La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 2 ottobre 2015

70 anni fa la Carta dell'Onu. Restano guerre e nuovi muri

di Marina Catucci
Durante l’assemblea gene­rale in corso si cele­bra la Carta dell’Onu che a giu­gno ha com­piuto 70 anni. Il segre­ta­rio gene­rale Ban Ki-moon ha sot­to­li­neato quanto sia fon­da­men­tale impe­gnarsi su i temi di pace e sicu­rezza inter­na­zio­nali, sal­va­guar­dare diritti umani e ambiente ed ha defi­nito la Carta dell’Onu «La nostra bus­sola, un docu­mento vivo, non una tabella di mar­cia det­ta­gliata. La Carta san­ci­sce prin­cipi che hanno supe­rato la prova del tempo. L’Onu è stato fon­dato per evi­tare un’altra guerra mon­diale, e vi è riu­scito. Nono­stante il ripe­tersi di geno­cidi e foco­lai di con­flitti armati, gli ultimi sette decenni sareb­bero stati cer­ta­mente ancora più san­gui­nosi senza le Nazioni Unite». Dal 1 al 3 Otto­bre per com­me­mo­rare i 70 anni l’assemblea gene­rale dibatte sul tema di quest’anno che, per rimar­care la fun­zione per cui è nata l’Onu, è «Il man­te­ni­mento e la sal­va­guar­dia della pace e della sicu­rezza inter­na­zio­nali». La ricor­renza ricorda i tra­guardi rag­giunti e tutti i nobili obiet­tivi delle Nazioni unite, ma anche una lista di imba­razzi e fal­li­menti, in cro­no­lo­gia, i mas­sa­cri in Cam­bo­gia (1975–79), Ruanda (1994), Bosnia Erze­go­vina (1995), Dar­fur (2003) oppure gli scan­dali ses­suali degli anni ‘90 che hanno visto pro­ta­go­ni­sti alcuni pea­ce­kee­per Onu ad Haiti, Bosnia, Cam­bo­gia, Kosovo e Mozam­bico. Da aggiun­gere il pro­li­fe­rare di armi nucleari, per arri­vare al pro­blema del ter­ro­ri­smo inter­na­zio­nale di Isis, Al Qaeda, Al Sha­baab e Boko Haram, vero gine­praio con­tem­po­ra­neo.
Fatto ancora più rile­vante, il diritto inter­na­zio­nale è stato di fatto sep­pel­lito dall’avvicendarsi delle guerre e dal disa­stro (scien­te­mente) pro­vo­cato in Afgha­ni­stan e Iraq (senza dimen­ti­care Libia e Siria), men­tre sulla Pale­stina, a cui Obama pro­met­teva libe­ra­zione e «Stato», al meglio è calato un silen­zio imbarazzato.
Ora le cele­bra­zioni arri­vano poco dopo i discorsi di Obama e di Putin e il loro incon­tro in un’atmosfera da guerra fredda. L’intervento di Putin, deco­struendo ancora una volta il pro­cesso del con­senso su cui si basa il rag­giun­gi­mento delle riso­lu­zioni dell’Onu, ha sot­to­li­neato come, tec­ni­ca­mente, il governo di Assad è tut­tora legit­timo per le Nazioni Unite e che pro­prio gra­zie alla Carta, per inter­ve­nire legal­mente in Siria, esi­stono sola­mente due alter­na­tive e sono o una for­male richie­sta da parte del governo siriano oppure una riso­lu­zione del Con­si­glio di Sicu­rezza (desti­nata a fal­lire in quanto la Rus­sia ha il potere di veto). I bom­bar­da­menti russi in Siria di que­sti giorni, vista la coa­li­zione con Assad, sono quindi legit­timi, men­tre la coa­li­zione ame­ri­cana che, cer­cando di col­pire Isis, da un anno bom­barda nella stessa zona, non sta seguendo le linee e le leggi dell’Onu ma è come se rap­pre­sen­tasse un Onu paral­lelo che agi­sce da solo e per la volontà degli Stati Uniti. A dimo­stra­zione di ciò Obama, mar­tedì, nel ver­tice da lui con­vo­cato dei lea­der mon­diali sulla lotta all’Isis e al ter­ro­ri­smo, dopo aver sot­to­li­neato che non va com­bat­tuta con le sole armi ma anche pro­po­nendo una visione della società «migliore e più forte», ha abban­do­nato la sala dell’assemblea prima dell’intervento del dele­gato sau­dita: un segnale sia di minore accon­di­scen­denza verso le posi­zioni sau­dite ma anche su come le deci­sioni ven­gano prese in altre sedi.
Davanti a que­sto svuo­ta­mento di potere non stu­pi­sce che le nazioni unite non ven­gano più per­ce­pite come punto di rife­ri­mento da chi, dal basso, si oppone, ed il luogo dove ritro­varsi per fare pres­sione su le deci­sioni che ven­gon prese non è più One Plaza, sede del Palazzo di vetro.
Durante que­sta assem­blea gene­rale il numero della mani­fe­sta­zioni di dis­senso che sono parte dei giorni dell’assemblea, sono state pochis­sime e que­sto non per­ché ci sia una nuova comu­nanza di intenti e stra­te­gie tra atti­vi­smo e poli­tica isti­tu­zio­nali ma per­ché quella sede non viene più rico­no­sciuta come luogo topico.
Nem­meno quando si è discusso di uno dei temi più caldi, migranti e rifu­giati, vi sono stati movi­menti di pres­sione dal basso, eppure il segre­ta­rio gene­rale si è rivolto ad un’assemblea di 70 paesi riu­niti per discu­tere que­sto tema con l’attenzione con­cen­trata sulla crisi dei migranti in Europa.
Ban Ki-moon dopo aver ricor­dato che biso­gna resi­stere alla ten­ta­zione di costruire stec­cati e muri e di sfrut­tare in modo fun­zio­nale la paura dello stra­niero, ed essersi com­pli­men­tato con i paesi che accol­gono rifu­giati, ha riba­dito il pro­blema del sot­to­fi­nan­zia­mento delle agen­zie uma­ni­ta­rie delle Nazioni unite, che «con­ti­nuano a sfi­dare con­di­zioni dif­fi­cili per rag­giun­gere le per­sone biso­gnose. Non rice­viamo denaro a suf­fi­cienza per sal­vare abba­stanza vite umane»: e qua l’obiettivo erano gli Stati Uniti, che durante l’amministrazione Bush hanno ridotto la pro­pria quota di soste­gno all’Onu, che non è mai tor­nata ai valori precedenti.

Fonte: il manifesto 

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