La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 9 novembre 2015

Torino, in alto a sinistra

di Marco Grimaldi
In molti mi hanno chiesto come mai penso che sia giusto dare vita, alle prossime elezioni comunali, a un progetto autonomo dai democratici. Come molti sanno, penso che il centrosinistra sia stato ucciso prima di tutto dalle piccole e larghe intese con i "diversamente berlusconiani" e in seguito sia stato sepolto dalla mutazione genetica del PD. A livello locale sopravvivono delle esperienze di amministrazione dove non vi sono ambiguità e il programma di governo é chiaro e ha le radici e la testa nella volontà di cambiamento. Sono tra quelli che pensano che il mandato ricevuto dagli elettori vada rispettato e portato con coerenza a termine, e così proverò a fare in Regione Piemonte. Questo non significa che la lealtà possa essere scambiata per fedeltà eterna. Le alleanze, come i partiti, sono strumenti.
Per questo, a Torino come altrove, prima di ripetere un'esperienza si sarebbe dovuta aprire una discussione su quello che è stato fatto in questi anni, per chiarire su quali basi ci si candida a governare la Torino del 2021. Non è successo.
Soprattutto, mi pare sempre più chiaro che sia impossibile ricostruire un'alleanza con un PD a trazione renziana, che riceve e accoglie il sostegno da Verdini, l'appoggio al governo di Alfano e il programma di Berlusconi. Un PD che vuole la scomparsa o la sussunzione di SEL e di chiunque si ponga alla sua sinistra. Il verbo turborenziano dice chiaramente una cosa: o si sta dentro il PD e si diventa diversamente renziani o si può tranquillamente scomparire. Non c'è rispetto per la nostra cultura e per i nostri programmi. L'arroganza del "Partito della Nazione" non ha limiti, come dimostrano i tentativi di incoraggiare liste di sinistra "fake" in appoggio ai loro candidati, nel tentativo di sostituire le voci di sinistra esterne al PD e attrarre il loro elettorato.
In più c'è un'altra verità. Lo stesso Galli della Loggia, lo dice: "il Partito della Nazione piace alla gente che piace e che conta". Altro che rottamazione, Renzi difende lo status quo. Non c'è nessun disegno, nè idea di ridistribuzione e giustizia sociale. Invece di abolire la Tasi per tutti, anche per chi se la può permettere, bisognerebbe pensare a realizzare un reddito minimo garantito per i 6 milioni di italiani che vivono sotto la soglia di povertà assoluta. Invece che allearsi con le sentinelle in piedi, bisognerebbe approvare una legge sui matrimoni egualitari. Si tollera la precarietà adducendo il fatto che sia necessaria per stare al passo coi tempi, e intanto si mette all'angolo chi sciopera e critica. Allora il problema non è solo l'alleanza con gli "alfanoidi", il problema è che il PD è ormai un OGM. Una volta fatte proprie le sue idee, poi attratto a sé il suo blocco sociale e, se è possibile, i suoi finanziatori, assunto il suo programma e a quel punto conquistati anche i suoi voti, non si è sconfitto l'avversario, si è solo preso il suo posto. È sufficiente osservare l'atteggiamento che ha Renzi nei confronti di Comuni e Regioni: dal triste federalismo per abbandono si è transitati verso un nuovo centralismo senza Stato; i territori fanno da "ospedali da campo" della crisi e il Premier si "diverte".
Certo, a Torino il Biciplan, il regolamento per gli orti urbani e il Fondo Salvasfratti sono state nostre idee diventate realtà. Ogni volta che guardo le bici del bike sharing e i mezzi di trasporto notturni sono orgoglioso come un papà davanti ai propri figli. Ma quei mezzi che abbiamo voluto tanti anni fa, che oggi collegano tutta l'area metropolitana, non li difende praticamente nessuno. Se non fosse stato per SEL, la stessa maggioranza pubblica GTT sarebbe stata venduta ai privati. Così come, purtroppo, la Giunta ha concluso veramente poco su pedonalizzazioni, zone 30 e borghi ecologici.
