di Lorenzo Cattani
Il tema delle migrazioni interne può sembrare una problematica superficiale, soprattutto se confrontata con i massicci flussi migratori originatisi negli ultimi anni, eppure sono un fenomeno che ha dato, e che continua a dare, forma all’Italia di oggi. In un’altra recensione sulle migrazioni italiane, l’autrice Francesca Fauri sosteneva infatti che l’Italia è sempre stata terra di migrazioni anche in periodo pre-unitario e per quelle che oggi chiamiamo “migrazioni interne”, vi è stato un tempo in cui erano considerati spostamenti importanti, a testimonianza della grande mobilità all’interno della penisola. Il libro di Colucci e Gallo, da questo punto di vista, seppur indugiando in descrizioni talvolta eccessive, fornisce informazioni importantissime e cruciali per discutere il futuro del Paese.
Il libro, essendo un volume collettaneo, tende ad avere un approccio poco omogeneo, ma ha allo stesso tempo il merito di saper “isolare” molto bene le tematiche di interesse per il lettore. Di seguito verranno proposte gli elementi ritenuti più interessanti, al fine della recensione, che vengono sollevati dai vari autori del volume.
Migrazioni studentesche e rapporto Nord-Sud
Il tema è di immediato interesse per quello che è un dibattito che va oltre la semplice mobilità, toccando temi relativi al mercato del lavoro e al capitale umano. Roberto Impicciatore, autore del capitolo in questione, afferma infatti che analizzando la mobilità studentesca si nota come la scelta di studiare fuori dalla propria regione di residenza possa essere associata a due fondamentali elementi: il prestigio e la qualità dell’ateneo di immatricolazione e le caratteristiche del mercato del lavoro in cui si trova l’ateneo in questione. Vengono sottolineati diversi elementi nello spiegare come mai vi sia un flusso costante di studenti che si trasferiscono dal Meridione verso le regioni del Centro-Nord. Innanzitutto, vi è la percezione del maggior prestigio delle università del Centro-Nord ma vi sono anche le caratteristiche del mercato del lavoro di queste due aree. Nel Mezzogiorno, oltre alla differenza salariale con il Centro-Nord, si pone in maniera molto seria il problema di un’offerta di lavoro che nel tempo è aumentata, unitamente però ad una diminuzione della domanda di lavoratori qualificati. Se a questo si aggiunge l’importanza ricoperta dalle reti di conoscenze informali e familiari nel trovare un lavoro, ne consegue che le professioni al Sud sono permeate da una forte ereditarietà e che i ritorni occupazionali sull’istruzione sono più bassi.
A tutto ciò si aggiunge anche l’analisi sul profilo degli studenti più mobili. Gli studenti che si trasferiscono dal Meridione al Centro-Nord per iscriversi all’Università sono tendenzialmente quelli che si sono diplomati coi voti più alti e poiché chi si trasferisce dal Sud al Nord molto spesso rimane a lavorare nella stessa zona in cui si è laureato, questa mobilità è spesso vista come un problema per il Mezzogiorno, dando origine ad una serie di svantaggi. Innanzitutto vi è una privazione di capitale umano, elemento che impatta negativamente sull’economia e influisce negativamente sulla capacità del Sud di richiamare investimenti. In secondo luogo vi è il problema dei costi sostenuti per formare uno studente che, una volta trasferitosi per studiare fuori regione, decide di non tornare a casa per lavorare. Infine, elemento assai interessante, a differenza delle migrazioni interne degli anni ’50 e ’60, in cui i migranti contribuivano positivamente all’economia del Mezzogiorno, tramite le rimesse che venivano spedite a casa, adesso la permanenza fuori regione degli studenti viene finanziata dalle rispettive famiglie, situazione che assume connotati preoccupanti se si prende in considerazione il fatto che quegli studenti molto probabilmente non torneranno a casa per lavorare.
