La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 11 marzo 2017

Il governo è terrorizzato dal referendum sul lavoro e non decide la data

di Alfonso Gianni 
Quando il Consiglio dei Ministri si deciderà a fissare la data per i due referendum sul lavoro, ovvero quello sui voucher e sugli appalti, sopravvissuti alla scure della Corte Costituzionale? Ai sensi della legge 352/70 che detta le regole per l’effettuazione tanto dei referendum costituzionali quanto di quelli abrogativi, spetta al Governo proporre la data nella quale il Presidente della Repubblica convoca il referendum. Solo che l’esecutivo nicchia in attesa di vedere se matura una qualche possibilità di bypassare il referendum sulla base di un disegno di legge o di un decreto. Ha bisogno quindi di tempo. Esattamente il contrario di quello che successe sul referendum delle trivelle.
Quando il governo Renzi, matrice dell’attuale, decise a spron battuto, scegliendo la prima data utile nella finestra temporale compresa fra il 15 aprile e il 15 giugno, come prevede la legge. Infatti si votò il 17 aprile dello scorso anno. Il suo obiettivo, purtroppo raggiunto, era quello di affrettare i tempi per non permettere il raggiungimento del quorum.
Attualmente i sondaggi – per quello che possono valere quando sono fatti senza neppure sapere la data del voto – forniscono indicazioni opposte. Sulla scia della straordinaria partecipazione al referendum del 4 dicembre, la voglia dei cittadini di decidere in prima persona non è venuta meno. Il quorum è alla portata e in quel caso la maggioranza dei sì sarebbe più che abbondante. Per questo il governo è alla ricerca, oltre che di una improbabile intesa politica che eviti il referendum, anche di qualche giustificazione formale per protrarre l’attesa sulla data. Così sboccia un florilegio di interpretazioni contraddittorie delle norme in vigore, nel quale vengono coinvolti i centri studi e legislativi delle maggiori istituzioni del paese, governo e parlamento compresi.
Il governo gioca sul fatto che la norma per cui entro sessanta giorni dal recepimento della sentenza della Corte Costituzionale il Consiglio dei ministri deve proporre la data del referendum è contenuta solo nella prima parte della 352/70. E finge di non sapere che l’articolo 40 della stessa legge esplicita che per quanto non previsto dal Titolo II, che si occupa dei referendum abrogativi, si osservano, in quanto applicabili, le norme di cui al Titolo I, che si riferisce ai referendum costituzionali. In effetti non solo il referendum delle trivelle, ma anche altri confortano una simile logica interpretazione. Il referendum sul nucleare del 2011, ad esempio, venne convocato 60 giorni dal via libera della Corte Costituzionale. Né si può dire che tale conteggio debba cominciare dal momento in cui vengono note le motivazione della Consulta, a volte di parecchi giorni successive all’ordinanza, poiché queste non hanno alcuna incidenza sulla data del referendum.
Poiché la Corte ha deciso per la costituzionalità dei quesiti sui voucher e sugli appalti l’11 gennaio, il governo avrebbe dovuto proporre entro oggi la data del referendum. Ma nel Consiglio dei Ministri di ieri non se ne è fatta parola. Siamo di fronte a un governo totalmente inadempiente, sotto il profilo sia sostanziale che formale. Del resto quanto sta maturando in parlamento è ben lungi dal potere evitare il referendum. Il Pd insegue un accordo al di là dei confini della maggioranza, quindi inserisce la possibilità di attivare i voucher anche per le imprese con zero dipendenti, nonché per la Pubblica Amministrazione, seppure in casi “straordinari”. Ma le mono-imprese sono la maggioranza in Italia: il 61%. Il che significa fare dilagare il sistema dei voucher, creando addirittura aziende di soli voucheristi. L’esatto contrario del referendum che ne chiede l’abolizione totale.
Del resto non c’è da attendersi granché da un parlamento giudicato costituzionalmente illegittimo. La parola è ora ai cittadini e non è possibile che gli sia tolta. L’ha compreso anche Michele Tiraboschi, il collaboratore di Marco Biagi e l’estensore del decreto attuativo della famosa legge 30/03, un cultore della flessibilità quindi, il quale dichiara che non solo sui voucher e sugli appalti è bene sentire l’opinione dei cittadini, ma sarebbe stato interessante conoscerla anche sull’articolo 18. Il senno del poi, anche se un po’ peloso.

Fonte: Il manifesto 

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