La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 16 ottobre 2015

La scuola e la missione docente

di Fausto Curi
Nelle fervide discussioni che negli scorsi mesi e ancora oggi hanno riguardato e riguardano la nuova Scuola sono stati toccati le questioni e i temi più diversi, ma mi sembra che si sia trascurato o si sia appena sfiorato il tema della preparazione degli insegnanti. E’ certo un tema fondamentale, ma sembra interessare solo secondariamente coloro che dedicano la loro attenzione alla Scuola. Il cosiddetto “posto fisso”, l’ingresso nei ruoli, l’assegnazione della sede, sono certamente argomenti importanti, ma chi sono coloro che chiamiamo “insegnanti”? Quale è la loro funzione sociale, qual è il loro compito? La risposta apparentemente è agevole: gli insegnanti sono coloro che nella società moderna hanno il compito di trasmettere il sapere alle giovani generazioni. Bene. Ma che cos’è il sapere, e come si trasmette?
Rispondere a queste due domande implica delle difficoltà, che lo Stato crede di risolvere fissando dei programmi, diversi secondo i diversi ordini e gradi dell’insegnamento, ma uguali per tutto il territorio nazionale. Quanto ai modi, basterà seguire e applicare i programmi appositamente preparati dal Ministero della Pubblica Istruzione. Chiunque si rende conto che se le cose fossero così banali e così semplici avremmo degli insegnanti molti mediocri. Cerchiamo quindi di vedere le cose nelle reali difficoltà che esse presentano. Una laurea conseguita e un esame di concorso superato sono sufficienti a fare un buon insegnante? In certi casi sì, in certi casi no. Se il giovane che ha conseguito la laurea ha studiato con bravi professori, ha seguito con attenzione le loro lezioni e magari si è impegnato anche nell’ottenere un dottorato; se questo giovane si è preparato scrupolosamente a superare la prova di concorso, avremo certamente un bravo insegnante. Il segreto è continuare a studiare, tenersi al corrente, aggiornare costantemente la propria preparazione. Il sapere non è un oggetto che si dà una volta per sempre, è qualcosa che muta e cresce continuamente in modo non lineare, con interruzioni, deviazioni, arresti, riprese, sviluppi improvvisi, rovesciamenti, nuove recenti scoperte e acquisizioni. Un professore di Scienze o di Fisica in un liceo scientifico deve sapere preparare una buona lezione sul genoma e su tutto ciò che riguarda il genoma, o una lezione sul Bosone di Higgins. Un professore di Italiano in un liceo classico o in un istituto industriale ha il dovere di rendersi conto che il Petrarca o il Pascoli che propone ai propri studenti non sono più quelli che ha studiato all’Università, poco o molto sono cambiati perché nuovi studi ne hanno approfondito e in parte mutato la conoscenza. Certo l’aggiornamento non implica sempre trasformazioni continue, profonde e spiazzanti, ma vieta all’insegnante di adagiarsi nella comoda illusione di sapere tutto ciò che occorre sapere per essere un buon insegnante senza più avere aperto un libro. E invece sembrano essere molti, toppi, soprattutto se non sono più giovani, coloro che si cullano in questa illusione. Se il giovane laureato, soprattutto quando ha frequentato l’Università svogliatamente, e ha, come si suole dire, strappato faticosamente la laurea, non aggiorna costantemente la propria preparazione, avremo un insegnante mediocre, quando non pessimo, che meriterebbe di restare precario a vita, o meglio avrebbe dovuto scegliere un altro mestiere. Il punto è che sono ancora troppi, in Italia, coloro che scelgono per mestiere la Scuola, senza interesse, senza alcuna vocazione, perché, tutto sommato, essere precari anche per molti anni è sempre meglio che essere disoccupati e una volta che ti sei sistemato hai una vita modesta ma tranquilla, con uno stipendio modesto ma sicuro, senza rischi di licenziamenti improvvisi e immotivati. A sinistra la questione è stata posta fin dai tempi del Partito comunista italiano. Affrontare con rigorosa severità la questione della formazione degli insegnanti vuol dire aiutare particolarmente gli studenti figli di genitori proletari, che, fuori della scuola, hanno minori possibilità e occasioni di accrescere la loro cultura rispetto ai figli di genitori borghesi. Affrontare con rigorosa severità la questione della formazione degli insegnanti vuol dire impedire che giungano alla laurea e all’insegnamento persone non sufficientemente motivate e prive della necessaria cultura. Ma vuol dire anche, per lo Stato, l’obbligo di istituire regolari corsi di aggiornamento e, per gli inseganti, l’obbligo di seguire con impegno tali corsi. La Scuola è cultura, deve essere cultura, e non lo è abbastanza, per non dire che, con alcune eccezioni, non lo è affatto. E se la responsabilità di ciò è in parte dello Stato, bisogna avere il coraggio di riconoscere che, in parte, è anche di certi insegnanti.