L’autore suggerisce che più che disincentivare le migrazioni, sarebbe consigliabile incentivare la circolarità delle migrazioni, attraendo studenti del Centro-Nord verso le regioni del Mezzogiorno. Impicciatore cita, all’interno di quelle strategie di attrazione che potrebbero portare ad “immediati effetti benefici per il mercato del lavoro locale”, il potenziamento delle infrastrutture per innovazione e ricerca, l’aumento della spesa per università, alta formazione e ricerca, così come la costruzione di centri di eccellenza in grado di attrarre persone da tutta Italia e dall’estero. Altro suggerimento è quello di incentivare lo scambio fra regioni italiane, tramite, ad esempio, incentivi a trascorrere periodi di studio al Sud per gli studenti del Centro-Nord. Questi interventi dovrebbero rappresentare un buon freno all’emorragia di capitale umano attualmente in atto, tenendo conto che la possibilità di migrare per sfruttare al meglio la propria formazione rappresenta un incentivo all’acquisizione del capitale umano anche per chi decide di non spostarsi, con ulteriori investimenti su scuola e crescita economica come positive conseguenze.
Migrazioni interne e urbanizzazione di Roma
In questo capitolo, scritto da Massimiliano Crisci, viene analizzato il modo in cui le migrazioni interne hanno contribuito alle trasformazioni urbane della capitale. L’autore afferma che sono state importanti nel dare forma al processo di urbanizzazione di Roma, Crisci arriva ad affermare che “le migrazioni hanno contribuito a trasformare Roma dalla metropoli <> dei papi, alla odierna metropoli multiculturale in via di realizzazione”. Ciò che più cattura l’attenzione su questo tema è che, nel corso del tempo, il saldo migratorio fortemente positivo di Roma non è stato la conseguenza di una altrettanto forte industrializzazione, come nel caso delle regioni settentrionali. Chi si trasferiva a Roma ha trovato lavoro tendenzialmente nell’edilizia, nella pubblica amministrazione o, più in generale, nel terziario impiegatizio. Va inoltre sottolineato come lo sviluppo urbano fosse dominato “dagli interessi dei costruttori e della rendita immobiliare”, impedendo un corretto incontro fra domanda e offerta di appartamenti, da cui il forte aumento di baracche e abitazioni autocostruite sia in zone centrali che periferiche. Questa situazione fu gestita dall’amministrazione locale con sgomberi e trasferimenti verso aree sempre più periferiche fino agli anni ’70 del XX secolo, quando grazie all’azione pubblica furono abbattute le baracche, ristrutturate le borgate, ricollocati in affitto a canone sociali gli ex abitanti, iniziative che furono portate avanti dal Pci fino all’inizio degli anni ’80.
Ciò che però preoccupa è che in questo periodo il saldo migratorio romano smette di crescere con la stessa forza di prima e, anzi, dagli anni ’80 in poi andrà in negativo e sarà solo dopo un decennio che riprenderà a salire in maniera significativa. Tuttavia, a questa diminuzione non si accompagna un uguale calo della “città illegale”: l’abusivismo edilizio era infatti aumentato con i forti flussi migratori in entrata ma dopo che questi iniziarono a contrarsi, l’abusivismo non seguì un simile percorso, continuando a crescere, esercitando attrattiva soprattutto per le famiglie con redditi medi e medio-bassi, che avevano maggiori difficoltà ad accedere al mercato “legale”. Negli anni duemila Roma torna a crescere grazie alle migrazioni, ma la cosa interessante è che questo aumento è più intenso negli anni successivi alla crisi economica. In conclusione si può dire che le migrazioni interne abbiano fortemente impattato lo sviluppo della città e che soprattutto abbiano sostituito il tradizionale rapporto centro-periferia con una rete di legami “tra realtà vicine e lontane che travalica spesso i confini amministrativi e statali. Una rete sempre più vasta di relazioni che ha nelle migrazioni […] una delle più evidenti manifestazioni che verosimilmente continuerà a rappresentare un elemento chiave del cambiamento di Roma anche nei prossimi decenni.
