di Carla Ida Salviati
Quando si parla di lettura non c'è mai da stare troppo allegri. Solo pochi giorni fa da Francoforte il presidente dell'AIE (Associazione Italiana Editori) ci ha annunciato che l'Italia continua la sua marcia a gambero con il record del 58 per cento di "non lettori". Davanti al dato sconfortante forse doveva esplodere qualche sommossa, forse dovevamo scendere in piazza umiliati dalla minaccia dell'analfabetismo di ritorno. E se l'espressione può sembrare antiquata, chiamiamolo pure "analfabetismo funzionale", fenomeno spaventoso - e certo non solo nostrano - per colpa del quale si apre uno scenario composto da pochi individui in grado di leggere e capire mentre moltissimi, perdute le (fragili) abilità di lettura, se ne stanno inebetiti davanti a "giochi e giochini" scaricati dalla rete o acquistati per pochi centesimi. Un bel risultato dopo 150 di Stato unitario e 70 di Paese democratico...
Sarà pur vero che l'AIE sciorina numeri di vendite, che parla di copie di libri e non di lettura. Però è ben triste dover prendere atto che il commercio librario sta diventando sempre meno remunerativo. Non abbiamo neanche la soddisfazione di trovare il capro espiatorio nell'e-book , settore che non pare destinato a magnifiche sorti, almeno per il futuro immediato.
Pare che gli unici lettori - sparuti ma accaniti - siano i ragazzi, e l'industria editoriale, giustamente, se ne compiace. Peccato che scorrendo gli inserti librari dei nostri più diffusi quotidiani - affollati per ovvi motivi di concorrenza soprattutto tra il sabato e la domenica - devi armarti del classico lanternino per scovare una recensione degna del nome sui libri per i giovani, puntualmente ignorati anche quando "fanno numeri" da capogiro.
Che cosa poi accada a questi ragazzi appassionati lettori quando arrivano le tempeste ormonali e spuntano i primi peli, è un fenomeno antropologico che - a quanto ne so io - non ha ancora trovato spiegazioni convincenti. Sta di fatto che, a mano a mano che crescono tette e compaiono brufoli, si legge sempre di meno andando a rimpolpare quel famoso 58 per cento, percentuale che sembra destinata solo ad aumentare.
Ma quando si parla di ragazzi, subito si parla di scuola. Inevitabile, visto che da quelle forche caudine tutti ci passano. Ma che fa la scuola? ci si domanda. Non è capace di insegnare a leggere! Anzi "ammazza il piacere di leggere" nei bambini che per loro natura, invece, sarebbero tutti potenziali divoratori di pagine (l'accusa assassina e' tratta dal titolo di un convegno di qualche anno fa).
Banalità? Accuse false e tendenziose?
La risposta dovrebbe essere complessa perché il nodo è intricatissimo. Un paio di riflessioni però bisogna farle.
La prima riguarda la scuola in generale, frastornata in questi ultimi decenni da riforme e riformine che hanno sortito come frutto principale lo sconcerto di famiglie e insegnanti. A un certo punto qualcuno ha persino invocato "basta riforme!", anche perché mettere mano a una riforma complessiva non è roba che si risolva in qualche mese, soprattutto se si considera il perenne fiato corto dei nostri governi (ci riusci' Gentile, e sappiamo il perché). Inoltre, dovendo cominciare "dal basso", tutte - riforme, riformine, riformette - sono iniziate dalla scuola elementare (primaria, come si dice propriamente) che infatti risulta la più "riformata" tra i vari gradi. Da tutto questo affannarsi, la lettura è rimasta sostanzialmente fuori, mentre sono passate nelle aule tecnologie ben presto obsolete nel vago tentativo di essere al passo con la modernità. E' dai tempi di Berlinguer/Moratti che non si vede un piano per la promozione della lettura ma solo piccoli (in senso relativo, ovvio) interventi, concentrati soprattutto sulle difficoltà di apprendimento. Interventi doverosi e meritevoli peraltro: ma che certo non sono andati nella direzione della diffusione di massa della lettura. Obiettivo che, a mio modesto parere, una scuola di massa dovrebbe perseguire.
Da questa "riformite" abbastanza sterile sono state appena sfiorate le due secondarie, inferiore e superiore, anche e soprattutto perché nessuno ha messo mano e testa al nodo principale, la formazione dei docenti. I quali, nel grado superiore, si aspettano di accogliere ragazzi pienamente abili a leggere, scrivere, far di conto: illusione destinata a franare miseramente in una grande quantità di classi, come è sotto gli occhi del mondo. Gli insegnanti della primaria, per loro conto, spesso insegnano a leggere semplicemente "favorendo" il clima della classe, dando fiducia alla spontaneità e ignorando quanto la lettura sia invece un'erta, faticosa scala in salita che esige attenzioni, cure e metodo. Può accadere cosi che nella primaria ci si accontenti troppo presto delle performance "corrette" (solo apparentemente tali) quando piuttosto si dovrebbero verificare e pretendere competenze piene e sicure: si "sa leggere" quando si è in grado di affrontare testi diversi per tipo e per complessità, quando si è lettori critici.
Chiunque si rende ben conto che non si arriva a questi livelli se non dopo percorsi lunghi, ben più lunghi dei cinque anni di primaria. Ma la lentezza, la scuola della lumaca come scriveva un pedagogista da poco scomparso, non si addice ai nostri tempi e ai nostri costumi. Ci irritiamo di perdere tempo. E non ci accorgiamo che stiamo persino perdendo di vista l'obiettivo: la scuola di tutti non può permettersi un popolo che non sa leggere. Bisogna pensare alle nuove forme di analfabetismo: e qui non c'è davvero tempo da perdere.
Fonte: Alfabeta2
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