La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 23 novembre 2015

Molenbeek, il pezzetto di Belgio base degli attacchi terroristici a Parigi

di Martin Conway 
Proprio come durante le invasioni tedesche del 1914 e del 1940 la guerra, sembra, arriva in Francia dal Belgio. Se si segue la logica delle dichiarazioni di vari leader politici francesi dopo i sanguinari attacchi a Parigi del 13 novembre, il Belgio è divenuto la base da cui lo Stato Islamico ha portato i conflitti del Medio Oriente nelle strade di Parigi.
C’è molto, a proposito di tale logica, che non supererebbe un’analisi seria. La Francia ha cresciuto molti dei suoi problemi all’interno delle sue stesse periferie. E gruppi dediti all’azione armata, dai movimenti della resistenza nella seconda guerra mondiale ai gruppi nazionalisti baschi degli anni ’80 e ’90, hanno trovato vantaggioso utilizzare territori confinanti come base da cui lanciare le loro operazioni.
Detto questo, le autorità francesi hanno delle prove. Molenbeek – un comune urbano ai margini nord-occidentali di Bruxelles – è improbabile compaia in un futuro prossimo nei giri dei bus turistici della Bruxelles storica.
Anche se si trova a solo un paio di chilometri dalla Grand Place e dalla Manneken Pis, e a una semplice corsa di taxi dall’ufficio del presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, Molenbeek è un mondo a parte. Quest’area ghetto, oggi sulle prime pagine dei giornali di tutta Europa, è priva di fondi, coesione sociale e di un’amministrazione efficiente.
Precedenti residenti se ne sono andati per sobborghi più prosperi della periferia di Bruxelles. Al loro posto è emersa una comunità fratturata. Quelli che hanno condotto gli attacchi armati a Parigi risultano avervi trovato un conveniente anonimato, oltre all’accesso ad armi e al sostegno di militanti islamici radicalizzati in sintonia con loro.
Non è stato sempre così. Molenbeek, solo vent’anni fa, era un bastione socialista della Bruxelles della classe lavoratrice. E’ francofono per la maggior parte, ma composto prevalentemente da persone che, solo un paio di generazioni addietro, erano arrivate come emigranti di lingua olandese dalle Fiandre.
I tempi, tuttavia, sono cambiati. La sua vecchia squadra di calcio, FC Bruxelles, è scivolata in terza divisione e alle ultime elezioni comunali i socialisti, che avevano controllato il comune per decenni sotto la guida dell’eminente figura politica di Bruxelles Philippe Moureaux, alla fine hanno perso il controllo in mezzo a una moltitudine di accuse di corruzione istituzionalizzata.
Il sindaco attuale, Françoise Schepmans, è una liberale poco plausibile della classe media, che presiede un comune che è indiscutibilmente alla bancarotta, ma anche spezzato.
L’impatto congiunto del declino urbano, dell’esodo sociale e dello sviluppo ininterrotto di Bruxelles come città che esiste al servizio di una élite internazionale priva di radici si è rispecchiato nella trasformazione di Molenbeek in un comune composto di gran parte da lavoratori immigrati di breve permanenza, tratti da una vasta gamma di storie culturali, uniti solo dal loro limitato coinvolgimento con un certo luogo chiamato Belgio.
Tutto questo è un passo oltre ciò che gli europei si sono abituati a considerare multiculturalismo. Bruxelles è stata a lungo una città multiculturale, e specialmente tale dopo l’arrivo di considerevoli comunità di immigrati nordafricani, turchi e centro-africani negli anni ’60 e ’70. Ma Molenbeek, in comune con alcuni degli altri distretti ghetto di Bruxelles, è divenuto un micro-mondo di molteplici comunità all’interno del quale le persone costruiscono il loro individuale senso d’identità.
Un altro mondo rispetto a Bruxelles
Gran parte di questo è il prodotto delle ondate contemporanee di globalizzazione. Quel che vale per Molenbeek, vale anche per aree di Londra e Parigi. Ma ciò che è specificamente belga in questa storia è lo stato del Belgio.
Il Belgio, come comunità politica, ha molte virtù. Ha offerto un modello di come il declino delle lealtà nazionali non necessiti di accompagnarsi a mobilitazioni di massa e a violenza politica. Ma il radicale decentramento del potere centrale che si è verificato dagli anni ’80 ha svuotato le istituzioni federali belghe di gran parte del vecchio potere. Le loro responsabilità sono state gradualmente delegate a una struttura complessa di regioni e di comunità linguistiche.
Questa è una storia contemporanea del declino del nazionalismo centralizzato. Ma, come sono serviti a rivelare gli eventi recenti, ciò ha anche determinato l’erosione delle istituzioni pubbliche.
Molenbeek manca non solo di risorse, ma anche del sostegno offerto da un’efficace autorità statale. In quanto uno dei 19 comuni largamente indipendenti della città di Bruxelles, i suoi funzionari pubblici, che affrontano tutti i problemi di un sobborgo ghetto, sono privi della capacità di offrire scuole, servizi sociali o le strutture pubbliche efficienti che potrebbero generare legami comunitari. La conseguenza è un mondo in cui il ruolo più convenzionale dello stato è finito soppiantato da altre fonti meno formali di offerta, sostegno e comunità.
E’ anche privo, come abbiamo scoperto, di molto quanto a una polizia efficiente. A tale riguardo Molenbeek non è un caso unico. Fin dagli orribili rapimenti di bambini commessi da Marc Dutroux e dai suoi complici negli anni ’90, le molteplici carenze della polizia belga non sono certo state un segreto. Troppo localismo, troppe autorità che si sovrappongono e troppa politicizzazione nelle nomine hanno tutte ridotto la capacità delle molte forze di polizia belghe di affrontare più che le sfide più quotidiane.
Questo, come hanno dimostrato gli eventi degli ultimi giorni, ha lasciato Molenbeek vulnerabile alla delinquenza e al terrorismo opportunista. Per risolvere tali problemi il Belgio, pare, dovrebbe reinventarsi come stato.

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: The Conversation
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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