La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 6 marzo 2017

A 60 anni dai Trattati di Roma, serve un Piano B per l'Europa

di Stefano Fassina 
Il prossimo 11-12 Marzo, in Campidoglio, a ridosso delle celebrazioni ufficiali del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, si svolgerà il IV Summit "Plan B" per l'Unione europea e l'euro. È la tappa italiana di un lungo percorso iniziato a Parigi subito dopo l'imposizione al governo Tsipras del Memorandum-capestro con la Troika. Un percorso promosso da personalità politiche della sinistra europea e partecipato da parlamentari nazionali e europei, amministratori di "città ribelli", accademici, rappresentanti sindacali e di movimenti. Una piattaforma orientata ma sulla quale si confrontano tutte le posizioni presenti nell'area progressista e democratica europea (da chi punta esclusivamente alla "riforma dei Trattati", a chi invoca la "disobbedienza costruttiva", ai "no euro").
L'obiettivo del "Plan B" è, innanzitutto, la condivisione di un'analisi informata e non conformista dell'Unione europea e dell'euro-zona. Quindi, la definizione di scenari e programmi per rivitalizzare la democrazia partecipata e per promuovere la piena e buona occupazione in un quadro di riconversione ecologica dell'economia.
L'analisi consolidata nel circuito del Plan B riconosce, come oramai ammesso anche da parte dell'establishment, l'insostenibilità dell'ordine economico e sociale dell'Unione europea e dell'eurozona: il mercato unico senza standard sociali e ambientali e la moneta unica, ossia l'ordine "costituzionale" avviato dai Trattati di Roma nel 1957, sono insostenibili in quanto fondati sulla svalutazione del lavoro.
In tale quadro, secondo la lettura condivisa, le economie periferiche a Sud e a Nord (ad esempio, dalla Grecia, all'Italia alla Finlandia) soffocano nella stagnazione e la sinistra, o comunque si voglia chiamare una forza orientata all'attuazione del welfare state, è morta.
Di fronte a tali dati di realtà, il network del Plan B propone due strade: un "Plan A" e, appunto in sub-ordine, un "Plan B". Il Plan A consiste in un insieme di soluzioni per scardinare il mercantilismo dominante nell'Unione europea e nell'eurozona senza intaccarne l'architettura istituzionale e monetaria. È una strada, per chi scrive, irrealistica sul piano politico, priva per ragioni storiche e culturali profonde di consenso di popolo, in particolare nel paese leader.
È, invece, la strada ancora considerata irrinunciabile da larga parte della sinistra, consapevole del lento soffocamento in corso della democrazia e del lavoro, ma preoccupata di rafforzare le destre nazionaliste attraverso il tentativo di ridislocare nella dimensione nazional-statuale le principali leve di politica economica: moneta, bilancio, cambio, regolazione dei mercati interni e dei movimenti di capitali e di merci e servizi. Una strada segnata alla difficoltà a declinare, anche soltanto sul piano teorico, il patriottismo in chiave costituzionale, dove la moneta unica è considerata condizione necessaria a evitare lo scivolamento verso un regime di autarchia.
Il Plan B muove dal riconoscimento dell'impraticabilità del Plan A o comunque dell'utilità negoziale di un Plan B per far avanzare il Plan A o, almeno, contrattare condizioni di sopravvivenza per il singolo Stato membro in trappola e evitare ripetizioni del caso Grecia, schiacciata da rapporti di forza impossibili.
Qui, è altrettanto intensa la preoccupazione per le destre xenofobe e isolazioniste, alle quali si ritiene, però, vengano spalancate praterie sempre più ampie proprio dalla continuità delle politiche accompagnata da astratti richiami a "più Europa" o da un'effettiva maggiore integrazione ("Europa a più velocità") lungo la rotta definita dall'interesse nazionale tedesco e sostenuta, in ogni ambito nazionale, dalle élite legate alle constituency dell'export.
Qui, si sottolineano gli effetti divaricanti dell'euro sui popoli del vecchio continente e la necessità di rilegittimare sul piano della democrazia e del benessere sociale lo Stato nazionale al fine di promuovere la cooperazione europea per affrontare le sfide globali: dal climate change, alle migrazioni, alla sicurezza.
Il Plan B si articola in una pluralità di versioni: il "divorzio amichevole" dell'euro, ossia il superamento cooperativo della moneta come, per esempio, illustrato da Stiglitz nel suo ultimo saggio in arrivo per Einaudi; l'uscita di uno o più Paesi in un negoziato cooperativo con le principali istituzioni dell'Ue e dell'euro-zona (a cominciare dalla Bce); l'uscita individuale o di gruppo in un "negoziato ostile".
Tale arco di soluzioni viene sovente etichettato come velleitario. Eppure, i segnali che arrivano vanno in direzione opposta. Da un lato, il Parlamento europeo approva l'incorporazione del Fiscal Compact nei Trattati, mentre la Commissione europea presenta un imbarazzante "white paper" sul futuro della Ue.
Dall'altro, si fa largo in settori sempre più ampi di classi dirigenti, anche tedesche, la convinzione che l'unica alternativa possibile allo scenario jugoslavo in drammatico avvicinamento è lo scenario cecoslovacco, non gli Stati Uniti d'Europa per pochi intimi.
Insomma, la nostra "celebrazione" in Campidoglio del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, in sintonia con i movimenti che il 25 Marzo attraverseranno le strade della capitale, celebrerà ben poco della ricorrenza. Si concentrerà, invece, sulle possibili e radicali correzioni di rotta necessarie a evitare il naufragio del "Titanic Europa".

Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore 

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