La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 9 novembre 2015

Parità di salario: cosa si fa in Europa e cosa in Italia

In Gran Bretagna lunedì scorso era l’Equal Pay Day, il giorno in cui si è rilanciato il tema della pari retribuzione tra i sessi perché da ieri fino alla fine dell’anno è come se le donne smettessero di lavorare, o meglio di guadagnare per il lavoro svolto rispetto agli uomini. Ad ogni dollaro di retribuzione ottenuto da un uomo corrispondono circa 77centesimi ottenuti da una donna per la stessa mansione.
In sostanza in Europa in media un lavoratore ha uno stipendio del 16% maggiore rispetto a quello di una lavoratrice. E l’Italia questa volta non è fra i Paesi messi peggio in tema di parità salariale, da noi la differenza si aggira attorno al 7,3%. Ma il dato nel 2010 era 5,6%, insomma stiamo peggiorando. E soprattutto non facciamo abbastanza. Nel Bel Paese se ne era parlato una settimana fa quando era uscito lo studio Ue lanciato appunto in vista dell’Equal Pay Day.
«Da oggi le donne lavorano gratis», una frase perfetta per i titoli dei giornali e per le condivisioni sui social network. Tutti scandalizzati e poi, come spesso accade, l’indignazione si è trasformata in silenzio. E il silenzio che sembra essere la principale risposta sul tema anche in Parlamento.
Come si è evoluto il gender pay gap in Europa dal 2010 al 2013

Dati Eurostat 2010

Dati Eurostat 2013

Alla Camera infatti giace abbandonata, ad esempio, la proposta di Pippo Civati, presentata in primavera, ad aprile 2015, che il deputato ha rilanciato sul suo blog proprio commentando i dati Ue. «Chissà se avrà l’onore di essere portata all’attenzione dell’aula prima della fine di questa legislatura», scrive Civati. Left l’ha chiesto alpresidente della commissione Lavoro Cesare Damiano che conferma, «al momento ancora no», dice, «però stiamo affrontando altri tempi di parità, come quella sulle pensioni».
Anche in fatto di pensioni infatti, come si può immaginare, la situazione è critica. La media europea segna un divario fra uomini e donne circa del 40% .

Fonte European Commission

E così mentre al Senato si torna – finalmente – a parlare di un emendamento alla legge di stabilità che potrebbe introdurre un congedo parentale di 15 giorni obbligatorio per i papà, sul fronte delle retribuzioni sembra tutto ancora fermo – anche perché le commissioni sono affollate di decreti e ora impegnate sulla legge di Stabilità.
Non che la soluzione del problema sia semplice, ovviamente, così legato a fattori culturali. Per questo la proposta Civati vorrebbe delegare il governo a puntare sulla «trasparenza e la pubblicità della composizione e della struttura salariale della remunerazione dei dipendenti», assicurando così che ciascun lavoratore possa conoscere, «senza necessità di presentare apposita richiesta, la retribuzione e ogni altra forma di remunerazione, compresi i bonus, di tutti i lavoratori dipendenti della medesima impresa od organizzazione». Lo spunto per la proposta viene da una legge approvata in Germania a lo scorso marzo e in procinto di entrare in vigore l’anno prossimo.
Dal 2016 infatti circa un centinaio di società tedesche saranno obbligate ad avere nel proprio organico almeno il 30% di donne impegnate in incarichi dirigenziali, e altre 3500 imprese ad aumentare progressivamente il numero di donne che occupano questo tipo di posizioni al loro interno. Del tema in Germania si sta discutendo moltissimo, forse proprio perché qui la situazione è più grave. La differenza di salario (gender pay gap) si attesta infatti al 21,6%, un dato che può sembrare singolare visto che proprio qui le donne ricoprono ruoli di rilievo nel Governo, a cominciare proprio dalla cancelliera Angela Merkel. La risposta vincente per risolvere il problema sembra essere la trasparenza sulle retribuzioni, oltre ovviamente a una legge che obblighi ad applicarla. Addirittura secondo l’Economist in genere «il fatto che le imprese non vogliano spiegare alle loro dipendenti perché sono pagate di meno e il fatto che trovino queste conversazioni “imbarazzanti” non fa che confermare che la disparità salariale è frutto di una discriminazione».
Non mancano infine esempi di chi, per portare il tema all’attenzione di tutti, tenta di giocare la carta dell’ ironia, come si può vedere dall’immagine qui sotto. Noi intanto in Italia aspettiamo.

Fonte: Left

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