Intervista al Collettivo Ippolita di Francesca Sironi
La parità di genere ha in Facebook un alleato oppure no? La rete ci rende eguali? O ci illude di esserlo? Lo abbiamo chiesto a Ippolita , autore collettivo di “Nell'acquario di Facbook ” e “ Luci e ombre di Google ”, gruppo di ricerca interdisciplinare fra hacking e università.
I social network stanno rendendo uomini e donne più “eguali”?
«Le Reti commerciali di massa non sono ispirate all'egualitarismo e nemmeno al desiderio di libertà, qualsiasi cosa significhi. Accedere a un'interfaccia uguale per tutti, senza differenze di genere, classe, etnia, religione, crea un falso senso di egualitarismo col fine di aumentare la sensazione di fusionalità di ognuno con un presunto "tutto" collettivo, ma le differenze permangono, anche se facciamo finta che non ci siano. La situazione è ben nota, come diceva Don Milani in Lettera a una professoressa "non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti eguali fra disuguali».
Parlando di Facebook, nei vostri interventi, usate spesso l'espressione: “economia delle identità”. Di che identità parliamo?
«Facebook si propone come garante dell'armoniosa costruzione dell'identità individuale, e censore etico che impedisce di mentire. Il profilo di un utente su Facebook deve idealmente coincidere con un presunto "io autentico" (feat. M. Zuckerberg), che si deve presentare in maniera trasparente. Nelle intenzioni dichiarate nei Termini di Servizio dei social network, la pornografia sessuale esplicita è vietata e combattuta attivamente.
I bot che eseguono gli algoritmi di Facebook eliminano in continuazione le immagini porno individuate - che possono essere semplicemente foto di corpi eccessivamente nudi, senza alcun significato sessuale -, così come i discorsi di odio che gli utenti diligentemente segnalano al sistema. Non dobbiamo dimenticare l'assunto moralista di queste piattaforme. I fenomeni di narcisismo ed esibizionismo compulsivo rientrano nel quadro dell'ipercoerenza narrativa, dove la reputazione dell'individuo è sottoposta alla minaccia continua della gogna mediatica».
Da dove nasce questo nuovo moralismo?
«Dalla filosofia della trasparenza radicale, grande massa di utenti totalmente intelligibili dalle macchine da un lato, ed élite hi-tech dall'altra. Virginie Despentes ha tratteggiato il suprematismo nerd nella figura del cinico tecnico informatico ( Apocalypse baby, Einaudi, 2012 ) in maniera convincente. Maschi bianchi, spesso gay e vegan, ossessionati dall'idea di "rendere il mondo un posto migliore" e "aggiustarlo" con la tecnologia adeguata incarnano il peggio delle nuove norme per essere vincenti nel mondo digitale.
Tecnici e finanziatori della Silicon Valley come di altre zone di "innovazione tecnologica" sono troppo spesso accomunati da un'idea particolarmente povera di libertà, quella libertà automatica che dovrebbe essere garantita dalla tecnologia perfetta, capace di affrancarci dai problemi relazionali e in definitiva dall'annoso problema della morte. Il loro desiderio di tenere tutto sotto controllo e di misurare ogni cosa riduce ogni interazione a una mera transazione numerica, cioè a un problema da risolvere».
Facebook ha un direttore operativo donna. Yahoo è guidata da Marissa Meyer, sta cambiando qualcosa?
«In realtà no, non molto. Perché le donne che competono nelle grandi società dell'IT, nel complesso, non stanno mettendo in discussione il modello anarco-capitalista al cuore di quelle stesse società. Non contestano la privatizzazione di ogni sfera collettiva e personale, la crescita illimitata né la suddivisione del mondo in vincenti e perdenti (loser e winner), tipica della cultura patriarcale»
Stanno prendendo posizione però. Sheryl Sandberg, nel suo best seller internazionale ( “Lean In”, “Facciamoci avanti”), parla di leadership femminile e della necessità di cambiare sterotipi.
«Le manager in questione esigono che le donne abbiano un ruolo pari o superiore a quello dei colleghi uomini, e stipendi allineati, giusto. È lodevole, ma mandare avanti le donne non basta: invece di promuovere la valorizzazione delle differenze, tendono a creare una nuova norma, quindi una normatività che esclude e appiattisce le differenze. In questo senso, la Sandberg a Facebook, così come la Mayer a Yahoo e Google, portano avanti una forma di emancipazionismo che non ci aiuta.
Primedonne che dall'alto dei loro compensi milionari incitano le altre donne a lavorare sodo per scalare le gerarchie e ottenere fama, successo e potere. Ci sono invece gruppi di donne anche in Italia che si fanno avanti in maniera del tutto differente, per esempio scrivendo insieme un manuale per costruirsi identità digitali da una prospettiva di genere come gendersec.tacticaltech.org o l'associazione Orlando di Bologna con la sua Cercatrice di rete e il Server donne »
Da dove bisognerebbe ripartire?
«Noi crediamo che la democrazia e la vita, individuale e collettiva, siano processi da vivere. La costruzione identitaria è processo lento e faticoso e conflittuale di valorizzazione delle differenze in una "casa delle differenze", come direbbe Audre Lorde . Questi mondi comuni non hanno nulla a che fare con le sharing economies, sono luoghi di affinità che non possono in alcun modo essere gestita da società private con fini di lucro. D'altra parte, come ha rilevato danah boyd , nelle Reti commerciali non siamo tutti uguali in partenza e dotati delle medesime capacità di risolvere problemi, bensì determinati dalle condizioni di censo, etnia, cittadinanza e naturalmente genere».
Fonte: L'Espresso
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