Tuttavia il problema più grave non è questo. Certo, Torino è una capitale dei diritti civili grazie a un centrosinistra che dai tempi di Chiamparino ha affrontato di petto grandi questioni, dal registro delle coppie di fatto e del fine vita fino alla cittadinanza civica ai bambini figli d'immigrati nati a Torino. Una città poliedrica che, da laboratorio culturale e civile, è diventata sempre di più un polo della conoscenza capace di valorizzare la sua vocazione universitaria e turistica. Ma purtroppo questa è solo una parte del ritratto. È la negazione del fatto che la nostra città sia in estrema difficoltà a non essere condivisibile. Sono le risposte alla crisi che non ci convincono. Basta vedere l'assoluta povertà di dibattito sulle vocazioni produttive della città e sui numeri degli inoccupati e dei sottoccupati.
"Troppe case senza famiglie, troppe famiglie senza casa" non è solo uno slogan. Torino è la capitale degli sfratti e la sinistra, invece di scandalizzarsi per le occupazioni, dovrebbe porsi il problema di rimuovere questa ingiustizia. Servono reddito e casa. Servono un tetto, acqua, cibo, luce, non camionette e divise antisommossa. Sfrattare famiglie con bambini senza offrire delle soluzioni alternative, come sta avvenendo a Torino e a Bologna, è un gesto che rompe il binomio legalità-etica. C'è bisogno di un Sindaco che dica che, in una situazione di emergenza abitativa che non accenna a recedere, servono interventi ispirati al principio della solidarietà, non certo a quello dell'ordine. Abbiamo chiesto più volte in Consiglio comunale misure che rendano immediatamente disponibili luoghi abbandonati, per dare risposte agli sfrattati che non accedono alle case popolari e ai programmi di social housing. Le foresterie delle Caserme sono ancora vuote. Invece di discutere solo sulle occupazioni, la città dovrebbe aprirle per chi è rimasto senza casa. Cosa c'è di più urgente di questo?
Inoltre, dal Partito Democratico torinese ci dividono due cose, e non da poco, entrambe legate al modo in cui Fassino ha interpretato il suo ruolo di Sindaco. Innanzitutto, il ricambio della classe dirigente doveva essere il primo grande obiettivo di un Sindaco traghettatore, mentre appare ormai evidente che Fassino abbia voluto guidare e dirigere il suo partito più che la città. Un partito che spesso non si rende conto che amministrare non significa possedere la città.
In secondo luogo, la Giunta ha amministrato e amministra in modo stanco. Come si diceva un tempo, è come se si fosse "esaurita la spinta propulsiva" del centrosinistra torinese. In questi ultimi anni c'è stata poca visione, tanto meno innovazione. Probabilmente dipende anche dalla debolezza delle opposizioni, che hanno dato a chi governava l'impressione che si potesse tirare a campare per sempre, in parte dalla confusione di un PD snaturato che non sa nemmeno contrastare il "fuoco amico" del Governo verso i Comuni.
Per tutte queste ragioni non ho timore che il nostro tentativo di costruire a Torino una proposta di sinistra autonoma sia velleitario. Anzi penso che questa analisi ci porti a dire che il progetto "Torino in comune" sia necessario. La disponibilità alla candidatura di Giorgio Airaudo è un primo passo importante. Poi starà a tutti coloro che parteciperanno alla costruzione del progetto farlo mettendo a disposizione tutto quello che possono. Idee, energia e tempo. Spero che lo faremo cercando "sangue nuovo". Vorrei che questo fosse un impegno esplicito, per me lo è. Lo dico spesso: se si va dall'asilo all'università sempre e solo con le stesse persone, finisce che non si ha più niente da dirsi o ci si dice le stesse cose.
C'è bisogno di tutta la passione civile possibile, perché Torino esca dal torpore, dal suo provincialismo, dalla retorica ormai troppo logora di una città che non è più la "one company town" di una volta. C'è bisogno di volti ed esperienze nuove. Noi siamo pronti a raccoglierle e farle diventare fattore di cambiamento.

Fonte: Huffington post - blog dell'Autore 

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