La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 16 ottobre 2015

Strategia di potere

di Alfonso Gianni 
Con la legge di sta­bi­lità, il governo Renzi vuole varare un’operazione ambi­ziosa. Non sot­to­va­lu­tia­mola. Da un lato si tratta di una legge dal chiaro sapore elet­to­rale. Una lunga cam­pa­gna elet­to­rale, la cui prima tappa è costi­tuita dalle ammi­ni­stra­tive della pros­sima pri­ma­vera in quasi tutte le città più impor­tanti del paese. Vere e pro­prie mid­term elec­tions in salsa ita­liana. Appun­ta­mento dagli esiti non scon­tati per Renzi, visti i poco sod­di­sfa­centi risul­tati in pre­ce­denti ele­zioni locali. A dimo­stra­zione che la distru­zione dei corpi inter­medi, asse stra­te­gico dell’azione ren­ziana, che comin­cia dalla liqui­da­zione del suo stesso par­tito, ha degli effetti col­la­te­rali inde­si­de­rati, quali la man­canza di una classe diri­gente dif­fusa e fedele.
Dall’altro lato la mano­vra eco­no­mica va al di là del puro ritorno elet­to­rale. Vuole con­so­li­dare un blocco di potere arti­co­lato e allo stesso tempo coeso, di cui il Pd deve essere l’unico rap­pre­sen­tante poli­tico, anzi il domi­nus. Nello stesso tempo per Renzi è neces­sa­rio aggi­rare i paletti posti da Bru­xel­les. I cen­sori euro­pei hanno già mostrato i denti a Rajoy. E’ da vedere quindi quale bene­vo­lenza otterrà Renzi dai pro­pri padroni e sodali, visto che il suo governo ambi­sce ad essere niente altro che un’articolazione del sistema di potere delle elite eco­no­mi­che e poli­ti­che europee.
Da qui la cen­tra­lità della cosid­detta riforma fiscale, defi­nita con la con­sueta mode­stia una «rivo­lu­zione coper­ni­cana». A quanto rife­ri­sce la stessa Repub­blica, non certo un organo anti­go­ver­na­tivo, i pro­prie­tari di 75mila case di lusso e palazzi, ne trar­ranno ampi bene­fici, almeno 2800 euro in media a testa. Non importa se a farne le spese sarà la Sanità o altri isti­tuti dello stato sociale. Un tempo misura della nostra civiltà. Diceva il grande Petro­lini: quando biso­gna pren­dere i soldi li si cavano ai poveri, ne hanno pochi ma sono tanti. Quindi, se si fa il con­tra­rio, ovvero si con­ce­dono gene­rosi sgravi fiscali, meglio farlo con i ric­chi, per­ché sono meno e hanno più potere.
Per que­sto la più grande “riforma fiscale di tutti i tempi”, secondo un’altra sobria defi­ni­zione del suo autore, va oltre al copia e incolla di quella ber­lu­sco­niana. Il vec­chio lea­der di Arcore almeno ci met­teva un po’ di popu­li­smo e par­lava di una seconda fase dedi­cata a l’alleggerimento della pres­sione fiscale sulle per­sone fisi­che. Invece Renzi pre­vede che il secondo step deve riguar­dare le aziende, cioè l’Irap e l’Ires. Il resto viene dopo, se viene. E Squinzi, dopo qual­che incom­pren­sione, si riac­cende di amore verso il governo. Con­for­tato anche dai pro­po­siti del lea­der di Rignano di inter­ve­nire di auto­rità sullo svuo­ta­mento della rap­pre­sen­tanza sin­da­cale e sulla liqui­da­zione del con­tratto col­let­tivo nazio­nale, usando come piede di porco l’innocente sala­rio minimo ora­rio legale, ancora da definire.
Qui si scende negli inferi del dia­bo­lico. Il taglio dell’Ires ver­rebbe con­di­zio­nato al via libera della Ue sulla fles­si­bi­lità per i costi dell’ondata migra­to­ria. Ovvero i migranti e i pro­fu­ghi, quelli che soprav­vi­vono alla guerra per terra e per mare in atto con­tro di loro, ver­reb­bero usati come merce di scam­bio per ridurre le impo­ste sul red­dito d’impresa. Ma un occhio di riguardo biso­gna pur tenerlo anche per gli eva­sori fiscali: non pagano le tasse, ma votano come gli altri. Ecco quindi sbu­care l’innalzamento della quota di con­tante da mille a tre­mila euro per ogni sin­golo paga­mento, in modo da ren­derne impos­si­bile la tracciabilità.
Renzi vuole durare. Per farlo, dopo la distru­zione siste­ma­tica dei corpi inter­medi della società civile, deve dare vita a un nuovo blocco di potere con col­lanti tenaci. Vuole e deve risol­vere la dico­to­mia di cui par­lava Niklas Luh­mann, su cui forse gio­ve­rebbe tor­nare a riflet­tere per capire le derive del pre­sente. Quella tra potere e com­ples­sità sociale. La seconda viene com­pressa e stroz­zata dalle con­tro­ri­forme costi­tu­zio­nali, isti­tu­zio­nali e elet­to­rali in atto (che spe­riamo di potere sman­tel­lare con gli oppor­tuni refe­ren­dum). Il primo va al di là di quel «mezzo di comu­ni­ca­zione», di quel «sot­to­si­stema» auto­no­miz­zato di cui par­lava Luh­mann nella sua pole­mica con Haber­mas. In quanto arti­co­la­zione di un potere supe­riore, quello espresso dagli organi a-democratici della Ue, diventa stru­mento di disar­ti­co­la­zione di ogni poten­ziale schie­ra­mento sociale anta­go­ni­sta e con­tem­po­ra­nea­mente di inclusione/corruzione di strati e set­tori sociali utili a pun­tel­lare un sistema che non sop­porta la dua­lità sociale attiva. Cioè il conflitto.

Fonte: il manifesto 

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