La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 9 novembre 2015

I Curdi ancora sprezzanti dopo le elezioni turche

di Joris Leverink
Appena pochi giorni prima delle elezioni di domenica (1° novembre) in Turchia la gente del piccolo villaggio sudorientale di Kocaköy, si era radunata per commemorare la morte di uno dei suoi figli. Renaz Karaz era stato il suo nome di battaglia, ma sua madre lo ricordava come Muhammed. Aveva soltanto 21 anni quando è morto il 30 ottobre 2014 a Kobane, dove stava contribuendo alla difesa della città contro gli attacchi del cosiddetto gruppo Stato Islamico.
La madre di Muhammed, Rukiye Şık, va in giro stringendo mani, baciando guance e confortando i suoi ospiti. C’è uno scintillio nei suoi occhi è la sua faccia è abbellita da un sorriso che scompare solo ogni tanto. E’ difficile capire come qualcuno che ha sofferto una tale perdita possa ancora trovare l’energia di confortare le persone attorno a lei.
Quando le chiedono come sia possibile mantenere un sorriso sulla sua faccia, la sua risposta ci fa penetrare in modo unico nella mente curda in questi tempi critici.
“Ho così tanto dolore nel mio cuore, ma sorrido, rido perché vincerò questa battaglia sorridendo, non essendo triste,” spiega. “Ho tutta l’energia per vincere questa battaglia. Starò qui, vivrò nel mio paese, mangerò il mio cibo. Lui è quello [il presidente Erdoğan] che viene nel mio paese e mi chiede di andarmene. E’ lui.”
Continua: “Ma questo è il mio paese e resterò qui. Se Dio vorrà, resterò qui e sorriderò. Il numero dei curdi aumenterà e non perderemo più. Vinceremo. Staremo nel nostro paese e sorrideremo fino a quando Erdoğan perderà la battaglia.”
I risultati delle elezioni indette a sorpresa di domenica sono stati un trauma per molti, ma specialmente per coloro che erano stati danneggiati più di tutti dalla rabbia del’AKP, dopo che il partito aveva perduto la sua maggioranza in parlamento per la prima volta in 13 anni.
I cinque mesi tra le due elezioni sono stati rovinati dalle violenze durante le quali centinaia di persone hanno perduto la vita, compresi soldati e membri della guerriglia, poliziotti e cittadini. Due degli attacchi più letali nella storia della Turchia hanno ucciso 140 persone, e a quanto si dice moltissime persone sono state ammazzate quando le forze di sicurezza hanno attaccato quartieri e città dove i giovani avevano preso le armi per proteggersi dalla violenza dello stato.
Proprio subito dopo la chiusura delle urne elettorali, si potevano vedere macchine che andavano in giro per Dyarbakir, suonando i clacson e con la gente che si sporgeva dai finestrini, sventolando le bandiere dell’HDP, il partito di sinistra con le radici nel movimento per la libertà curda. Alcuni festeggiamenti prematuri sono stati vivacizzati da luminosi fuochi d’artificio e nelle strade si potevano sentire gli slogan ‘Biji, biji HDP! (‘Lunga vita all’HDP!’).
E poi sono stati diffusi i primi risultati che dimostravano una vittoria inaspettatamente grande dell’AKP (il partito di Erdogan, n.d.t.) che alla fine della giornata sembrava aver raccolto quasi il 50% dei voti. L’HDP (il partito filocurdo) ha appena superato la soglia elettorale del10% e ha perduto circa 1 milione di voti rispetto alle elezioni di giugno.
La speranza si è trasformata in rabbia, l’euforia in delusione. “In che modo le persone possono ricompensarli così di tutta la corruzione, le uccisioni e la repressione?” era una domanda che si sentiva spesso nelle strade della capitale di fatto della regione curda della Turchia.
Però, dopo una breve notte di lutto e pochi scontri isolati tra giovani eccitati e la polizia, Dyarbakir si è svegliata la mattina dopo con un luminoso cielo blu e il calore del sole della Mespotania. La gente era ancora arrabbiata, delusa, triste e indignata, naturalmente, ma questo è un qualcosa con cui la gente del Kurdistan ha convissuto per tutta la vita. E non avevano intenzione di perdere la speranza proprio allora.
“Non ci concentriamo sulle elezioni, ci concentriamo sulla lotta, ci aveva spiegato pochi giorni prima Süreyya, di 33 anni, un’amministratrice di distretto in uno dei quartieri più poveri di Dyarbakir: “Stiamo combattendo contro il patriarcato e lo facciamo nella nostra vita quotidiana. Non soltanto nella politica.”
“La lotta individuale è importante,” ha affermato, fumando una sigaretta dopo l’altra
in una stanzetta dell’edificio del Consiglio di quartiere. “Ma ancora più importante è la lotta comune. Se vogliamo la giustizia, dobbiamo cambiare l’intero sistema. Qualunque cosa accada [domenica], continueremo a lavorare per il nostro futuro.”
L’umore generale dopo le elezioni sembra quello di un giusta sfida come se la gente non volesse permettere a Erdoğan ai suoi scagnozzi di vedere i curdi andare in giro con la testa bassa, sconfitti. Un’alzata di spalle e la lotta continua. Con un sorriso, perché è così che si vincono le battaglie.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: teleSUR English
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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