
di Nicola Melloni
Per anni, decenni, ci hanno raccontato che la storia era finita. Il capitalismo aveva vinto, spazzando via la dialettica sociale e politica. L’accorciamento – alcuni direbbero: la scomparsa – dello spazio tra destra e sinistra sembrava confermarlo. La disintegrazione sociale ancora più che politica della classe operaia eliminava il conflitto e castrava una democrazia senza opposizione.
La crisi economica ha però rimesso tutto in discussione. Vero, il capitalismo è ben lontano dal riformarsi, le banche sono più forti di prima e se guardiamo alla disgraziata Europa il tracollo finanziario ha prodotto mostri ancora più mercatisti. Non c’è stata al momento nessuna svolta a sinistra – non certo a livelli di guida politica, se non con l’eccezione, ahimè fallimentare, della Grecia.
Eppure qualcosa si muove. Nella società l’opposizione allo status quo politico e al dominio del mercato si fa sempre più forte. Lo abbiamo visto nella stessa Grecia prima con la vittoria di Syriza poi con il clamoroso OXI al ricatto europeo. Prima ancora lo si era visto con il referendum scozzese, contraddistinto dal desiderio di tanti di riprendere in mano il proprio destino, di vincere le paure, di provare a cambiare.
In Spagna ed in Francia, seppure in maniera opposta, il sistema politico tradizionale è in crisi e crescono i movimenti che denunciano l’omologazione liberista dei partiti storici.
In Spagna ed in Francia, seppure in maniera opposta, il sistema politico tradizionale è in crisi e crescono i movimenti che denunciano l’omologazione liberista dei partiti storici.
Ora sembra arrivato anche il turno della Gran Bretagna, forse l’esempio più concreto di quella finta Terza Via che tanto piace ai mercati. Proprio il Labour di Tony Blair sembra pronto ad una clamorosa svolta a sinistra. L’elezione (popolare) del nuovo segretario potrebbe infatti premiare il socialista Jeremy Corbin, nemico giurato dell’establishment blairiano.
Sia chiaro, non è certo giunta l’ora di entusiasmarsi: Corbyn non ha ancora vinto neanche il Congresso Labour, figuriamoci le elezioni. E Syriza, così come il referendum scozzese, è stata sconfitta. Sarebbe però ingenuo pensare di cambiare equilibri consolidati con un colpo di bacchetta magica elettorale. Il dato fondamentale, quello da cui ripartire, è la sempre maggiore opposizione sociale al totalitarismo del mercato. D’altronde Karl Polany già settant’anni fa aveva spiegato che gli eccessi di un mercato de-umanizzante creano quasi naturalmente una opposizione.
Perché questi movimenti diventino motore di un vero cambiamento c’è però bisogno di un lavoro che è ancora prima culturale che politico – bisogna dare una identità sociale a questa opposizione. Ecco allora che Podemos la ricerca in una contrapposizione tra l’alto (l’oligarchia) ed il basso (il popolo) della società che riprende i temi cari ad Occupy. Ecco allora che Corbyn fa leva sull’orgoglio di classe del Laburismo, non a caso proprio quando il Labour perde il voto dei ceti popolari.
Mentre Lega e Front National riscoprono il nazionalismo, l’opposizione progressista deve ricostruire una identità collettiva, quella che in fondo una volta era la coscienza di classe. Solo attraverso il riconoscimento di se stessi come parte di una collettività politica, sociale ed economica ci si potrà davvero confrontare con un capitale che è estremamente abile nel riconoscere i propri bisogni ed i propri obbiettivi.Per anni, decenni, ci hanno raccontato che la storia era finita. Il capitalismo aveva vinto, spazzando via la dialettica sociale e politica. L’accorciamento – alcuni direbbero: la scomparsa – dello spazio tra destra e sinistra sembrava confermarlo. La disintegrazione sociale ancora più che politica della classe operaia eliminava il conflitto e castrava una democrazia senza opposizione.
Fonte: MicroMega on line - blog dell'autore
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