Non vorrei aver dato l’impressione di pensare che l’insegnante sia una sorta di recipiente che occorre riempire di contenuti vecchi e nuovi. Quando il recipiente fosse pieno, tutto funzionerebbe a meraviglia, senza che l’insegnante dovesse impegnarsi in ulteriori sforzi. Al contrario, sono convinto che la Scuola sia per eccellenza il luogo in cui si manifestano le singole personalità e le singole intelligenze. Più dinamica e vigorosa è questa manifestazione, più e meglio funziona la trasmissione del sapere. Non occorre sperare, anche se è bello e utile sperarlo, che fra docente e discenti nasca un vero e proprio dialogo. Ciò che ora ci importa chiarire è che l’aggiornamento, e quindi l’insegnamento, funziona solo se l’insegnante lo personalizza al massimo. Se quella nuova proposta interpretativa riguardante Leopardi, o Ungaretti, se quella nuova ipotesi sul Big Bang o sulla fine dei dinosauri non mi persuade anche dopo che l’ho meditata a lungo e discussa con me stesso, io ho il dovere di comunicarla ai discenti ma ho anche il dovere e il diritto di far loro sapere che essa non mi persuade e di dire loro quali sono le ragioni per le quali non mi persuade. Tanto meglio se ne nasceranno discussioni e punti di vista diversi. La Scuola è il luogo del dialogo ma è prima di tutto il luogo della soggettività – della soggettività di tutti, sia ben chiaro -, che va sempre rispettata e tutelata.
Che la Scuola sia il luogo della soggettività ha mostrato con un’indagine acuta e persuasiva, che ha soprattutto il pregio dell’originalità, Massimo Recalcati, che ormai molti ben conoscono. Recalcati è uno psicoanalista seguace di Jacques Lacan e ha pubblicato di recente presso Einaudi un libro intitolato L’0ra di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento. Il sottotitolo non deve trarre in inganno o spaventare. L’eros di cui parla Recalcati e che è il protagonista della sua ricerca non è la pulsione sessuale, è quell’insieme di pulsioni che nella sua seconda teoria Freud chiama “pulsioni di vita”, le quali sospingono all’unione, al congiungimento, non solo a conservare la vita ma anche ad ampliarla, ad aumentarla, ad accrescerla. La lezione, sostiene Recalcati, è e deve rinanere fondamentale nella Scuola. Ma affinché la lezione generi un’autentica trasmissione del sapere è necessario che l’insegnante sappia trasformare gli argomenti di cui parla in “oggetti erotici”, cioè sia capace di suscitare nel discente un vivo desiderio di impossessarsi a sua volta di quegli oggetti, di farli suoi. E, sia chiaro, qualunque argomento può e deve essere mutato in oggetto erotico, si tratti di un sonetto del Petrarca o di un problema di trigonometria, di una questione filosofica o di una lezione sullo Stretto di Suez. A pensarci bene, ci si rende conto che una questione psicologico-culturale è al tempo stesso una questione estetica: che altro sono i capolavori dell’arte se non creazioni di oggetti erotici, sia che abbiamo di fronte a noi un quadro di Manet, sia che ascoltiamo un quartetto di Beethoven, sia che leggiamo una poesia di Baudelaire? Non è un caso infatti che Recalcati abbia pubblicato nel 2007 un volume dal titolo Il miracolo della forma. Per un’estetica psicoanalitica. Lo stesso Recalcati in L’ora di lezione manifesta la sua gratitudine per i maestri che ha avuto la fortuna di avere dalla scuola elementare all’Università. Molti di noi insegnanti credo abbiano fatto esperienze analoghe a quelle di Recalcati. Anzi, conviene segnalare che egli è stato il primo e l’unico che abbia ricavato una teoria solida, persuasiva e soprattutto originale da esperienze che sono in molti ad aver fatto, anche se solo a lui spetta il merito di aver elevato a teoria quelle esperienze. Molti fra noi hanno avuto la fortuna di avere buoni maestri, ma quanti sono riusciti a comprendere chiaramente che alla base delle buone lezioni ricevute era un meccanismo psicologico? Edoardo Sanguineti, oltre che un poeta di ammirevole originalità, era un ottimo conoscitore di Freud, di Jung, di Groddeck. Si spiega così che, molti anni or sono, durante una conversazione partita casualmente dall’avventura scolastica di un amico comune, Sanguineti, pur usando termini diversi, meno professionali di quelli adoperati oggi da Recalcati, abbia chiarito a me e ad alcuni altri che il rapporto fra l’insegnante e l’alunno è prevalentemente erotico. Aggiungendo che tale tipo di rapporto può istituirsi a volte anche in situazioni diverse da quella scolastica, per esempio nella situazione che vede uno di fronte all’altro, o uno di fianco all’altro, il soldato e il suo comandante, il credente e il suo sacerdote.
Non spettava a Recalcati, né spetterebbe all’estensore di questo articolo, trarre conclusioni di ordine pratico dalla lettura di L’ora di lezione, che è comunque un libro che va vivamente consigliato a maestri, professori, pedagogisti e, insomma, a tutti coloro che abbiano a cuore la Scuola di ogni ordine e grado. Nel suo ottimismo Recalcati sembra ignorare, ma in realtà non ignora affatto, che, di fronte a non pochi insegnanti bravi, a volte bravissimi, molti insegnanti sono costituzionalmente incapaci, inidonei a fare dell’ora di lezione un’esperienza formativa autentica, fondamentale. Saper trasformare un argomento in un oggetto erotico è un fatto che, avendo una radice psichica, è assai più naturale che culturale. Insegnanti si nasce, non si diventa. Che fare allora? Un’ipotesi operativa: si dovrebbe non solo inserire negli esami di abilitazione e di concorso la prova di una lezione, ma assegnare a questa prova un punteggio determinante in senso positivo o in senso negativo. L’ora di lezione deve diventare discriminante. E non occorrerebbe neppure avere uno psicoanalista nella commissione esaminatrice. Basterebbe che di questa commissione facessero parte insegnanti veramente esperti, veramente capaci di percepire, cioè, quando esistano, le capacità erotizzanti del candidato.

Fonte: Scenari Mimesis

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