La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 16 ottobre 2015

Per lo Yemen un salto indietro di 25 anni

di Chiara Cruciati
A marzo scorso su que­ste pagine ana­li­sti yeme­niti pro­spet­ta­vano con pre­oc­cu­pa­zione la fram­men­ta­zione dello Yemen a seguito dell’intervento sau­dita. Oggi, a 5 mesi di distanza, migliaia di yeme­niti del sud sono scesi per le strade della città costiera di Aden per chie­dere la secessione.
La guerra per pro­cura sca­te­nata da Riyadh con­tro l’Iran ha risve­gliato i movi­menti seces­sio­ni­sti del sud, schie­ra­tisi al fianco della coa­li­zione anti-Houthi e del governo uffi­ciale in auto-esilio all’estero. Ora, dopo aver for­nito il soste­gno neces­sa­rio a ripu­lire Aden dalla pre­senza dei ribelli sciiti, chie­dono la loro parte: la crea­zione di uno Stato a parte. Un salto di 25 anni nel pas­sato, quando di Yemen ce n’erano due.
«Spin­gere i meri­dio­nali nella guerra a nord cemen­te­rebbe l’unità dello Yemen, che noi riget­tiamo», diceva un car­tel­lone ieri in piazza al-Arood, dove la pro­te­sta ha avuto luogo. I gruppi armati meri­dio­nali non inten­dono pro­se­guire il con­flitto con gli Hou­thi, che man­ten­gono più o meno sta­bili le posi­zioni a nord.
Il sud è appe­ti­toso: la zona più ricca di petro­lio dello Yemen, dove a det­tare legge sono le tribù più che lo Stato, è oggi preda anche di al Qaeda nella Peni­sola Ara­bica. Come i seces­sio­ni­sti, ha com­bat­tuto indi­ret­ta­mente al fianco del governo in esi­lio, dispie­gando suoi uomini per le strade di Aden a luglio, durante la ripresa della città. E dopo aver assunto il con­trollo della sto­rica pro­vin­cia di Hadra­maut e aver creato una sua ammi­ni­stra­zione locale in comune con i poteri tri­bali, ha ampliato la sua pre­senza: mer­co­ledì i qae­di­sti hanno occu­pato gli uffici gover­na­tivi a Zin­ji­bar, capo­luogo della pro­vin­cia di Abyan, con­fi­nante con Aden.
Cin­que mesi di bom­bar­da­menti a tap­peto, mas­sa­cri (4.900 vit­time, di cui oltre la metà civili), distru­zione del patri­mo­nio del paese e delle sue infra­strut­ture non hanno garan­tito all’Arabia sau­dita la vit­to­ria. La guerra non fini­sce, nono­stante gli sforzi – troppo deboli – delle Nazioni Unite: ieri il vice segre­ta­rio gene­rale Onu, Jan Elias­son, ha par­lato di un nuovo nego­ziato alla fine di otto­bre e chie­sto ad entrambe le parti – governo e movi­mento Hou­thi – di pren­dervi parte.
Sforzi deboli per­ché inu­tili: una set­ti­mana fa la lea­der­ship Hou­thi, dopo aver perso il con­trollo di 5 pro­vince meri­dio­nali, si era detta pronta a nego­ziare e ad accet­tare la riso­lu­zione 2216 del Con­si­glio di Sicu­rezza Onu, ovvero il ritiro dalle zone occu­pate dal set­tem­bre 2014 e l’abbandono delle armi. Gli Hou­thi vole­vano di fatto arren­dersi: la riso­lu­zione 2216, mai accet­tata prima dal movi­mento ribelle, è sem­pre stata posta come pre­con­di­zione al dia­logo dal pre­si­dente Hadi, messo sulla pol­trona dall’Arabia Sau­dita per sof­fo­care le pro­te­ste di piazza del 2011.
Alla resa degli Hou­thi, Hadi ha però rispo­sto con un “no, gra­zie”, giu­sti­fi­can­dosi con una non spe­ci­fi­cata sfi­du­cia nelle pro­messe dei ribelli. L’ennesima umi­li­ziane per l’Onu, alea­to­rio spon­sor di un dia­logo che il governo non vuole per­ché non lo vogliono i sau­diti. Riyadh non intende trat­tare con i ribelli (la cui pro­te­sta nac­que un anno fa dalla richie­sta di mag­giore inclu­sione poli­tica) per­ché ciò signi­fi­che­rebbe la nascita di un governo di unità nazio­nale o di un ese­cu­tivo che al suo interno com­prenda anche una signi­fi­ca­tiva rap­pre­sen­tanza sciita.
E il timore di re Sal­man è quello di per­dere il totale con­trollo dello Yemen, doverlo “spar­tire” con il nemico Iran, dover con­di­vi­dere lo stra­te­gico stretto di Bab al-Mandeb, bocca verso Suez e quindi verso il mer­cato euro­peo a cui un Iran ria­bi­li­tato dall’accordo sul nucleare ora sta puntando.

Fonte: il manifesto 

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