La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 9 novembre 2015

Il mosaico della sinistra. Cinque tesi sulla cosa rossa

di Alessandro Somma 
Gli anni Ottanta del secolo scorso chiusero definitivamente l’epoca in cui il capitalismo europeo fu compatibile con una discreta redistribuzione della ricchezza, alla base della sua compatibilità con la democrazia. In quegli anni Helmut Kohl e Margaret Thatcher avviarono la dismissione del compromesso keynesiano, incamminandosi lungo il percorso verso la riduzione dell’inclusione sociale a inclusione nel mercato. Un percorso che non venne più messo in discussione, neppure quando la sinistra storica tornò al potere tra gli anni Novanta e il principio del nuovo Millennio. 
Fu questo il senso della cosiddetta terza via teorizzata da Tony Blair e Gerhard Schröder, i quali volevano affidare alla politica il compito di completare, ma non anche ostacolare, quanto venne celebrata come la “forza direttiva dei mercati”.
Si poteva così abbandonare la distinzione oramai antica tra progressisti e conservatori e sostituirla con quella tra amici e nemici della modernizzazione[1]
Nei Paesi in cui si è affermata, la sinistra modernizzatrice ha finito per segnare il suo inesorabile declino. Sconfitto nel 2005 da Angela Merkel, Schröder condannò i Socialdemocratici tedeschi all’opposizione o, in alternativa, a governare assieme ai Cristianodemocratici, oltre che a subire perdite mai più colmate: se sul finire degli anni Novanta superavano il 40% dei consensi, riscuotono ora il favore di un elettore su quattro. Non è andata meglio nel Regno Unito, dove i Laburisti sono all’opposizione dalla fine dell’Era Blair, e dove le speranze di una loro resurrezione sono ora affidate a Jeremy Corbyn: il nemico storico dell’inventore della terza via. 
In altri Paesi la sinistra storica appare in ritardo nella sua marcia verso l’adesione al neoliberalismo. E’ il caso dell’Italia, i cui eredi del Partito comunista scoprirono le virtù benefiche della concorrenza e del mercato al più tardi con le mitiche lenzuolate dell’allora Ministro Pierluigi Bersani. Virtù oltremodo esaltate dall’attuale inquilino di Palazzo Chigi, che ha rottamato l’autore delle lenzuolate, ma non anche la loro filosofia di fondo, resa anzi più che mai pervasiva: se la ricchezza si redistribuisce attraverso il mercato, sono i consumatori e non i lavoratori il punto di riferimento dell’azione di governo. 
Considerando quanto accaduto negli altri Paesi europei, è fondato ritenere che il Partito democratico sia destinato a riprodurre uno schema oramai consolidato. Una volta concluso il lavoro sporco, e magari averlo svolto meglio di quanto avrebbe fatto la destra per la maggiore capacità di controllo sulla piazza, la strada verso il declino e la marginalità è segnata. Di qui la domanda di sinistra, o meglio il bisogno vitale di sinistra, che sicuramente si fa sentire da tempo, ma che altrettanto sicuramente è destinato ad aumentare alla stessa velocità con cui si finirà con l’ammettere che l’Imperatore non ha vestiti. 
Da ultimo, per rispondere alla domanda di sinistra, si è affacciata sulla scena la cosa rossa, che nascerà secondo un calendario più o meno definito: prima un’assemblea nazionale aperta a tutti gli interessati, poi una fase di definizione partecipata del programma e delle prime campagne politiche, infine la nascita di un partito di opposizione al neoliberalismo[2]. Il tutto preceduto dalla formazione di un gruppo parlamentare, in cui sono appena confluiti i deputati di Sel e i fuoriusciti dal Pd, che aspira a raccogliere anche i Pentastellati cacciati o delusi da Grillo. 
Come si sa, questa è solo l’ultima di una lunga serie di esperimenti finora produttivi di un unico risultato apprezzabile: far credere che a non avere futuro fosse la sinistra, invece del modo scelto per rifondarla, e aumentare così l’esercito dei rassegnati. Per questo è utile riflettere sulla cosa rossa, magari avendo come termine di raffronto altre esperienze europee. 
Particolarmente utile sembra il confronto con l’esperienza tedesca, se non altro perché in Germania il mondo sindacale ha contribuito in modo determinante alla rifondazione della sinistra[3]. E proprio il mondo sindacale rappresenta un fondamentale punto di riferimento per l’opposizione al neoliberalismo, anche e soprattutto perché la sviluppa da una prospettiva diversa da quella partitica: la prospettiva che finora si è mostrata perdente. 
Le riflessioni suggerite dai passati fallimenti e dal raffronto con l’esperienza tedesca possono essere raggruppate attorno a cinque tesi. 
1. La cosa rossa non deve essere un partito 
