La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 11 ottobre 2015

Nuova Intifada porta in strada i palestinesi d’Israele, cittadini di serie B

di Michele Giorgio
Gli israe­liani di Serie B sono scesi in strada. I pale­sti­nesi con cit­ta­di­nanza israe­liana, chia­mati arabo israe­liani, alzano la voce sull’onda dell’Intifada di Geru­sa­lemme. Da Naza­reth a Rahat nel Neghev, da Giaffa sulla costa a Umm el Fahem a ridosso della “linea verde” con la Cisgior­da­nia, migliaia di pale­sti­nesi israe­liani, in buona parte ragazzi, hanno sfi­lato e pro­te­stato, spesso scon­tran­dosi con la poli­zia. Scene che non si vede­vano dalla seconda Inti­fada. Non è solo soli­da­rietà con le ragioni della nuova (pos­si­bile) Inti­fada. È anche, se non soprat­tutto, una pro­te­sta con­tro lo Stato di Israele di cui si sen­tono parte solo sulla carta, che con­ti­nua a inqua­drarli come una esten­sione del “nemico pale­sti­nese” nei Ter­ri­tori occupati.
Una por­zione con­si­stente di israe­liani ebrei non nasconde di guar­dare ai cit­ta­dini arabi come a una “quinta colonna”, “tra­di­tori” pronti a fare il gioco del “nemico”. «E la poli­zia non manca di far­celo capire in que­sti giorni», ci dice Moham­med Kabha un gio­vane atti­vi­sta della zona di Ara-Araba, nella bassa Gali­lea. «Com­pie arre­sti pre­ven­tivi ovun­que, qui due sere fa sono stati presi sei gio­vani, tutti con meno di 18 anni», con­ti­nua Kabha, «più di tutto ha un atteg­gia­mento inti­mi­da­to­rio, lan­cia pesanti avver­ti­menti agli abi­tanti. Le auto­rità ci vedono come un peri­colo per­chè siamo pale­sti­nesi come quelli dei Ter­ri­tori occu­pati. Il nostro pas­sa­porto è solo un libretto inu­tile, non saremo mai con­si­de­rati cit­ta­dini veri di que­sto Paese».
In que­sti giorni per ven­di­care gli accol­tel­la­menti com­piuti da pale­sti­nesi, gruppi di estre­mi­sti sono impe­gnati in una vera e pro­pria una cac­cia all’arabo, di cui la stampa israe­liana rife­ri­sce, anche se in modo insuf­fi­ciente, men­tre è igno­rata dai media inter­na­zio­nali. La poli­zia ha arre­stato ieri cin­que dei 30 abi­tanti di Neta­niya, a nord di Tel Aviv, che vole­vano lin­ciare tre cit­ta­dini pale­sti­nesi. Due dei presi di mira sono riu­sciti a scap­pare, il terzo, Abed Jamal, è stato pic­chiato dalla folla infe­ro­cita che gri­dava «Morte agli arabi» e «A Neta­niya gli arabi si fal­ciano». Si è sal­vato solo gra­zie all’arrivo della poli­zia che, comun­que, lo ha amma­net­tato, nono­state fosse la vit­tima dell’aggressione, per interrogarlo.
«Anche se solo alcuni pale­sti­nesi (d’Israele) hanno com­messo vio­lenze, alla mag­gio­ranza degli israe­liani ebrei bastano uno o due epi­sodi per met­tere sotto accusa tutti i cit­ta­dini arabi» spiega Wadie Abu Nas­sar, un ana­li­sta di Haifa, «gli israe­liani ebrei non capi­scono che per i pale­sti­nesi qual­siasi ten­ta­tivo di dan­neg­giare i loro luo­ghi sacri, in par­ti­co­lare la moschea di al Aqsa, rap­pre­senta il supe­ra­mento di una ‘linea rossa’». I pale­sti­nesi israe­liani, aggiunge Abu Nas­sar, «sim­pa­tiz­zano con i pale­sti­nesi dei Ter­ri­tori occu­pati non solo per­chè sono fra­telli ma anche per­chè vedono Israele come una potenza occupante».
