La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 16 ottobre 2015

L’involuzione del Pd, un nodo da sciogliere

di Antonio Floridia
La vit­to­ria di Syriza e l’elezione di Jeremy Cor­byn alla segre­te­ria del Labour Party, pos­sono offrirci alcuni ele­menti di rifles­sione sulla vicenda ita­liana. Siamo infatti di fronte a due sto­rie, per certi versi, agli anti­podi: un par­tito di sini­stra, nato pochi anni fa, che si con­so­lida come forza di governo, da un lato; e dall’altro, un par­tito dalle radici seco­lari che rin­nova radi­cal­mente lea­der­ship e orien­ta­menti poli­tici. E in Ita­lia, ver­rebbe da chie­dersi? Ci sono le con­di­zioni per la nascita di un nuovo par­tito della sini­stra? Oppure, si può con­si­de­rare ancora pos­si­bile un ruolo diverso del Pd?
I par­titi non si inven­tano dal nulla, non sono il frutto volon­ta­ri­stico dell’azione di alcuni impren­di­tori poli­tici: le capa­cità stra­te­gi­che degli “stati mag­giori” sono deci­sive, ma da sole non bastano. I par­titi met­tono radici sulla base di pro­fonde rot­ture nella sto­ria di un paese, o sulla base di frat­ture sociali e cul­tu­rali che espri­mono biso­gni non con­tin­genti di rap­pre­sen­tanza politica.
E’ quanto acca­duto in Gre­cia: una dram­ma­tica crisi eco­no­mica e sociale ha spaz­zato via il vec­chio sistema poli­tico, e Syriza si è saputa imporre come una nuova sini­stra di governo, in grado di inter­pre­tare, prima di tutto, le esi­genze di dignità nazio­nale di un intero paese. In Gran Bre­ta­gna, natu­ral­mente, è tutta un’altra sto­ria: il Labour Party, rimane il luogo fon­da­men­tale della sini­stra bri­tan­nica, e una per­so­na­lità come Cor­byn ha potuto tran­quil­la­mente essere rie­letto nel “suo” col­le­gio della peri­fe­ria lon­di­nese, per decenni. E ha potuto oggi con­qui­stare la lea­der­ship sulla base di pre­cisi orien­ta­menti poli­tici. Merito certo della strut­tura demo­cra­tica interna del Labour Party; ma merito soprat­tutto del fatto che il Labour, comun­que, è un par­tito con una tra­di­zione, una cul­tura poli­tica, una memo­ria sto­rica, rife­ri­menti sociali con­so­li­dati: ci si “sente”, innanzi tutto, “labu­ri­sti”, e lo si era anche quando a diri­gere il par­tito era Blair, per­ché quel par­tito c’era prima di Blair e ci sarebbe stato anche dopo…
Que­sti som­mari cenni ci bastano a per­ce­pire quanto diversa, e molto più com­pli­cata, sia la vicenda ita­liana. Qui posso limi­tarmi ad un’affermazione che avrebbe biso­gno di lun­ghe ana­lisi: nono­stante tutto, per come è fatta la società ita­liana, non siamo in pre­senza di una crisi eco­no­mica e sociale che possa pre­ci­pi­tare in forma dram­ma­tica, tale da costrin­gere ad una ride­fi­ni­zione radi­cale di forze, di inte­ressi, di iden­tità. Ma, se non vi sono que­ste con­di­zioni “siste­mi­che” che pos­sono giu­sti­fi­care la nascita di un nuovo par­tito, ve ne sono però – e molte – di natura poli­tica e culturale.
L’involuzione che sta vivendo il Pd sta creando le pre­messe per un radi­ca­mento non effi­mero di un nuovo par­tito della sini­stra. Il Pd aveva alle spalle l’eredità di due grandi cul­ture poli­ti­che, quella comu­ni­sta e quella cattolico-democratica: è oggi un par­tito senza sto­ria e senza iden­tità, e la respon­sa­bi­lità, natu­ral­mente, non è solo di Renzi. Se a ciò si aggiunge il pro­filo pro­gram­ma­tico delle scelte che il governo di Renzi sta com­piendo, se ne potrebbe trarre la con­clu­sione che non solo vi è “spa­zio” per un nuovo par­tito della sini­stra, ma che que­sto risponda ad un’esigenza sto­rica profonda.
Le dif­fi­coltà, tut­ta­via, comin­ciano a que­sto punto, e non sono poche. Intanto: come inter­pre­tare l’evoluzione del Pd ren­ziano? Sche­ma­tiz­zando, pos­siamo avere due let­ture. La prima: Renzi è un feno­meno “popu­li­sta”; come tutti i popu­li­smi, avrà un suo ciclo: dall’entusiasmo alla delu­sione, al risen­ti­mento. Se si acco­glie que­sta let­tura, ha un senso la posi­zione di chi dice: “a Renzi farebbe comodo se me ne andassi: ma non gliela do vinta, non gli regalo il par­tito, prima o poi Renzi andrà a sbat­tere”. Chi adotta que­sta tesi tende ad aspet­tare che “passi la not­tata”; ma è una posi­zione sem­pre più debole: nel Pd di oggi, per la sua strut­tura lea­de­ri­stica e ple­bi­sci­ta­ria, lo spa­zio per una bat­ta­glia poli­tica interna è sem­pre più