La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 23 agosto 2015

La nuova Costituzione di Prayuth

di Emanuele Giordana
A cin­que giorni dalla strage di Ban­g­kok, gli inve­sti­ga­tori tai­lan­desi sem­brano bran­co­lare ancora nel buio. L’attentato in pieno cen­tro, avve­nuto in una zona molto fre­quen­tata e a ridosso di un pic­colo tem­pio bud­di­sta dedi­cato a Brahma, non ha per ora che due riflessi poli­tici evi­denti: il primo è che poli­zia ed eser­cito non sem­brano avere una pista e per ora si limi­tano a smen­tire le ipo­tesi cir­co­late in que­sti giorni senza però esclu­derne nes­suna, il che non fa loro fare una bril­lante figura.
Il secondo è che la vicenda sta facendo pas­sare in secondo piano l’approvazione della nuova costi­tu­zione voluta dal governo mili­tare (civile in realtà ma il cui pre­mier è il gene­rale Prayuth Chan-ocha, a capo dell’esercito da cin­que anni e autore del colpo di Stato del mag­gio del 2014).
La nuova costi­tu­zione è nelle mani del Con­si­glio nazio­nale per la riforma cui è stata con­se­gnata da un Comi­tato costi­tuente (Cdc) sul cui sito si può leg­gere (in tai­lan­dese) il testo: è molto lungo e pieno di par­ti­co­lari in linea con un governo di salute pub­blica. Pre­vede un «Comi­tato di crisi» dai con­torni con­fusi che, a certe con­di­zioni, può pren­dere il posto di un governo eletto dalle urne.
E, guarda caso, pre­vede che il pre­mier possa essere un non par­la­men­tare. Una costi­tu­zione evi­den­te­mente nelle gra­zie di Prayuth. Il gene­rale ha par­lato alla nazione ieri e lo ha fatto soprat­tutto in rela­zione alla strage di lunedì. Ma ha affron­tato la que­stione solo per met­tere in guar­dia chi dif­fonde, come si dice in gergo, noti­zie «false e ten­den­ziose». Le noti­zie false e ten­den­ziose lo pre­oc­cu­pano, tanto che il governo ha messo in piedi un altro comi­tato che deve garan­tire che si possa leg­gere solo quel che è certo. Quasi nulla finora.
Ovvia­mente il comi­tato se la può pren­dere solo coi tai­lan­desi e, se è il caso, anche arre­starli. È suc­cesso a un poli­ziotto che sui social aveva scritto di «immi­nenti noti­zie». Ora deve spie­gare ai suoi superiori.
Il pro­blema invece sono gli stra­nieri. La corsa è alla smen­tita di una noti­zia uscita sul Times, con tanto di nome e cognome di un atten­ta­tore, che il gior­na­li­sta Richard Lloyd Parry ha pub­bli­cato l’altro ieri soste­nendo che a due testi­moni della strage sarebbe stato mostrato il pas­sa­porto di Moha­mad Museyin, un uomo i cui tratti soma­tici cor­ri­spon­de­reb­bero all’identikit rico­struito sulla base dei foto­grammi — piut­to­sto sgra­nati — usciti dalla tele­ca­mera a cir­cuito chiuso che ha ripreso il momento in cui l’attentatore depo­neva la sua bomba su una pan­china nell’area vicina al tempio.
La pista isla­mica è invece stata esclusa dalle auto­rità sin dall’inizio e la foga con cui Prayuth ha smen­tito ieri l’articolo del Times fa pen­sare che in effetti gli inve­sti­ga­tori stiano bat­tendo altre piste anche se si con­ti­nua a dire che nes­suna ipo­tesi viene esclusa. Per ora ne sono uscite diverse: i musul­mani seces­sio­ni­sti del Sud (al con­fine con la Malay­sia, dove vivono tai­lan­desi musul­mani di antica ori­gine malese); una non ben iden­ti­fi­cata «rete»; le camice rosse della fami­glia Shi­na­wa­tra (i due ex pre­mier esau­to­rati dai golpe mili­tari); gli uiguri cinesi, dis­si­denti che avreb­bero voluto punire Ban­g­kok che nega loro l’asilo poli­tico espo­nen­doli alle ritor­sioni di Pechino; infine il «ter­ro­ri­smo inter­na­zio­nale», una sigla che può andare da Daesh ad Al Qaeda. Una pista quest’ultima che sem­bra sia stata rapi­da­mente scartata.
Molto altro però non c’è, se non una ridda di ipo­tesi e la con­tra­rietà del governo che vor­rebbe con­trol­lare anche il pen­siero dei suoi con­cit­ta­dini. L’imbarazzo comun­que non manca spe­cie dopo che un gior­na­li­sta della Bbc ha tro­vato sul posto della strage schegge della bomba. Qual­cuno dei ser­vizi di sicu­rezza deve aver rice­vuto un bel cic­chetto. Secondo il Ban­g­kok Post la poli­zia è ancora alla ricerca di una «signora in nero», una donna che nei foto­grammi si vede accanto all’attentatore in t-shirt gialla.
Tutti gli altri rico­no­sciuti dalla tele­ca­mera o sono stati inter­ro­gati o si sono pre­sen­tati spon­ta­nea­mente. Tranne lei. Il resto è qual­che pic­cola noti­zia di cro­naca. Come quel signore ano­nimo che è pronto a sbor­sare un milione di bath come ricom­pensa se qual­cuno riu­scisse ad accen­dere una luce nel buio.

Fonte: il manifesto

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