Dieci giorni fa in diversi vil­laggi pale­sti­nesi e a Naza­reth hanno com­me­mo­rato le 13 vit­time del fuoco della poli­zia durante gli scon­tri divam­pati in Gali­lea tra la fine di set­tem­bre e l’inizio di otto­bre del 2000, all’inizio della seconda Inti­fada. Una tra­gica ripe­ti­zione dei colpi che il 30 marzo del 1976 ucci­sero sei pale­sti­nesi durante le mani­fe­sta­zioni con­tro la con­fi­sca delle terre arabe. Morti, quelli del 2000, che sono una ferita mai rimar­gi­nata e anche uno spar­tiac­que poli­tico interno, tra coloro che riten­gono pos­si­bile un rico­no­sci­mento pieno della mino­ranza araba nello Stato di Israele e altri (sem­pre più nume­rosi) che chie­dono la crea­zione di uno Stato unico demo­cra­tico, non sio­ni­sta. Uno Stato che non approvi più leggi, come quelle pro­mosse dalla destra al governo in que­sti ultimi anni, desti­nate a col­pire diret­ta­mente l’identità e i diritti dei cit­ta­dini pale­sti­nesi. Sullo sfondo di que­sto dibat­tito ci sono i due movi­menti isla­mici (del Nord e del Sud), divisi sul rifiuto/integrazione nel sistema poli­tico israe­liano. Ayman Sik­seck ieri spie­gava su Ynet l’importanza degli eventi del 2000 per la for­ma­zione dell’identità degli arabi di Israele «Dopo la delu­sione gene­rata dal fal­li­mento degli accordi di Oslo – ha scritto — la loro soli­da­rietà con i pale­sti­nesi nei Ter­ri­tori occu­pati è cre­sciuta… la loro rab­bia (di que­sti giorni) deriva dalla per­ce­zione di un destino comune delle due popo­la­zioni discri­mi­nate e dalla sen­sa­zione di ingiustizia».
Di fronte a ciò le for­ma­zioni poli­ti­che arabe in Israele sono in affanno. La scelta uni­ta­ria (Lista Unita Araba, LAU) fatta all’inizio dell’anno per affron­tare insieme le sfide lan­ciate a tutti gli arabi dalla legi­sla­zione aggres­siva del governo e dei par­titi di destra, pur avendo otte­nuto un discreto suc­cesso elet­to­rale non ha poi por­tato a nulla di con­creto nella vita quo­ti­diana, nella con­di­zione di vil­laggi e città con minori risorse pub­bli­che rispetto ai cen­tri abi­tati ebraici, non ha con­tri­buito ad eli­mi­nare le discri­mi­na­zioni e nep­pure a fer­mare il Pra­wer Plan per il “ricol­lo­ca­mento” (trans­fer for­zato) di decine di migliaia di beduini del Neghev. «Molti dei pale­sti­nesi che ora sfi­lano nelle strade della Gali­lea non appar­ten­gono ad alcun par­tito, laico o isla­mi­sta» afferma Moham­med Kabha «anzi, guar­dano a tutte le forze poli­ti­che, di qual­siasi orien­ta­mento, come figlie di un fal­li­mento, della man­cata com­pren­sione della realtà israe­liana. Il par­tito Jabha (comu­ni­sta, parte della LAU) orga­nizza ini­zia­tive con slo­gan come ‘Ebrei ed Arabi rifiu­tano di essere nemici’. Ma più pas­sano gli anni e più la società israe­liana e il sistema poli­tico ci con­si­de­rano corpi estra­nei, nemici da iso­lare». Secondo Wadie Abu Nas­sar la Lista Unita Araba rischia di fran­tu­marsi, di essere som­mersa dall’onda dell’Intifada di Geru­sa­lemme. «Mai come in que­sti giorni sono emerse nella Lista le dif­fe­renze tra il bina­zio­na­li­smo di Jabha e il nazio­na­li­smo del par­tito Balad (Tajammo). Uno scon­tro – pre­vede l’analista – che potrebbe met­tere fine all’esperienza unitaria».

Fonte: il manifesto 

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