resi­duale. La seconda let­tura pos­si­bile: Renzi sta met­tendo in atto una con­sa­pe­vole stra­te­gia di “sta­bi­liz­za­zione neo-centrista” del sistema poli­tico ita­liano. A que­sto dise­gno è del tutto fun­zio­nale che gli unici anta­go­ni­sti siano, da una parte, una destra ege­mo­niz­zata da Sal­vini e, dall’altra, una forza “anti­si­stema” come il M5S. A que­sto dise­gno è altret­tanto fun­zio­nale la riforma elet­to­rale. Ed è del tutto fun­zio­nale anche l’evidente “smo­bi­li­ta­zione” dell’ettorato ber­lu­sco­niano che Ber­lu­sconi non sta facendo nulla per evi­tare. Inte­ressi e forze sociali che sono stati il nucleo del cen­tro­de­stra sen­tono di non avere nulla da temere da Renzi (l’operazione Ver­dini risponde a que­sta logica).
A me sem­bra che la let­tura più con­vin­cente sia la seconda: ma la pro­spet­tiva di un nuovo par­tito della sini­stra, che sap­pia mobi­li­tare la “massa cri­tica” neces­sa­ria, non per que­sto è più sem­plice. Si può, intanto, enun­ciare un assioma: qual­siasi ope­ra­zione poli­tica che sia, o sia per­ce­pita, come l’ennesimo ten­ta­tivo di riag­gre­ga­zione delle forze che tra­di­zio­nal­mente si col­lo­cano a sini­stra del Pd è desti­nato al fal­li­mento. L’elettorato che pro­viene dal Pci e dai Ds (spe­cie in regioni come la Toscana e l’Emilia) è un elet­to­rato pro­fon­da­mente aller­gico ad ogni cul­tura mino­ri­ta­ria: è un elet­to­rato con uno spi­rito pro­fon­da­mente “gover­na­tivo”. Tant’è che pre­fe­ri­sce l’astensione, come acca­duto alle ele­zioni regio­nali, quando vuole espri­mere il suo disa­gio, che il voto ad una pur apprez­za­bile offerta alter­na­tiva. Ed è un elet­to­rato che alle ele­zioni poli­ti­che potrebbe in buona parte tor­nare a votare per il PD. L’idea secondo cui – spo­stan­dosi il PD “al cen­tro” – si apri­reb­bero “pra­te­rie” a sini­stra, è una teo­ria che non funziona.
Vi è poi la que­stione dei tempi con cui avviare un pos­si­bile pro­cesso costi­tuente: non si può pen­sare di risol­vere subito e in par­tenza tutti i pro­blemi che la nascita di un nuovo par­tito reca con sé; il rischio, altri­menti, è che que­sto nuovo sog­getto si trovi subito di fronte ad uno sce­na­rio che ne sof­fo­chi sul nascere le prospettive.
Si imma­gini solo cosa potrebbe acca­dere, già nella pri­ma­vera del 2017, una volta ope­ra­tivo l’Italicum nella sua attuale ver­sione (pre­mio alla lista). L’idea stra­te­gica di Renzi è chiara: porre tutto l’elettorato di sini­stra, al bal­lot­tag­gio, di fronte ad una scelta dav­vero imba­raz­zante: o Lui, o Grillo o Salvini.
Chi crede nelle pos­si­bi­lità di un nuovo par­tito della sini­stra deve cer­care da subito i modi per sfug­gire ad un tale dilemma: e quindi, come si suol dire, occorre “fare poli­tica”, non basta rita­gliarsi uno spa­zio di nobile testi­mo­nianza. Le cose potreb­bero andare diver­sa­mente se, nel frat­tempo, fosse nato un par­tito che abbia la cre­di­bi­lità di rap­pre­sen­tare almeno il 10% dell’elettorato: ma que­sto sarà pos­si­bile se, e solo se, que­sta forza non si rifu­gia nel comodo slo­gan “mai col Pd”. E quindi deve essere una forza che sap­pia rivol­gersi al Pd e al sui elet­to­rato di sini­stra, al grande corpo di mili­tanti e diri­genti che sono “con Renzi”, oggi, solo per­ché con lui, “final­mente, si vince”. Ponendo alcune sem­plici domande: come pensa Renzi di spun­tarla in un pro­ba­bile bal­lot­tag­gio? Con­ti­nuando a sbef­feg­giare la sto­ria e la memo­ria della sini­stra ita­liana? O con­ti­nuando, ad esem­pio, con il suo atteg­gia­mento aper­ta­mente pro­vo­ca­to­rio nei con­fronti della Cgil?
La prova elet­to­rale cui un nuovo par­tito della sini­stra potrebbe essere pre­sto chia­mato a misu­rarsi potrà rive­larsi vin­cente solo se tra­smette il senso di un voto che pesa e incide sugli equi­li­bri poli­tici e pro­gram­ma­tici: il nuovo par­tito non avrà futuro se si pensa, o se viene per­ce­pito, come uno spa­zio resi­duale di resi­stenza (così come, in Gre­cia, non hanno avuto spa­zio quanti hanno con­te­stato Tsi­pras in nome di un’astratta coe­renza ideo­lo­gica). Certo, Renzi potrà mar­ciare sulla sua strada; ma, se ciò accade, non è detto che tutto il Pd lo segua. E allora la frat­tura si potrà rive­lare ancora più pro­fonda, e dagli esiti oggi imprevedibili.

Fonte: il manifesto 

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