La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 11 marzo 2017

Gas e petrolio, un piano delle aree per il nostro Paese

di Enzo Di Salvatore 
L'art. 38 del decreto "Sblocca Italia", adottato dal governo Renzi nell'autunno del 2014, aveva inteso valorizzare le risorse energetiche nazionali, dichiarando le attività di ricerca e di estrazione di gas e petrolio, indifferibili e urgenti, di interesse strategico e di pubblica utilità. Da quel momento in poi, tali attività sarebbero state da esercitare sulla base un unico provvedimento ministeriale, denominato "titolo concessorio unico", e non più a seguito del rilascio di due distinti provvedimenti (permesso di ricerca e concessione di coltivazione). In fase di conversione in legge del decreto "Sblocca Italia",si introduceva, tuttavia, una nuova previsione legislativa; con essa si stabiliva che il ministro dello sviluppo economico,dopo aver sentito il ministro dell'ambiente, avrebbe dovuto predisporre un "piano delle aree": il rilascio dei titoli concessori unici veniva, quindi, subordinato all'approvazione di un piano che stabilisse dove fosse consentito cercare, estrarre e stoccare gli idrocarburi.
Una autentica leggerezza: anzitutto, perché le disposizioni dell'art. 38 sul titolo concessorio unico avevano tacitamente abrogato le disposizioni della legge del 1991, che disciplinavano i permessi e le concessioni(con la conseguenza che fino all'adozione del piano non sarebbe stato più possibile autorizzare alcuna nuova attività di ricerca e di estrazione degli idrocarburi nel nostro Paese); in secondo luogo, perché la previsione legislativa sul piano avrebbe richiesto che gli Enti territoriali (Regioni ed Enti locali) partecipassero almeno alla fase della sua elaborazione: e ciò sia perché l'attività di pianificazione sarebbe stata da ricondurre alla materia legislativa "governo del territorio" (di competenza dello Stato e delle Regioni), sia perché ciò avrebbe toccato l'esercizio delle funzioni amministrative, attribuite dalla Costituzione ai Comuni.
Tanto è vero che ben sette Regioni ricorrevano alla Corte costituzionale, lamentando, anche per questa parte, la lesione della propria competenza. Nel dicembre del 2014, la legge di stabilità tentava di ovviare al problema, aggiungendo al comma 1-bis dell'art. 38 alcune nuove disposizioni: il piano delle aree sarebbe stato da adottare previa intesa con la Conferenza unificata (dove sono presenti le Regioni e gli Enti locali), ma solo per le attività di ricerca e di estrazione su terraferma. In caso di mancato raggiungimento dell'intesa, il governo avrebbe potuto esercitare il potere sostitutivo, e cioè procedere egualmente all'adozione del piano senza la partecipazione degli Enti territoriali, seguendo, però, una procedura semplificata, disciplinata dalla legge n. 239 del 2004.
Si precisava, inoltre, che nel frattempo, in attesa che il piano venisse adottato, il Ministero avrebbe potuto autorizzare le attività di ricerca e di estrazione di gas e petrolio sulla base dei (vecchi) permessi di ricerca e delle (vecchie) concessioni di coltivazione: in questo modo, le disposizioni della legge del 1991, abrogate dallo Sblocca Italia, tornavano nuovamente in vita.
Com'è noto, nel settembre del 2015, dieci Regioni promuovevano un referendum abrogativo, avente a oggetto alcune disposizioni dell'art. 38 dello Sblocca Italia. Uno dei quesiti proposti riguardava proprio il piano delle aree. Con esso, le Regioni chiedevano due cose: che la partecipazione degli Enti territoriali alla elaborazione del piano non riguardasse solo la terraferma, ma anche il mare (territoriale); che, in caso di mancato raggiungimento dell'intesa, il governo potesse esercitare il potere sostitutivo, seguendo, tuttavia, una procedura maggiormente garantista, e cioè attraverso un confronto più sincero con gli Enti territoriali e tentando di raggiungere con questi un autentico accordo "politico".
Tuttavia, nel dicembre del 2015, prima ancora che la Corte costituzionale si pronunciasse sulla legittimità dei quesiti referendari, il Parlamento, su proposta del governo, cancellava la previsione legislativa sul piano; in questo modo, cadeva anche il relativo quesito oggetto di referendum.
Nella relazione tecnica che accompagnava la proposta di soppressione del piano, il governo affermava che questa decisione si giustificasse in ragione della necessità "di non ledere le prerogative delle singole Regioni previste dalla normativa vigente in merito al rilascio dei titoli minerari" (come se la partecipazione a monte alla elaborazione del piano fosse incompatibile con la partecipazione a valle sulla realizzazione dei singoli progetti!). Aggiungo: e tutto ciò proprio mentre con legge di revisione costituzionale si intendeva sottrarre la materia energetica - e dunque anche la ricerca e l'estrazione di gas e petrolio - alla competenza delle Regioni per assegnarla in via esclusiva allo Stato.
Oggi, 148 associazioni e comitati e 135 personalità del mondo della cultura, della politica e delle scienze chiedono ai Parlamentari di voler reintrodurre il piano e alle Regioni di sostenere la proposta: ciò che essi auspicano è che le attività di ricerca e di coltivazione di gas e petrolio siano consentite solo sulla base di un piano, che tenga conto dei diversi interessi economici esistenti, che tuteli le aree territoriali più fragili del nostro Paese, che, in breve, stabilisca, una volta per tutte, dove sia possibile cercare ed estrarre e dove no.
Alcune forze politiche hanno raccolto con convinzione l'invito (Alternativa Libera, Possibile, Sinistra Italiana, M5S, Prc) e, in ambito regionale, il Consiglio regionale della Basilicata ha già deliberato il pieno sostegno alla proposta, impegnando la giunta e il suo presidente a farsi promotori di una iniziativa legislativa delle Regioni.

Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore 

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