La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 25 ottobre 2015

Ius soli, i nuovi italiani nascono a scuola e i bocciati non vanno esclusi

di Emiliano Sbaraglia
Al di là di ogni opinione culturale e politica, per gli insegnanti italiani il passaggio alla Camera della legge riguardante la regolamentazione del diritto di cittadinanza per i minori nati o residenti nel nostro Paese è un buon passo in avanti, che si attendeva da anni. Il motivo è presto detto. Chi frequenta quotidianamente le aule delle nostre scuole, in particolare della primaria e secondaria di primo grado, vive infatti sulla propria pelle la situazione reale della maggior parte di esse: molte accolgono allievi e allieve nati in Italia o arrivati da qualche tempo; ma la loro condizione continua ad essere, in base alle norme stabilite dallo ius sanguinis attualmente vigente, quella di soggetti non meglio identificati, di studenti sospesi in un limbo determinato (almeno sino alla maggiore età) dal luogo di nascita dei propri genitori, con tutte le conseguenze del caso in termini non soltanto di riconoscimento dei propri diritti, ma anche dei loro doveri di cittadini nel prossimo futuro.
Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Istruzione, lo scorso anno erano oltre 800.000 gli studenti di origine straniera presenti nelle scuole dell’intera Penisola, circa il 9% dell’intera popolazione scolastica nazionale; di questi, il 52% sono nati nel nostro territorio. A confermarlo Vinicio Ongini, responsabile da tre lustri dell’Ufficio per l’integrazione scolastica del MIUR, e tra gli organizzatori di quegli Stati Generali che proprio su questi temi, e giusto nella giornata di ieri (una pura coincidenza) sono stati convocati nel dicastero di Viale Trastevere. «Ci sono ancora alcune cose da rivedere, e il testo in sé appare migliorabile – è il commento di Ongini -; di certo l’identificazione di un percorso che consenta di arrivare alla certificazione dei nuovi cittadini italiani è un obiettivo dal quale non era più possibile prescindere».
In questo senso, la doppia proposta offerta dalla nuova legge, costituita dal binomio ius soli – ius culturae, permette di evidenziare qualche punto. Attraverso il modello dello ius soli, la cittadinanza italiana viene ottenuta nel momento in cui uno dei due genitori stranieri del richiedente nato in Italia sia in grado di dimostrare di possedere un permesso di soggiorno «di lungo periodo», con l’intento di salvaguardare una certa continuità legale della presenza nel suolo italiano. Lo ius culturae aggiunge un elemento ulteriore, significativo e fortemente simbolico per la formazione e la crescita dei nuovi italiani: un minore nato o presente in Italia da qualche anno, potrà infatti ottenere la cittadinanza soltanto dopo aver terminato un ciclo di studi di almeno cinque anni.
Qualche dubbio, in questo senso, proviene dal passaggio che introduce come impedimento l’eventuale bocciatura del candidato negli anni compresi dal ciclo elementare. Spesso, infatti, un alunno viene bocciato, soprattutto nei primi anni di scuola, per motivi appartenenti a numerose combinazioni, ambientali, linguistiche, familiari, psicofisiche, oltre che puramente didattiche. Forse dunque non siamo ancora giunti al termine di questo importante cambiamento, ma la strada intrapresa sembra finalmente essere quella giusta, in barba a quanti, esclusivamente per convenienze politiche di bassa lega (nomen omen), soffiano sul fuoco di un ventilato nazionalismo, che nulla ha a che vedere con i contenuti in ballo.
Anche perché, per garantire lo sviluppo di un sano e moderno nazionalismo, legato alla propria cultura e alle proprie tradizioni quanto predisposto verso le potenziali ricchezze rappresentate dall’altro, si deve insistere proprio sulla costruzione di un terreno comune, sulla condivisione e il rispetto di principi e valori imprescindibili, perché appartenenti alla natura di ogni essere umano. Ecco perché, a quegli stessi insegnanti in attesa di un esito positivo dell’iter parlamentare in corso, spetta ora il compito forse non più difficile, ma certamente essenziale: diffondere uno spirito di comprensione quale sinonimo di conoscenza delle trasformazione in atto.
Uno strumento efficace e a portata di mano, in quanto già previsto dalle normative didattiche ministeriali, appare essere quell’ora settimanale della materia di Cittadinanza e Costituzione, anche indicata come Educazione alla Cittadinanza, compresa nel programma di Storia e Geografia (e/o nell’insegnamento delle materie letterarie), ma troppo spesso colpevolmente rimossa da alcuni docenti delle discipline coinvolte. Per formare i nuovi cittadini italiani, i primi a farsi trovare preparati dobbiamo essere noi. Un bel ripasso generale non farebbe male a nessuno.

Questo pezzo è uscito sul Corriere.it
Fonte: minimaetmoralia.it

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