La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 1 ottobre 2015

Il Vecchio se n’è andato. E ora?

di Enzo Scandurra
Forse la sta­tura poli­tica di Ingrao è spro­por­zio­nata rispetto alla mise­ria dei tempi; forse la città di Roma, come sem­pre cinica e spie­tata, era indif­fe­rente alla morte di uno dei grandi pro­ta­go­ni­sti della sto­ria del Nove­cento, forse i com­pa­gni pre­senti erano ormai ras­se­gnati al loro ruolo di spettatori.
Fatto è che la piazza di Mon­te­ci­to­rio non era stra­colma come qual­cuno si aspet­tava. Dalle casse dei micro­foni – alle­stite in troppa fretta e con super­fi­cia­lità — appena appena si udiva la voce dei rela­tori; dif­fi­cile distin­guere le parole tanto che, a inter­valli, si udiva un grido dalla piazza: «Voce, voce». Anche le ban­diere – poche e tutte di Rifon­da­zione, nes­suna del Pd (e meno male!) – con­tri­bui­vano a dare alla ceri­mo­nia un tono tri­ste, direi rassegnato.
Prima dell’inizio della ceri­mo­nia – unica «nostal­gia» della piazza – il canto della folla: Bella ciao appena abbozzato.
Ras­se­gna­zione è la parola giu­sta. Ingrao diceva: «Siamo stati vinti ma non scon­fitti». Nella piazza invece c’era il sapore della sconfitta.
Pre­sente alla ceri­mo­nia, in un pal­chetto improv­vi­sato sulla piazza, c’era anche Renzi. Come a dire: liqui­diamo qui que­sta vec­chia sto­ria; sono altri tempi quelli di oggi; dob­biamo tor­nare subito al lavoro.
Ancora una volta il Vec­chio sapeva dimo­strarsi più gio­vane di tante per­sone; lui forse non avrebbe par­te­ci­pato con ras­se­gna­zione; avrebbe detto: «Non ci sto».
Ho incon­trato per­sone che non vedevo da decenni: solo la loro voce mi ha con­sen­tito di rico­no­scerle, tanto il loro volto e aspetto era cam­biato. «Che fai?», era la domanda rituale: «Zap­petto» rispon­deva qual­cuno «ho un po’ di terra in Umbria». «E tu?» «Io sto in pen­sione e non fac­cio niente, leggo il mani­fe­sto tutti i giorni,… aspet­tando…». Qual­cuno dichia­rava di aver aperto un sito on-line dove aveva messo l’intera sto­ria repub­bli­cana: «Mi impe­gna tutti i giorni la ricerca di mate­riali». Con molti ci si rico­no­sceva appena, ma nes­suno ricor­dava quando e dove ci si era incontrati.
Il para­gone con la com­me­mo­ra­zione di Pin­tor a piazza Far­nese sarebbe inge­ne­roso, quello con i fune­rali di Ber­lin­guer nem­meno a par­larne. Segno dei tempi? Cer­ta­mente sì, ma anche segno dell’accumularsi di tante sconfitte.
Cesare Pavese diceva: chiodo scac­cia chiodo, ma tre chiodi fanno una croce. E di chiodi la sini­stra ne ha visti ben con­fic­cati assai più di tre. Le parole si sono con­su­mate tutte, insieme ai corpi dei com­pa­gni invec­chiati, senza pos­si­bi­lità di sosti­tu­zione; molti occhi lucidi ma pro­sciu­gati di lacrime.
E intorno alla piazza di Mon­te­ci­to­rio turi­sti, turi­sti e poi ancora turi­sti ad ammi­rare que­sta città spie­tata, cinica, indif­fe­rente. In un’altra città (o in un altro mondo?), si sareb­bero abbas­sate le ser­rande dei negozi, avrebbe tuo­nato il vec­chio can­none del Gia­ni­colo, fiumi di per­sone si sareb­bero river­sati nelle strade e nelle piazze, nelle vie romane avrebbe domi­nato un assor­dante silen­zio come a chie­dersi: è acca­duto e ora?
Il Vec­chio se n’è andato, ma il Nuovo non appare ancora, ovvero forse c’è: è Renzi?
Adesso sarà ancora più dif­fi­cile pro­nun­ciare la parola: comunista.

Fonte: il manifesto 

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