La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 16 ottobre 2015

Accogliere i profughi: il nostro futuro è comune

di Jérôme Roos
La “crisi dei profughi” dei recenti mesi ha spaccato in due l’Europa. Ma al contrario di quello che la stampa liberale ci vorrebbe far credere, la principale linea divisoria corre non tra quegli stati (come la Germania) che hanno avuto un approccio più umano davanti alla crisi accogliendo più profughi, e quelli (come l’Ungheria) che hanno chiuso i loro confini e che hanno inasprito i controlli su chiunque tenti di attraversarli senza i documenti appropriati.
La vera scissione, invece, è quello tra stati e istituzioni che sorvegliano gelosamente i loro confini, aggrappandosi a una logica territoriale esclusoria che sta rapidamente diventando insostenibile e le persone normali alla base – profughi e gente locale – che organizzano loro stessi azioni di solidarietà oltre i confini e che stanno creando un tipo diverso di Europa operando dal basso.
I primi giocano sulle paure delle classi medie e basse del continente che sono sempre di più precarie, per sfruttare occasioni elettorali nel breve termine, e di trasformare i più grossi flussi di migrazione mai verificatisi dalla II Guerra mondiale in una “crisi del controllo dei confini,”, invece che nella crisi umanitaria che in realtà è. Mentre alcuni leader – soprattutto Angela Merkel – hanno dato la preferenza a un approccio più tollerante, la loro compassione superficiale nondimeno tradisce la stessa logica di controllo.
I secondi, invece, sono la vera faccia di un’Europa che cambia. Dalle spiagge di Lesbo e di Kos, agli attraversamenti di frontiere nei Balcani, dalle recinzioni al confine serbo-ungherese alle stazioni ferroviarie di Monaco e Vienna, e dai centri di detenzione in tutto il continente agli spazi auto-organizzati come il campo profughi di Calais, le centinaia di migliaia di rifugiati e di migranti che sono riusciti ad arrivare in Europa nei mesi scorsi, stanno iniettando una salutare iniezione di cambiamento sociale dal basso nella linfa vitale di una comunità europea moribonda.
Nel corso dello svolgersi dei fatti, hanno ispirato la nascita di un movimento transnazionale che sta unendo gli europei in solidarietà attraverso i confini con chi è appena arrivato. Seguendo a ruota il movimento di solidarietà in tutto il continente con la Grecia che la ha circondata durante i negoziati europei per il debito e il referendum di luglio, le mobilitazioni di “accoglienza ai rifugiati” stanno già cambiando la faccia della politica europea, spostando decisamente lo slancio discorsivo lontano dai nazionalisti e dagli xenofobi.
La natura e la portata dei cambiamenti prodotti da questi due processi simultanei e interconnessi potranno essere soltanto valutati in modo appropriato con il senno di poi fra parecchi anni, ma l’impatto a lungo termine sulla società europea è probabile che sia enorme e irreversibile.
Per prima cosa, i profughi stanno contribuendo a buttare giù i confini proprio nell’atto di attraversarli. I vasti movimenti irregolari di esseri umani nei mesi scorsi hanno rivelato proprio come sono realmente deboli e impreparati i sofferenti stati nazione dell’Europa, e come rimane inefficace il regime dell’Unione Europea del confine esterno. La fortezza Europa, con tutto il suo male e le sue atrocità, è molto più permeabile di quanto i suoi difensori vogliano pensare (o vogliano che noi crediamo). In verità, le sue mura vengono violate quotidianamente migliaia di volte.
Dato che il flusso si intensifica, certamente l’Europa costruirà altri muri e aumenterà i pattugliamenti sui suoi confini esterni. Ma dovunque c’è una volontà di fare una cosa anche difficile, si trova anche un modo di ottenerla – e dal momento che la volontà di vivere sarà sempre più forte della capacità di resistere alla povertà senza fine, la guerra e l’oppressione, la gente continuerà a venire in Europa in cerca di un futuro migliore. Giustamente.
Certamente ci sarà un’immensa sofferenza individuale – dalle tragedia delle barche affondate alle atrocità della polizia di frontiera. A un livello più sistematico, tuttavia, le centinaia di migliaia di persone che stanno arrivando attualmente in Europa mettono in luce un fatto incontrovertibile del ventunesimo secolo: non importa quanto duramente possano tentare i governi nazionali, sarà semplicemente impossibile fermare gli immensi flussi di esseri umani che sono destinati a fare la traversata negli anni e decenni futuri.
