La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 16 ottobre 2015

La fiera del liberismo alla Sapienza

Da qualche giorno la città universitaria si è trasformata in un cantiere a cielo aperto: lavori in corso, ditte di montaggio, ponteggi e assemblaggi di tensostrutture. Chi vive quotidianamente la Sapienza potrebbe anche non accorgersi della differenza tra la normalità e lo stato di eccezione imposto dalla fiera dell’innovazione tecnologica chiamata Maker faire. In realtà però proprio chi l’università la frequenta per studio o lavoro da ieri è stato lasciato forzatamente a casa. Aule chiuse e lezioni sospese, lavoratori in ferie obbligate, studenti a spasso, tanto siamo a ottobre mica a luglio dove è invece obbligatorio presenziare il (fu) pratone cercando di rimorchiare facendo la spola colVillage. Da ieri e fino a domenica l’università è di proprietà di Intel, Eni, Microsoft e Bnl. Per chi vuole accedere all’ateneo c’è la possibilità di comprare in prevendita un comodo biglietto da quattro euro, mentre se non sei studente o lavoratore della Sapienza, di soli dieci euro. Un vero affare.
Nel Novecento, secolo quanto mai oscuro da cui finalmente ci siamo liberatati provando quotidianamente la brezza del socialismo libertario antispecista, le imprese private, ancor più se multinazionali, in genere pagavano per pubblicizzarsi. Oggi, finalmente, sono i clienti che pagano per poter usufruire della pubblicità delle principali multinazionali del campo tecnologico-finanziario. E così per farsi raccontare quanto l’Eni sia decisiva per l’ambiente o la Bnl importante per la salvaguardia dei piccoli risparmiatori, oggi possiamo pagare un biglietto. Per di più, grazie ad un lavorio ideologico che in confronto Le vite degli altri era un film filocomunista, la massa informe di studenti “stevejobbizzati” sono andati completamente in estasi per l’opportunità offerta da Tim, Dws e Unidata. Visto mai che l’autosfruttamento parossistico venga notato dal Ceo di Google pronto ad offrire un assegno in bianco per la start up del futuro.
Eppure l’ateneo pullula di ricercatori sottopagati, il più delle volte non pagati e basta, culmine di una società di laureati disoccupati. Niente da fare, per loro non c’è spazio, anzi se vogliono guardare ciò che accade nella loro università devono pagare un biglietto e mettersi in fila. Non è “l’università” o “gli studenti” che incontrano “le imprese”, ma un coacervo di multinazionali finanziarie che occupano uno spazio pubblico tramite la narrazione vincente dell’opportunità da cogliere per elevarsi dalla massa di sfigati sottoccupati. “Sfigati” che appunto non aspettano altro che donare le proprie competenze in un gioco ad altissima profittabilità per le imprese e a zero rischi, perché non c’è alcun investimento ma solo autopromozione individuale.
Che l’università venga privatizzata da un gruppo di banche e multinazionali della finanza tecnologica, è insomma il segno dei tempi. Non tutti gli studenti però sono uguali. Qualcuno già oggi si mobiliterà contro questa fiera del liberismo. Di seguito riportiamo il comunicato degli studenti che si oppongono alla privatizzazione del più grande ateneo pubblico d’Europa. Da leggere, per capire la differenza che passa tra l’essere uno sfigato come tanti in cerca di visibilità e di successo personale, e chi invece propone ragionamenti collettivi.
Come studenti e studentesse dell’università La Sapienza, poche settimane fa abbiamo dato vita alla campagna “Maker Faire. Per chi?”. Una campagna esplosa fin da quando i viali della città universitaria hanno iniziato ad essere occupati dai primi scheletri di tendoni e padiglioni.
Ciò che ci ha spinto nel mettere in campo questa iniziativa di mobilitazione, è stata la volontà di criticare l’uso privatistico fatto degli spazi universitari, appaltati e affittati come fossero la Fiera di Roma, senza minimamente tenere in considerazione le esigenze di chi vive l’università tutti i giorni: gli studenti (privati della possibilità di seguire le lezioni o di usufruire delle biblioteche), i ricercatori (costretti a sospendere le attività) o i lavoratori (ai quali sono state imposte ferie forzate). Nessuno è stato coinvolto. A tutti viene chiesto un biglietto a pagamento per entrare.
La Maker Faire veniva presentata come una grande opportunità di incontro tra la Sapienza e la città, ma le componenti dell’università sono state ignorate se non addirittura danneggiate nella gestione di un evento che si è rivelato quindi per quello che è: una mera operazione di marketing in favore della governance universitaria, dai contorni economici poco chiari, imposta ad un ateneo definanziato da rettori vecchi e nuovi alla ricerca di sponsor.
Sulla base di questi ragionamenti, abbiamo organizzato dibattiti e assemblee pubbliche negli spazi dell’università.
Ma i tentativi di un confronto con una governance sempre più distante dai bisogni degli studenti e delle studentesse, non hanno prodotto nulla. Se un primo incontro con il prorettore alla ricerca Valente faceva sperare almeno in un’accoglienza positiva delle nostre rivendicazioni minime (l’ingresso gratuito per gli studenti e per le studentesse, la possibilità di ricavare dentro la fiera uno spazio autogestito in cui esporre la nostra idea di innovazione, trasparenza nella gestione degli introiti), alla fine il rettorato si è rifiutato di incontrarci, limitandosi a concedere uno sconto di due euro per gli studenti nella giornata di venerdì e a comunicare che i fondi raccolti saranno destinati all’istituzione di borse di studio d’eccellenza, a un diritto allo studio per pochi, come sempre. Hanno minimizzato le problematiche da noi sollevate, riducendole a una questione su pochi spiccioli. Quando il dito indica la luna…
Non siamo contro i makers. Non siamo contro chi vede questo evento come una possibilità. Vogliamo prendere parola e trovare un confronto sul tema dell’innovazione, della ricerca, della condivisione dei saperi e dei rapporti tra questi e i profitti di grandi aziende come quelle che sponsorizzano la Maker Faire e che non troviamo giusto abbiano una vetrina all’interno di un’università pubblica. A cose fatte, vogliamo quantomeno dire la nostra, perché pensiamo che l’università possa e debba essere un luogo di dibattito nel quale produrre uno sguardo critico sul mondo che ci circonda.
Qualcuno non sembra pensarla come noi e vorrebbe impedircelo.
Per questo ci troviamo a rivendicare l’ingresso libero nella nostra università, a riappropriarci dei suoi spazi e a ribadire che se questo maker faire è stato fatto alla Sapienza per qualcuno, quel qualcuno non siamo di certo noi.
Maker Faire Per Chi?

Fonte: militant blog

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