros­simi 15 anni) e, in par­ti­co­lare, degli Obiet­tivi dello Svi­luppo Dure­vole. Stessa con­ferma: l’accesso all’acqua deve pas­sare attra­verso il paga­mento di un prezzo abbordabile.
A mio parere l’abbattimento del muro sarebbe pos­si­bile se una parte dei rap­pre­sen­tanti al Par­la­mento euro­peo, con il soste­gno di par­la­men­tari nazio­nali e regio­nali e delle col­let­ti­vità locali, con­du­cesse una ser­rata guer­ri­glia costi­tu­zio­nale e poli­tica. Con il ter­mine guer­ri­glia intendo dire l’importanza che essi inter­ven­gano per modi­fi­care le molte (pic­cole) dispo­si­zioni legi­sla­tive di natura sostan­ziale, orga­niz­za­tiva, pro­ce­du­rale che hanno con­dotto alla costru­zione del muro e al sistema mone­ta­rio e finan­zia­rio. Un con­ti­nuo e coor­di­nato lavoro di pro­po­ste di modi­fica delle dispo­si­zioni, per esem­pio, in mate­ria d’acqua, di sementi, di agri­col­tura con­ta­dina e soste­ni­bile, sui legami tra l’acqua, l’industria agro­chi­mica e far­ma­ceu­tica, sulla grande distri­bu­zione e i mer­cati della salute. Ciò per­met­te­rebbe di rea­liz­zare impor­tanti modi­fi­che rego­la­men­tari di forma e di sostanza, tali da far brec­cia nel muro e sul resto dell’edificio.
I movi­menti di cit­ta­dini potreb­bero col­la­bo­rare in quanto fonti di cono­scenza, com­pe­tenze e espe­rienze inno­va­trici, al ser­vi­zio dell’iniziativa comune euro­pea. I cam­bia­menti strut­tu­rali avven­gono dopo anni di rivolta, di modi­fi­che delle leggi, delle pro­ce­dure, delle isti­tu­zioni. La rivo­lu­zione ha biso­gno d’immaginazione, di uto­pia e di tante gambe (grandi e pic­cole). L’esperienza sto­rica ci dice che se alcuni par­la­men­tari ini­zias­sero la guer­ri­glia, cen­ti­naia di asso­cia­zioni di cit­ta­dini dell’Ue diven­te­reb­bero rapi­da­mente le gambe di cui vi è bisogno.

Fonte: il manifesto 

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