La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 16 ottobre 2015

Roma dopo Marino. Che fare: due interventi

di Fabio Marcelli
Alla fine Ignazio Marino ha dovuto gettare la spugna, vittima di se stesso ma soprattutto del Pd romano e nazionale e di Matteo Renzi, che avevano visto con ostilità e diffidenza l’avvento del “marziano”, eletto da primarie che avevano registrato la netta sconfitta dei candidati “ortodossi” al Campidoglio.
Persona indubbiamente onesta, ma con una prospettiva politica limitata, Marino, pur avendo fatto qualcosa di buono, come la liquidazione della discarica di Malagrotta o lapedonalizzazione dei Fori imperiali, non ha saputo costruire un rapporto effettivo con la città, anzi si è reso quantomeno complice dei numerosi sgomberi che hanno colpito esperienze importanti come l’ex cinema America, il Teatro Valle occupato, l’Angelo Mai e altri.
Sul piano della gestione, Marino ha adottato una prospettiva sostanzialmente neoliberista, subendo senza fiatare i tagli imposti dal governo e procedendo alle privatizzazioni richieste dallo stesso.
Il governo urbano si dimostra, più in generale, uno snodo di particolare difficoltà. I sindaci stanno lì per subire le sacrosante proteste dei cittadini, venendo resi capri espiatori di scelte adottate a ben più alto livello. E’ possibile, in prospettiva, un sindaco che non sia solo il parafulmine e lo specchietto per allodole di responsabilità ben più elevate? L’esperienza di De Magistris a Napoli, con un tasso di consapevolezza politica molto maggiore di quella dimostrata da Marino e una totale indipendenza da qualsiasi partito, mostra che è possibile. E stanno a testimoniarlo le posizioni avanzate e coraggiose adottate da De Magistris, dalla “derenzizzazione” all’opposizione alle manovre militari della Nato. Marino non si è neanche sognato di salire a questo livello complessivo della lotta politica, ponendosi come rappresentante della cittadinanza su tutti i temi che la riguardano e ha anzi finito per subire tutte le scelte del Pd, finendo, di cedimento in cedimento, per diventarne la vittima sacrificale.
E ora? Va detto innanzitutto che, contro ogni tentativo di rinvio, vanno tenute in primavera le prossime elezioni comunali. Tali elezioni potrebbero costituire un momento di verifica e di crescita in vari sensi. Innanzitutto per ilMovimento Cinque Stelle che, secondo i sondaggi, risulta favorito. Riuscirà tale Movimento a governare efficacemente Roma, spazzando via lobbies e clientele di ogni sorta e instaurando livelli soddisfacenti di partecipazione popolare? Il punto interrogativo è molto grande, ma si tratterà di esperienza utile anche per chiarire una serie di ambiguità che tuttora risultano intrinseche alla direzione politica del Movimento. Potrebbe riuscirci se imprimesse uno slancio ulteriore alla prospettiva partecipativa che pure in qualche modo è nel suo Dna, entrando in un rapporto costruttivo e proficuo con la miriade di comitati e organizzazioni sociali che esistono a Roma. Sicuramente si tratterà di un passaggio importante e se la verifica dovesse concludersi positivamente si potrebbero aprire entusiasmanti prospettive anche sul piano nazionale.
Quella delle elezioni costituirà anche una verifica anche per lasinistra. Occorre a tale fine tagliare di netto ogni rapporto con un partito, come il Pd, che di sinistra, se lo è mai stato, non è più in nessuna misura perlomeno dall’affermazione di Renzi. Questo imperativo vale in particolare per Sel, che deve decidere in questo senso, sconfiggendo la sua ala governista o poltronista. E’ infatti certo che la fine di Marino archivia definitivamente ogni ipotesi di centrosinistra a livello sia nazionale che locale. Occorre invece iniziare un serrato dialogo con il M5Stelle per definire punti importanti di programma comune.
E’ però all’insieme di associazioni e comitati operanti su scala cittadina e di quartiere che spetta ora il compito ineludibile ditracciare un programma di governo con il quale tutte le forze politiche siano chiamate a confrontarsi. Roma potrà superare il suo attuale difficile momento e rinascere solo in tale prospettiva partecipativa dal basso, che valorizzi tutte le energie frustrate dal malgoverno e dalla corruzione, fenomeni negativi e deleteri che hanno imperato finora, finendo per travolgere anche l’onesto Marino.