La rifondazione della sinistra tedesca è sfociata nella nascita di un soggetto politico, la Linke, che per molti aspetti è un partito tradizionale. In una prima fase, però, molti puntavano alla costruzione di qualcosa di diverso, poi descritta in ambito sindacale ricorrendo all’immagine del mosaico: insieme le cui tessere compongono un disegno comune, mantenendo tuttavia intatta la loro identità[4]. Forse la cosa rossa è prima o poi destinata ad assumere la forma partito, ma è opportuno che questa sia un’opzione nella disponibilità di chi aderirà al progetto, e non un destino inevitabile. 
Nel mentre è opportuno fermarsi al mosaico, concepire la cosa rossa come una sorta di coordinamento delle forze di opposizione al neoliberalismo: dagli attuali partiti della sinistra ai movimenti, passando per i sindacati, le reti di solidarietà e mutualismo e le persone prive di appartenenza. In questo modo si aiuta a contenere il rischio di prevaricazioni tipico dei casi in cui soggetti profondamente differenti per consistenza numerica o organizzativa si trovano ad operare insieme. Un rischio non certo teorico, se si pensa che la cosa rossa nasce come gruppo parlamentare incentrato sui deputati di Sel: questi ultimi finiranno inevitabilmente per esercitare un ruolo egemone in questo progetto di rifondazione della sinistra, che pure guarda oltre il livello istituzionale e oltre l’orizzonte degli attuali partiti. 
2. La cosa rossa deve essere un mosaico 
In un mosaico tutte le tessere concorrono con pari dignità a delineare il disegno complessivo e tutte sono percepite come necessarie. 
Questo vale innanzi tutto per i partiti, la cui peculiarità consiste nel possedere una sponda istituzionale, o comunque nell’aspirare a possederla. Ebbene, se i partiti sono tessere del mosaico, occorre che accettino di considerare i loro eletti come cinghie di trasmissione delle istanze maturate in quell’ambito, senza esercitare poteri di veto quanto ai contenuti e alle modalità del lavoro istituzionale. Questo schema sembra essere condiviso anche dai promotori della cosa rossa: quando hanno dato vita al gruppo parlamentare comune ai deputati di Sel e ai fuoriusciti dal Pd, hanno affermato di percepirlo come un “terminale sociale” delle istanze maturate in seno alla cosa rossa[5]. E’ peraltro evidente che questo potrà accadere solo se la cosa rossa metterà tutte le sue componenti nelle condizioni di formulare istanze, ovvero se assumerà le sembianze di un mosaico. 
I promotori non hanno menzionato il sindacato tra i loro interlocutori, probabilmente per non mettere in imbarazzo Maurizio Landini. E’ peraltro evidente che la sua presenza nel mosaico è indispensabile, innanzi tutto per il legame con il mondo del lavoro. Ma sono altrettanto importanti i movimenti, catalizzatori di riflessioni critiche sulle democrazia interna alle organizzazioni politiche, oltre che su tematiche non riconducibili al tradizionale ambito sindacale. 
Componenti indispensabili del mosaico, soprattutto nelle fasi di scarsa tensione movimentista, sono poi le persone prive di appartenenza, le tessere più deboli del mosaico, e le reti di solidarietà e mutualismo. L’interazione tra queste reti e le altre tessere del mosaico consentirà di concepire la loro opera come momento qualificante l’azione politica, piuttosto che come supplenza rispetto alle mancanze del settore pubblico. 
3. La cosa rossa deve praticare il community organizing 
Il mosaico della sinistra non considera il collegamento con il livello istituzionale come il momento centrale della sua azione: affronta la crisi di rappresentanza, ma non mira a risolverla ripristinando l’opera di mediazione tradizionalmente svolta dai partiti e il collegamento di questi con le assemblee elettive. La separazione tra società e istituzioni è tale che richiede di privilegiare forme di protagonismo più incisive: quelle sviluppate a partire dai conflitti e dunque dall’azione politica nei luoghi di lavoro e nei territori. 
Nell’esperienza tedesca la centralità dei conflitti viene sottolineata a partire dal cosiddetto community organizing: una pratica messa a punto negli Stati Uniti che ha consentito al sindacato di radicarsi nelle aree del lavoro precario e atipico, quelle dalle quali era tradizionalmente tenuto fuori. I community organizer, lo dice il nome, favoriscono la presa di coscienza e l’autorganizzazione di chi rivendica diritti, adoperandosi per far politica con le persone, e non semplicemente per le persone, forzando il meccanismo della delega. 
Negli ambienti sindacali tedeschi, dove si lavora per diffondere il community organizing, lo si presenta come un modo per rifondare la rappresentanza oltre il collegamento con le assemblee elettive. Un modo, ancora, per iscrivere la solidarietà e il mutualismo entro un percorso di liberazione dal bisogno, per sottrarlo alle dinamiche ambigue della sussidiarietà orizzontale. 