Lavoro agricolo e migrazioni nell’Italia settentrionale
In questo capitolo viene affrontato un tema di grande rilevanza, che tocca tematiche molto importanti come, ad esempio, il fenomeno del caporalato. Il primo dato su cui Francesco Carchedi, autore del capitolo, si concentra è quello dei lavoratori stranieri. Questi lavoratori sono infatti impegnati in diversi tipi di mobilità: lineare, quando si spostano solo fra casa e luogo di lavoro, ma anche rotatoria e multidirezionale, quando si spostano tra più luoghi di lavoro mantenendo però una sola casa oppure quando al cambiare dei luoghi di lavoro cambiano anche le abitazioni. La mobilità è legata quindi a spostamenti necessari per raggiungere quei luoghi dove la domanda di lavoro è più dinamica, sia per quanto riguarda la dislocazione geografica delle diverse aree agro-alimentari, che per i tempi che intercorrono fra la preparazione dei campi, il monitoraggio del processo di manutenzione e la raccolta stagionale dei prodotti.
Naturalmente gli spostamenti sono influenzati anche dalla natura stagionale di questi lavori. Per questi lavoratori il settore agricolo diventa un “settore rifugio” per chi vuole integrare il proprio reddito. In questi casi i lavoratori in questione sono precari, sotto-pagati o disoccupati, condizioni che portano questi lavoratori a non essere contrattualizzati. A livello nazionale, i lavoratori stranieri rappresentano più di un terzo dei lavoratori del settore agroalimentare e la maggior parte di questi individui trova impiego nelle regioni del Nord e del Mezzogiorno. Prendendo il caso della Lombardia, in particolare il distretto di Sermide, l’autore rileva che la mobilità da parte dei lavoratori stranieri è massima, poiché adatta alle disposizioni delle aziende: non è raro infatti osservare individui che lavorano anche per tre aziende contemporaneamente. Citando Carchedi, “Ad esempio: il primo contratto prevede che la mattina dalle 5 fino alle 12 il lavoratore deve andare presso un’azienda in un determinato campo poi […] si sposta in un’altra azienda per lavorarci fino alle 18-19. Dopo le 19 (con una pausa per la cena) si può tornare al primo campo, o andare in un altro ancora, per l’irrigazione, per la pulizia delle attrezzature meccaniche o per predisporre il lavoro che svolgeranno i colleghi il giorno successivo”.
Questi lavoratori possono rimanere fuori di casa anche per dodici ore, avendo percorso anche 100 Km in un giorno. Gli spostamenti possono essere organizzati dall’azienda tramite la figura dei caporali, ma possono anche essere organizzati in modo indipendente. Alla mobilità intenzionale quindi, dice l’autore, se ne affianca un’altra non intenzionale, organizzata a prescindere dalla volontà del lavoratore. Da queste righe si può già capire come ciò porti ad una problematica abitativa: per gli stanziali il problema maggiore riguarda le modalità di pagamento dello stipendio, che non viene sempre fornito su base mensile e non sempre in denaro o tramite bonifico. È quindi chiaro come per questi lavoratori sostenere le spese sia problematico. Una risposta a questi problemi è la coabitazione, soprattutto fra i celibi ma è una soluzione percorsa anche da nuclei familiari seppur in maniera minore. Di solito le aziende mettono a disposizione degli alloggi, il cui affitto di norma è compreso fra i 150 e 200 euro mensili; tali alloggi solitamente dispongono di 10-30 posti letto ma in altri casi vengono usati capannoni che ospitano fra i 50 e i 60 individui.
Questa situazione, secondo l’autore, è venuta a crearsi anche per il difficile incontro fra domanda e offerta di lavoro, soprattutto a seguito dell’indebolimento dei Centri per l’Impiego quali intermediari, in conseguenza delle norme che hanno cercato di deregolamentare il mercato del lavoro. Le difficoltà sperimentate dai datori di lavoro nel reperire manodopera ha creato uno spazio per l’intermediazione illegale, con l’ingaggio di caporali da parte di diversi datori di lavoro. Questo fattore, secondo Carchedi, avrebbe incrementato la mobilità geografica della forza lavoro, in particolar modo di quella straniera, tenendo a mente che tale mobilità non sempre è intenzionale quando è l’azienda a predisporre contrattualmente gli spostamenti del lavoratore. L’autore suggerisce che una nuova regolamentazione del matching fra domanda e offerta di lavoro potrebbe ridurre tali distorsioni generate dall’intermediazione illegale, riportando la mobilità dei lavoratori in un contesto di legalità e volontarietà.
Fonte: pandorarivista.it
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