La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 2 ottobre 2015

Smettiamo di parlare di genere o di gender

di Lea Melandri
Smettiamo di parlare di “genere” o “gender”. Diciamo: uomini e donne, maschi e femmine, mariti e mogli, fidanzati e fidanzate. Perché è di questo che si tratta: di rapporti di potere che sono andati confusi perversamente con l’amore, di una violenza che abita le case, le famiglie, la sessualità, così come la vita sociale in tutti i suoi aspetti.
Diciamolo ai bambini e alle bambine che hanno visto all’uscita da scuola un uomo armato uccidere la moglie – la loro maestra – e poi se stesso. Interroghiamoci, insieme a loro, sul perché gli uomini, nonostante le posizioni di privilegio che ancora hanno rispetto all’altro sesso, si rivelano così fragili e violenti, quando una donna decide di lasciarli.
Mostriamo loro il nostro smarrimento quando scopriamo che un sedicenne non sopporta la fine della relazione con una quattordicenne e viene accoltellato per questo dal fratello di lei.
Due notizie, come quelle che abbiamo trovato il 30 settembre sui giornali non dovrebbero bastare per farci riflettere sulla colpevole ignoranza che si è venuta depositando, nel corso del tempo, sulla forma più vistosa e più nascosta che ha preso il potere nella storia umana e partire da lì per avviare percorsi educativi più consapevoli fuori dalle sterili polemiche che stanno devastando in questo momento la scuola?
Suggerimenti per una rieducazione sentimentale
Invece di accanirsi a contestare una delirante “teoria del genere”, agitata come spauracchio contro ogni cambiamento del rapporto uomo-donna che cominci dall’educazione primaria, sarebbe molto più utile portare l’attenzione sui testi che, proprio attraverso la scuola, hanno protratto fino ad oggi la definizione di comportamenti, ruoli, identità del maschio e della femmina.
Un esempio. Alle donne è stato imposto di non esprimere i loro desideri, amorosi, sessuali, nei confronti dell’uomo, ragione per cui non hanno avuto altra possibilità che farli passare per vie indirette: la seduzione – l’uso erotico del loro corpo -, le cure materne estese a uomini adulti e perfettamente autonomi. Rendersi ‘desiderabili’ o ‘indispensabili’ è stato finora l’unico modo, non solo per esercitare un potere sostitutivo di altri poteri negati, ma anche per dare corso in qualche modo ai loro più inconfessabili sentimenti, sogni, emozioni e bisogni.
C’è una ragione che spieghi perché alle donne non sono stati tolti solo i poteri economici, sociali, culturali e politici, ma anche quello di essere “soggetto di desiderio”, a pari dell’uomo, messe cioè in condizione di vivere rapporti di reciprocità anche sul piano sentimentale, affettivo, sessuale? La risposta, semplice e chiara tanto da essere esposta senza alcuna remora in un opera pedagogica, l’ha data il padre della democrazia moderna: Jean-Jacques Rousseau.
Le donne hanno due potenti “attrattive” – la seduzione e la maternità -, entrambe già presenti in quel corpo che l’uomo incontra alla nascita, in posizione di estrema dipendenza e inermità. Come tenerle a bada, se non incanalandole da subito in funzione dei suoi bisogni, della sua felicità, del suo piacere?
Ed ecco l’indicazione pedagogica, che si legge nell’Emilio di Rousseau, e che ancora impronta l’educazione di genere, nonché il senso comune:
“Dipendono quindi dai nostri sentimenti, dal valore che attribuiamo ai loro meriti, dall’importanza che diamo alle loro attrattive e alle loro virtù. Proprio per legge della natura le donne, sia per se stesse che per i loro figli, sono alla mercé del giudizio degli uomini: non basta che siano degne di stima, bisogna che siano effettivamente stimate; non basta che siano belle, bisogna che piacciano; non basta che siano sagge, bisogna che siano riconosciute per tali; il loro onore non risiede soltanto nella loro condotta, ma nella loro reputazione (…) ciò che si pensa di lei non è meno importante di ciò che realmente ella è”.
“La buona complessione fisica dei figli dipende innanzi tutto da quella delle madri; la prima educazione degli uomini dipende dalle cure che le donne prodigano loro; dalle donne infine dipendono i loro costumi, le loro passioni, i loro gusti, i loro piaceri, la loro stessa felicità. Così tutta l’educazione delle donne deve essere in funzione degli uomini. Piacere e rendersi utili a loro, farsene amare e onorare, allevarli da piccoli, averne cura da grandi, consigliarli, consolarli, rendere loro la vita piacevole e dolce; ecco i doveri delle donne in ogni età della vita e questo si deve loro insegnare fin dall’infanzia”.
“Perché fare attenzione a quello che dice la loro bocca, se non è con essa che devono parlare? Osservate piuttosto i loro occhi, il colore del loro volto, il loro respiro, il loro aspetto spaurito, la loro debole resistenza: è questo il linguaggio che la natura ha dato loro per rispondervi. La bocca dice sempre di no, e deve dirlo; ma il tono con cui lo dice non è sempre lo stesso, e questo tono non può mentire. La donna non ha forse gli stessi bisogni dell’uomo, senza avere lo stesso diritto di manifestarli? (…) Non ha bisogno di un’arte particolare, quella di far capire le sue intenzioni senza scoprirle apertamente? E quanta scaltrezza le occorre, perché le venga strappato ciò che tanto ardentemente brama concedere! Quanto è importante che impari a far presa sul cuore dell’uomo senza avere l’aria di pensare a lui!”.
“…la sua violenza risiede nelle sue attrattive ed è con queste che deve costringerlo a trovare in sé la forza e ad usarla. Il modo più sicuro per eccitare tale forza è di renderla necessaria offrendo resistenza. Allora l’amor proprio si unisce al desiderio e l’uomo trionfa della vittoria che la donna lo ha stimolato a riportare. Di qui nascono l’attacco e la difesa, l’audacia di un sesso e la timidezza dell’altro, infine la modestia e il pudore di cui la natura ha armato il debole per asservire il forte.”
“L’uno deve essere attivo e forte, l’altro passivo e debole; è necessario che l’uno voglia e possa, è sufficiente che l’altro opponga poca resistenza. Stabilito questo principio, ne consegue che la donna è fatta soprattutto per piacere all’uomo. Se è vero che l’uomo deve a sua volta piacerle, questa è una necessità meno immediata: il suo merito è nella sua potenza; egli piace per il fatto stesso che è forte. Non è questa le legge dell’amore, lo ammetto, ma è quella della natura, anteriore all’amore stesso”.
Chi avesse dubbi che è ancora questo il fondamento ideologico su cui si sono costruite e a cui devono la loro durata le “figure di genere”, è sufficiente che dia un’occhiata alle video interviste fatte nelle scuole primarie da Alessandra Ghimenti –“Ma il cielo è sempre più blu”.
Sulla precocità di antichi pregiudizi sulla relazione tra i sessi, del resto, non manca certo materiale di riflessione, dalla pubblicità, al cinema, ai media, ecc.
Quanto tempo ancora ci vorrà per riportare alla storia ciò che la visione maschile del mondo ha attribuito alla natura e su cui ha costruito il più duraturo dei domini?

Fonte: comune-info.net 

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