4. La cosa rossa deve ripoliticizzare la società e il mercato 
Il contrasto del neoliberalismo passa dal recuperato del lavoro come pratica emancipatoria, non certo riducibile ad appendice del sistema produttivo: è quanto viene unanimemente ripetuto dai promotori della cosa rossa. 
L’esperienza tedesca testimonia che per ottenere questo risultato è indispensabile l’apporto dei sindacati, ma anche quello dei movimenti no global e ambientalisti: da tempo impegnati a stigmatizzare la sinistra che punta a recuperare l’armonia perduta della società fordista, e l’azione sindacale ridotta a co-management della politica imprenditoriale. Del resto la società fordista è oramai incompatibile con la finanziarizzazione dell’economia, connotata da un’elevata mobilità dei capitali, responsabile del crollo di potere contrattuale in capo ai protagonisti dell’economia reale: i lavoratori. 
Se il neoliberalismo riduce la società al mercato, il suo contrasto richiede una radicale ripoliticizzazione del mercato e dunque della società. Proprio a questo conduce il recupero della valenza emancipatoria del lavoro, che tuttavia non sarà sufficiente. Sarà indispensabile sviluppare, accanto al tema della redistribuzione della ricchezza, quello del riconoscimento delle identità, per il quale è valorizzare l’apporto dei movimenti per i diritti civili. 
Nel mosaico della sinistra la prospettiva riformista non è certo esclusa. Tuttavia è chiamata a dialogare con la prospettiva radicale, di superamento dell’attuale modello di sviluppo, che dovrà costituire uno sfondo pienamente legittimato dell’azione politica nei luoghi di lavoro e nei territori. E la prospettiva radicale dovrà comprendere l’esaltazione di quanto costituisce l’essenza della democrazia economica: la partecipazione diffusa alla gestione dei beni, per questo definiti in termini di beni comuni, a prescindere dalla loro titolarità privata o pubblica. E’ anche questo un modo per rifondare la rappresentanza oltre gli schemi tradizionali, quelli pensati per il partito politico. 
I promotori della cosa rossa parlano di una “sinistra di governo riformista e radicale”. Tutto può tenersi, ma solo nell’ambito di un mosaico: qualsiasi altra formula è destinata a produrre l’egemonia delle componenti più forti, nel nostro caso quelle cui è affidata la rappresentanza istituzionale. 
5. La cosa rossa non deve prendere parte alle elezioni 
Se i tentativi di rifondare la sinistra italiana sono falliti, i motivi sono evidentemente molti. Spicca però una costante: tutti quei tentativi sono stati ispirati dalla necessità di superare una soglia di sbarramento elettorale. Si spiegano così l’insuccesso delle Sinistra arcobaleno o di Rivoluzione civile, e il successo effimero dell’Altra Europa con Tsipras. 
Anche la cosa rossa potrebbe naufragare per lo stesso motivo. Sono dietro l’angolo le elezioni amministrative del prossimo anno, mentre non è escluso che Renzi segua le orme di Schröder: che decida di provocare elezioni politiche anticipate per non lasciare alla cosa rossa il tempo di organizzarsi. Il tutto mentre appare irrisolto l’eterno conflitto tra chi vuole l’alternativa al Pd e chi invece punta a far rinascere il Centrosinistra, come ben dimostrano le torsioni di Sel sulle comunali torinesi e bolognesi. 
La cosa rossa stia dunque alla larga dalle elezioni, lasciando alle tessere del mosaico la libertà di fare ciò che vogliono. Salvo assicurarsi che l’eventuale successo elettorale sia a beneficio delle istanze del mosaico, nel momento in cui questo sarà sufficientemente maturo per formularle, dopo averle fatte emergere attraverso conflitti condotti nei luoghi di lavoro e nei territori. 

NOTE

[1] T. Blair e G. Schröder, Europe: The Third Way / Die Neue Mitte (giugno 1999), http://library.fes.de/pdf-files/bueros/suedafrika/02828.pdf. 

[2] Il documento che definisce il calendario si legge in www.huffingtonpost.it/2015/11/04/gruppo-sinistra-teatro-quirino_n_8472662.html 

[3] Su questo rinvio ad A. Somma, L’altra faccia della Germania. Sinistra e democrazia economica nelle maglie del neoliberalismo, DeriveApprodi, Roma 2015.

[4] H.-J. Urban, Konstruktive Veto-Spieler? Die Gewerkschaften und die neue Mosaik-Linke (maggio 2008), in www.prager-fruehling-magazin.de. 

[5] V. l’intervento di Stefano Fassina alla presentazione del gruppo parlamentare (7 novembre 2015), http://www.stefanofassina.it/lavoroeliberta/2015/11/07/nasce-il-gruppo-parlamentare-sinistra-italiana/#artref.

Fonte: MicroMega online 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.