Per un continente che sta invecchiando e che è privilegiato, come l’Europa, questa è in realtà una buona cosa: la migrazione offre un’opportunità di ringiovanire ed arricchire le nostre società che si stanno ingrigiendo. La Merkel, tanto per cominciare, è ben consapevole che la Germania, con il più basso tasso di natalità del mondo, sarà spacciata senza un grande afflusso di forza lavoro. Per il capitalismo tedesco, l’esodo dei siriani è semplicemente un dono del cielo. Unito a uno storico senso di colpa, l’opportunismo spiega almeno una parte dell’approccio relativamente tollerante della Germania.
Indipendentemente, però, dal problema che la migrazione sia “vantaggiosa” o “auspicabile”, c’è una realtà molto più elementare che gli europei dovranno in qualche modo affrontare: vi piaccia o no, per altri quindici anni del ventunesimo secolo, la migrazione di massa continuerà. La cosiddetta crisi dei profughi dell’estate del 2015, in realtà è stato soltanto l’inizio. Quest’anno circa 600.000 persone hanno fatto richiesta di asilo nell’Unione Europea. Il prossimo anno si prevedono 1,4 milioni di persone. Negli anni a venire altri milioni li raggiungeranno. E’ probabile che diecine, se non centinaia di milioni arriveranno come conseguenza del cambiamento del clima, nei decenni futuri.
In che modo dovrà adattarsi l’Europa a tali drammatici modelli di ricollocamento umano e ai conseguenti cambiamenti demografici? Tanto per cominciare, gli ansiosi europei dovranno mettere in prospettiva le vere cifre e la realtà dell’emigrazione di massa: i 600.000 rifugiati che quest’anno fanno richiesta di asilo in Europa, in realtà non sono moltissimi su una popolazione totale di mezzo miliardo di europei. Le cifre impallidiscono anche in paragone ai 4 milioni di rifugiati siriani registrati nella regione, oppure ai 7,5 milioni di emigrati interni. Il minuscolo vicino della Siria, il Libano, da solo ha accolto 1,3 milioni di profughi, su una popolazione di 4 milioni di libanesi. Viste le cose in questa luce, è difficile comprendere di che cosa si lamentino tutti questi leader europei.
In secondo luogo, se gli europei vogliono seriamente fermare i flussi di gente disperata che si riversa sul loro continente, dovranno smettere di riprodurre all’infinito le cause alla base della crisi dei profughi e, più in generale, della migrazione di massa. Le responsabilità dell’Europa riguardo a questo non sono storiche; sono ugualmente contemporanee. La guerra, la povertà e l’oppressione sono restano i principali fattori della migrazione – l’Occidente ha contribuito a promuovere tutte queste calamità per mezzo degli interventi in paesi stranieri, delle abitudine predatorie finanziarie e commerciali e dell’appoggio ai regimi autoritari in tutta l’Africa, l’Asia Centrale e il Medio Oriente. Saremo presto in grado di aggiungere a questa lista anche il cambiamento del clima causato dalle attività umane.
Terzo, se l’Europa vuole realmente che i profughi e i migranti smettano di arrivare illegalmente sui gommoni gonfiabili e su pescherecci stracarichi, dovrà assicurare un passaggio sicuro. Nessuno pagherebbe 1.000 euro in più a testa per un viaggio attraverso il Mediterraneo su una barca che mette a repentaglio la vita se potesse richiedere i loro documenti e permessi all’estero e pagare 200 euro per un volo commerciale diretto alla destinazione da loro prescelta. Il trasporto deve essere “regolarizzato” prima che possa essere regolarizzata l’emigrazione.
Quarto, per ospitare le persone che sono già arrivate e quelle che continueranno ad arrivare, l’Europa dovrà cambiare dall’interno. Invece di proteggere gelosamente i propri privilegi e confini, gli europei dovranno accettare le responsabilità internazionali che accompagnano la loro grande ricchezza e potere. Se il continente deve evitare di cadere in un altro episodio di oscurantismo globalmente significativo, dovrà riaccendere l’ideale di “solidarietà oltre i confini” che, tanto per cominciare, si è sempre ipotizzato fosse al centro del progetto europeo del dopo guerra.
Fortunatamente, la rapida erosione dei confini nazionale va ora di pari passo con la mobilitazione attiva della società europea e dei migranti e rifugiati stessi. Mentre questi sviluppi continuano a convergere, sarà sempre più chiaro che l’Europa è destinata a diventare un continente di grande diversità. Invece che opporsi a questo realtà, gli europei dovrebbero semplicemente abbracciare le realtà del ventunesimo secolo e accogliere i loro nuovi vicini come loro vicini. Le nostre storie possono essere diverse, ma il nostro futuro è comune.

Jérôme Roos è e direttore e fondatore della rivista on line ROAR Magazine. http://roarmag.org/ (ROAR è l’acronimo di Reflections on a revolution – Riflessioni su una rivoluzione, n.d.t.). E’Dottore di ricercain Economia Politica Internazionale all’Istituto Universitario Europeo. Seguitelo suTwitter@JeromeRoos.

Pubblicato su www.znetitaly.org
Originale: teleSUR English
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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