La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 2 ottobre 2015

Il regolamento del più forte

di Andrea Fabozzi
La tra­ci­ma­zione dei sena­tori dal gruppo di Forza Ita­lia a quello ormai sta­bil­mente in mag­gio­ranza di Ver­dini, il nego­ziato con la mino­ranza Pd che ha ridotto il dis­senso interno da una tren­tina di sena­tori a due o tre sono cose che cer­ta­mente aiu­tano. Ma pro­ba­bil­mente non sareb­bero bastate al governo per far appro­vare la legge di revi­sione costi­tu­zio­nale entro il 13 otto­bre, data sulla quale Renzi non tran­sige. Ci voleva una grossa mano da parte del pre­si­dente del senato, quel Pie­tro Grasso con il quale nell’ultimo mese il pre­si­dente del Con­si­glio ha più volte cer­cato lo scon­tro isti­tu­zio­nale, lan­ciando avver­ti­menti e ulti­ma­tum. Evi­den­te­mente andati a segno, per­ché quella mano è arri­vata. Anche più gene­rosa del pas­sato. Grasso ha con­sen­tito qual­siasi strappo al rego­la­mento e ha seguito passo dopo passo il per­corso trac­ciato dai tec­nici di palazzo Chigi e di palazzo Madama per aggi­rare gli osta­coli alzati dalle oppo­si­zioni con­tro un governo che non accetta modi­fi­che alla «sua» riforma costi­tu­zio­nale. Ieri sera, prima dell’ultima inter­pre­ta­zione del rego­la­mento utile ad allon­ta­nare peri­co­lose vota­zioni segrete dal cam­mino dell’articolo 2, il pre­si­dente del senato non si è fatto scru­polo di riu­nirsi a palazzo Madama con la mini­stra Boschi per stu­diare assieme le stra­te­gie d’aula.
E così la riscrit­tura di oltre un terzo della Costi­tu­zione pro­cede spe­dita. Ieri è stato appro­vato l’articolo 1 che sta­bi­li­sce la fun­zioni del senato, gra­zie alla risco­perta della tec­nica dell’emendamento «kil­ler». Grasso lo aveva già con­sen­tito all’inizio dell’anno sulla legge elet­to­rale, allora reg­geva ancora il «patto del Naza­reno» e l’emendamento Espo­sito servì a pie­gare la mino­ranza Pd. Ieri l’emendamento Cocian­cich ha scan­sato il rischio di vota­zioni segrete. Il pro­dotto finale è un lungo testo di 30 righe in gran parte mai discusso né in aula né in com­mis­sione, e mai nean­che difeso dalla mag­gio­ranza cui inte­res­sava solo votarlo prima di tutti gli altri emen­da­menti. Sarà il nuovo arti­colo 55 della Costi­tu­zione ita­liana che oggi è quello scritto da Costan­tino Mor­tati in due commi e cin­que righe in tutto.
Così sono stati abbat­tuti emen­da­menti a pac­chi e la ten­sione in aula ha con­ti­nuato a salire per tutta la gior­nata, tra le pole­mi­che per il soste­gno dei «tran­sfu­ghi» e gli attac­chi dei 5 Stelle al pre­si­dente. Che, impas­si­bile, ha con­ti­nuato a rispon­dere di no a ogni richie­sta delle oppo­si­zione. La riforma della Costi­tu­zione ha preso così le forme già viste di un asse­dio della mino­ranza al for­tino (sem­pre più largo) della mag­gio­ranza, tanto rumo­roso quanto vano. Impos­si­bile ogni discus­sione nel merito di modi­fi­che impor­tan­tis­sime, ma la respon­sa­bi­lità va divisa tra l’esecutivo che ha escluso ogni aper­tura reale e la guida dell’assemblea che ha dimo­strato di saper tute­lare solo gli inte­ressi del governo. Intro­du­cendo, come se non bastasse, pre­ce­denti assai peri­co­losi. Sia il voto sull’emendamento Cocian­cich che quello sul com­plesso dell’articolo 1 hanno testi­mo­niato il buon lavoro fatto da Ver­dini e dal sot­to­se­gre­ta­rio Lotti: il governo è rima­sto sem­pre sopra la soglia della mag­gio­ranza asso­luta. E non è esatto dire che i voti degli ultimi arri­vati sono solo «aggiun­tivi», come si con­sola la mino­ranza Pd ricon­dotta all’ordine, visto che nel suc­ces­sivo pas­sag­gio ser­virà pro­prio la mag­gio­ranza asso­luta per lan­ciare la riforma verso il refe­ren­dum con­fer­ma­tivo. Non ha torto Sel quando, anti­ci­pando uno slo­gan refe­ren­da­rio, attacca «la Costi­tu­zione di Renzi e Verdini».
Anche per­ché non è affatto finita, nella pros­sima set­ti­mana dovranno arri­vare altre for­za­ture. Già ieri sera Grasso ha tro­vato il modo di affos­sare cin­que voti segreti che aveva pre­ce­den­te­mente dichia­rato di voler acco­gliere. Sull’articolo 2 è ormai noto che la pre­si­denza ha ammesso solo emen­da­menti al comma 5, ma tanto la sena­trice De Petris di Sel quanto il leghi­sta Can­diani ave­vano tro­vato il modo di infi­lare in quel punto il ritorno all’elezione diretta dei sena­tori e anche il voto segreto. Gli emen­da­menti diven­ta­vano così assai peri­co­losi per la tenuta del governo. Ma Grasso si è messo di tra­verso con un’interpretazione ancora una volta spe­ri­co­lata del rego­la­mento. Oggi si vota sull’articolo 2.
Il pre­si­dente del Con­si­glio può dun­que far tra­pe­lare la sua grande tran­quil­lità. Ma nel Pd manca ancora l’accordo su due punti: l’elezione del pre­si­dente della Repub­blica e la norma tran­si­to­ria (arti­colo 39) che affida ancora ai con­si­glieri regio­nali la scelta esclu­siva dei sena­tori (con buona pace del recu­pero della «volontà dei cit­ta­dini»). Sul primo punto si è par­lato di un pos­si­bile nuovo emen­da­mento kil­ler, sem­pre di Cocian­cich, ma la pro­po­sta in realtà è assai più impe­gna­tiva e intro­dur­rebbe un sistema di can­di­da­ture uffi­ciali per il Qui­ri­nale. Il governo è stato costretto a dissociarsi.

Fonte: il manifesto 

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