Fonte: Il Fatto Quotidiano 
Gli errori del sindaco Marino e il cambiamento necessario
di Giulia Rodano

La vicenda del sindaco Marino, la sua parabola, da uomo nuovo e del rinnovamento del centrosinistra a vittima dei giochi di potere del Partito democratico, da speranza a capro espiatorio, rappresenta la plastica manifestazione del ritmo rapidissimo e drammatico che Renzi ha imposto alla involuzione del centrosinistra italiano, già profondamente segnato dalla sua incapacità di opporsi efficacemente alle ricette liberiste.
Marino, penso sia ormai evidente, è vittima, non tanto del Pd e dei suoi giochi e neppure dei poteri forti, che la sua giunta non ha sostanzialmente combattuto, ma dell’infrangersi della illusione, tipica di una parte del centrosinistra italiano, che fosse sufficiente cambiare il personale politico e la gestione del potere per attenuare le durezze delle scelte liberiste.
La sua vicenda è anzi, paradossalmente, la dimostrazione che, proprio all’interno alle scelte e alle ideologie liberiste, non sono possibili né cambiamento e neppure legalità.
Roma è stata, ed è tutt’ora, il terreno della sperimentazione più larga e completa dell’assunto che causa dello spreco, dell’arretratezza e del malaffare sarebbero l’intervento pubblico, la gestione pubblica e, in generale, la pubblica amministrazione, i suoi dirigenti, infeudati e infedeli, i suoi dipendenti, fannulloni e assenteisti,, oltre naturalmente i politici, clientelari e corrotti.
Sulla base di questo assunto, in parte naturalmente giustificato dai limiti intrinseci e diffusi ovunque dell’azione della pubblica amministrazione, per decenni si è confusa, consapevolmente e addirittura ideologicamente, la privatizzazione dei servizi pubblici, la precarizzazione del lavoro pubblico, la cessione continua di sovranità delle istituzioni e dei governi locali, con la lotta agli sprechi, alle ruberie e all’inefficienza.
I tagli, imposti da folli politiche di bilancio, vengono fatti passare come “lotta agli sprechi”, le privatizzazioni selvagge e immotivate come liberalizzazioni necessarie all’efficienza e alla produttività, i blocchi delle assunzioni pubbliche come rigorose cure dimagranti di amministrazioni ipertrofiche e inutili.
Dopo anni di queste scelte di “razionalizzazione e liberalizzazione” ci troviamo di fronte a decine e decine di società che gestiscono “privatisticamente” in modo incontrollato e incontrollabile, pezzi della amministrazione pubblica, il sistema degli appalti per la gestione dei più diversi servizi è diventato, grazie alle politiche di emergenza e alla gare al massimo ribasso fonte di penetrazione di sistemi corruttivi e mafiosi, le scelte urbanistiche i lavori pubblici possono essere fatti, per mancanza di risorse e forse ormai anche di capacità,solo se contrattate con i grandi padroni della rendita fondiaria e delle costruzioni della città.
Intanto la macchina pubblica non può, non ha più le risorse umane e finanziarie per far vivere la città. I trasporti vengono tagliati e privatizzati, la manutenzione non si fa più, i servizi peggiorano giorno dopo giorno, i luoghi della cultura chiudono, il traffico privato impazzisce.
E’ qui che ha fallito Marino. Anche lui ha pensato che legalità facesse rima con tagli e privatizzazioni, ha messo la sua fama di uomo onesto al servizio delle stesse politiche che avevano costruito l’illegalità.
Perché ha accettato l’idea che i migranti di Torsapienza ledessero la legalità dei residenti e andassero spostati e allontanati, perché ha pensato che il salario aggiuntivo di dipendenti comunali che guadagnano poco più di 1000 euro al mese rappresentasse un privilegio insopportabile, perché ha pensato che legalità fosse sgomberare i centri occupati, sostituendo, come al Teatro Valle, la chiusura e il silenzio alla presunta illegalità della cultura gestita come un bene comune, perché ha pensato che tagliare le risorse al sociale e alla cultura fosse riportare alla “legalità finanziaria” l’amministrazione comunale.
E nello stesso tempo ha pensato che il nuovo stadio della Roma, con il suo corredo di cubature commerciali, fosse un esempio di pianificazione urbanistica o le Olimpiadi una occasione di sviluppo per una città che di tutto ha bisogno, tranne che di grandi opere e di cattedrali nel deserto.
Così la presunta lotta al PD e alla “politica” non ha avuto nessun appoggio e Marino è rimasto solo.
Per questo bisogna cambiare a Roma, non solo gli uomini o le donne, ma le politiche, le scelte. Perché ci vuole un comune orgoglioso del proprio compito, che si riappropri delle proprie funzioni, che riporti dentro l’amministrazione i compiti di gestione, che cacci via i profittatori e i mercanti che hanno lucrato sulla povertà e sulla debolezza pubblica. 
Marino non lo ha fatto, non poteva e non voleva farlo. Quella stagione è finita. Bisogna aprirne una nuova.

Fonte: Listatsipras.eu

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